2020-02-25
Dentro la quarantena sale la rabbia: «Siamo in gabbia senza sapere nulla»
Nel Lodigiano, 50.000 persone vivono come se fossero in guerra. Nessuno può uscire, i soldi scarseggiano e il cibo nei supermercati sta finendo. Il comico Maurizio Milani: «Ormai si arriva alle mani per un litro di latte».«Ho visto due ragazzi prendere a calci un distributore automatico perché le sigarette erano finite. Se rinchiudi la gente in gabbia, poi è normale che diventino delle bestie». Quello che racconta il comico Maurizio Milani alla Verità è uno spaccato della quotidianità sconvolta di Codogno, il paese del Lodigiano dove vive Mattia, il trentottenne che ha contratto il coronavirus e per 21 giorni ha continuato, inconsapevole, a muoversi e a incontrare una grande quantità di persone. Il nervosismo in tutto il Nord Italia è tangibile, soprattutto a causa delle indicazioni spesso contraddittorie che vengono fornite. E se le conseguenze dei provvedimenti disposti dalle autorità si fanno sentire anche in una metropoli come Milano, è facile immaginare le enormi ripercussioni nella zona rossa, il focolaio lombardo, dove le misure restrittive sono molto più severe. I 50.000 cittadini della Bassa sono stati messi in quarantena: possono muoversi sì, ma solo dentro i dieci Comuni isolati (Codogno, Castiglione d'Adda, Casale, San Fiorano, Bertonico, Fombio, Terranova dei Passerini, Somaglia, Maleo e Castelgerundo). Chiunque entri nella zona rossa, poi non può più uscire. A controllare gli spostamenti, in ogni Comune sono stati disposti dei posti di blocco. I riflettori rimangono puntati principalmente su Codogno, da dove tutto è iniziato. Il paese, che conta quasi 16.000 abitanti, si trova ora a vivere nella paura e nell'incertezza. Oltre al timore del virus, infatti, le persone si sentono abbandonate a loro stesse: «La toppa è peggio del buco. La gente, quando ha paura, cambia la propria personalità. Il coronavirus è più facile da contenere della psicosi», continua Milani. C'è chi inizia a fare i conti del denaro perso a causa dell'impossibilità di lavorare. Non tutti, infatti, possono farlo da casa, come ha raccontato ieri Simona Pedrazzini alla trasmissione Coffe Break di La 7: «Chi come me è una partita Iva, non lavorando non ha la possibilità di avere alcun tipo di entrate. Io non posso lavorare, mi ritrovo con 20 euro in tasca, mi auguro almeno carichino i bancomat. Sto aspettando delle risposte, che nessuno però ci sta dando». Ma la preoccupazione dei cittadini riguarda anche la reperibilità di beni ben più importanti del tabacco, come gli alimentari. Non sapendo per quanto si protrarrà la quarantena, dall'inizio dell'isolamento, infatti, è iniziata la corsa ai supermercati, che non erano attrezzati all'assalto: le file fuori dagli ingressi sono chilometriche, gli addetti alla sicurezza fanno entrare solo 30 persone (se munite di mascherina) alla volta. Quando sugli scaffali la merce inizia a scarseggiare, inevitabilmente la tensione si alza: «Ho visto gente arrivare quasi alla mani per l'ultimo litro di latte. Siamo arrivati a questo. Si diventa cattivi», racconta Milani «Per prevenire scene del genere io oggi sono andato dal panettiere alle 7 del mattino. C'era già la fila, ci facevano entrare due alla volta. Alle 9.30 era già finito il pane, e c'era ancora gente fuori che aspettava che non ha potuto comprare nulla». In periferia ci sono alcuni supermercati più grandi, ma chi non ha la macchina ha difficoltà a raggiungerli, soprattutto gli anziani. Sono loro i più colpiti dalla quarantena. Sebbene, come spiega il consigliere comunale, Rosanna Montani, sia stato creato un presidio della Protezione civile e della Polizia locale con il sindaco e dei collaboratori, chi ha difficoltà a muoversi non può raggiungerlo, essendo collocato nella zona della fiera, in periferia. Le informazioni principali, inoltre, vengono comunicate sul sito del Comune o sui social, mezzi non certo tra i più fruibili per gli anziani, che si trovano così ancora più isolati. Per fortuna alcuni di loro possono contare sulle cure dei propri familiari, come la mamma di Rosy Ronsivalle, 43 anni, che ha una preoccupazione più grande della spesa al supermercato: «Io ogni mercoledì e giovedì devo accompagnare mia madre, malata di tumore, all'ospedale di San Donato, nel Milanese, per fargli fare la chemioterapia. Essendo il mio un caso eccezionale, la prefettura di Lodi mi ha concesso di uscire, ma sto ancora aspettando il via libera dall'ospedale». Per quanto riguarda le altre cure mediche, le farmacie a Codogno rimangono aperte, ma i medicinali vengono passati ai clienti, che aspettano in lunghe file, attraverso uno sportellino. Nel dramma, però, i codognesi riescono a trovare anche i lati positivi: «L'essere considerati da tutti degli appestati ci ha anche fatto unire tra noi», racconta Rosy. «Episodi di nervosismo li ho visti, ma questa situazione ricorda a tutti noi quanto siamo forti e che siamo tutti sulla stessa barca, rendendoci anche più solidali. Io ho anche dei figli, spiegare cosa accede a loro è difficile, si annoiano, allora ogni giorno cerchiamo di organizzare delle feste tra noi, dei pigiama party. La solidarietà si sente anche qui. Chi è più avanti di me alla coda del supermercato spesso si offre di prendere qualcosa per i miei bimbi, temendo che quando tocchi a me sia già terminato». A Codogno i cittadini non sanno quando la loro vita tornerà alla normalità e se dopo l'emergenza rimarranno gli strascichi di una gestione non impeccabile, ma certamente, come già sta accadendo, i codognesi saranno pronti a rimboccarsi le maniche e a ripartire.
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