2022-08-09
I violentatori della Carta ora pretendono voti a suo nome
Solito allarme da sinistra: «In caso di vittoria, Salvini e Meloni riformano da soli la Carta». Ma sono gli stessi «guardiani» della democrazia che con Matteo Renzi volevano fare lo stesso. E negli ultimi 2 anni l’hanno calpestata. Confessiamo: un po’ ci dispiace che la telenovela sia finita (almeno per ora). Ci stavamo divertendo parecchio, e già speravamo in una trasposizione televisiva: L’Accozzaglia, con Grecia Colmenares nei panni uterini di Carlo Calenda. Ancora ieri i protagonisti reali regalavano sprazzi di pura comicità. Carlo, il Napoleone dei Parioli, accusava Letta di aver imbarcato «i populisti di sinistra». Letta replicava definendo Calenda «un populista d’élite», qualsiasi cosa voglia dire. A metter la ciliegina sul letame ci ha pensato Fratoianni, chiarendo che l’alleanza con il Pd è soltanto un patto elettorale, mica un sodalizio per governare. Come a dire: stiamo con loro anche se non condividiamo praticamente niente, ma bisogna pur campare. Insomma, il delirio. Purtroppo, si finisce immediatamente di sghignazzare non appena ci si ricorda che questa gente una possibilità di governare l’Italia ce l’ha, e comunque, nell’attesa, la sta ancora governando. Soprattutto, si contorce lo stomaco quando si pensa alla faccia tosta che il circo progressista esibisce ogni volta. Se facciamo un notevole sforzo e prendiamo sul serio il suddetto Fratoianni, ci rendiamo conto che le sue affermazioni hanno un limaccioso ma robusto fondo di verità. I fossili di sinistra stanno con il Pd non perché ne condividano le posizioni, tutt’altro. Ci stanno perché l’obiettivo comune dev’essere quello di «battere le destre». Su questo punto - e probabilmente solo su questo - con Letta s’intendono alla perfezione, e pure con Luigi Di Maio, Emma Bonino e altri saltimbanchi assortiti. Riecco la solita operetta italica che vira al dramma: esiste una ampia fetta della classe politica (e intellettuale, e non solo) il cui unico obiettivo consiste nell’impedire agli altri di governare. E non perché non apprezzino i programmi del cosiddetto centrodestra, che per altro sono ancora vagamente fumosi e talvolta troppo simili a quelli, già poco consistenti, degli avversari. No, i capoccioni progressisti vogliono fermare la destra perché la considerano antropologicamente diversa e intollerabile. Non esiste, nel loro cervello, la possibilità che si faccia un governo democraticamente eletto che non contempli la presenza di rappresentanti d’area dem. Proprio non l’accettano, non riescono nemmeno a figurarsi l’eventualità. Non per niente, quando alcuni anni fa il Pd fu soppiantato per poco dai gialloverdi, l’intera sinistra era sostanzialmente impazzita, s’aggirava nel recinto schiumando come un toro a cui avessero levato le vacche per tre anni. Ora, di fronte alla possibilità che nuovamente si manifesti un esecutivo «depiddizzato», ecco che la rabbia riaffiora, assieme al ringhio psicotico. Qualcuno potrebbe anche dire: affari dei gauchiste, che cuociano nel brodetto della loro ira. Il fatto è che qui, in gioco, c’è di più. Qui si tratta di comprendere appieno (per agire poi di conseguenza) quale fastidio per la democrazia nutrano le classi dirigenti progressiste. Prendiamo ciò che ha detto Enrico Letta giusto un paio di giorni fa. Illustrando l’accordo con Fratoianni, il segretario piddino ha dichiarato di sentire sulle spalle «la responsabilità di non avere un governo di destra-destra». A suo dire, infatti, «la legge elettorale può portare la destra unita ad avere la maggioranza dei 2/3 del Parlamento. Io lancio questo allarme», ha aggiunto Letta, «senza questi accordi elettorali, la Costituzione potrebbe essere riformata da soli da Salvini e Meloni».Capito che fior di discorso? Bisogna impedire alla destra di governare, perché se vincesse le elezioni potrebbe riformare la Costituzione da sola. A ben vedere, il ragionamento è ai limiti della sovversione. Tanto per cominciare, qui parliamo dello stesso partito che, ai tempi di Matteo Renzi segretario, brigò per modificarla eccome, la Costituzione, e per scopi non esattamente nobilissimi. E adesso viene a fare il custode del diritto? Non scherziamo. Per essere pignoli, poi, è la Costituzione a prevedere la possibilità di modifiche, qualora ci siano le condizioni previste. Da nessuna parte nella Carta c’è scritto che la destra non può mettere mano agli articoli. Dunque se la destra dovesse vincere e dovesse realizzare una riforma presidenziale, dove starebbe il problema? Infine, l’ultima piccolezza: è sempre la Costituzione a prevedere che a governare siano gli schieramenti decisi dai cittadini, e non ci risulta dica nulla a proposito del divieto di far salire un destrorso (o una destrorsa) a Palazzo Chigi. Nei fatti, dunque, sono le mire de Pd a essere antidemocratiche e anticostituzionali. Sono i progressisti a negare l’essenza stessa della democrazia liberale di cui fingono d’essere i guardiani. E questo è un grosso problema. Lo è stato ovviamente durante la pandemia, con tutte le norme liberticide che la sinistra ha partorito, approvato e imposto, e lo sarà anche in futuro qualora certi figuri dovessero ritornare alla guida della nazione. D’altra parte, non ci vuole molto a comprendere quanto siano spietati i sedicenti democratici: insultare persino uno come Calenda significa davvero non avere un briciolo di cuore.