2024-02-26
Dario Hubner: «Troppi stranieri in Primavera. E l’Italia non ha più attaccanti»
Dario Hubner (Getty Images)
Il simbolo dei centravanti di provincia: «Dietro Immobile poche scelte. Oggi al minimo tocco danno rigore. Andare in Arabia? A fine carriera va bene, da giovani un po’ meno».Dario Hubner è il simbolo del centravanti di provincia che ha nel fiuto per il gol la sua caratteristica principale. Insieme a Igor Protti, è l’unico calciatore che si è aggiudicato il titolo di capocannoniere delle tre massime categorie italiane: nel 1991/92 con il Cesena in serie C1 (13 gol), nel 1995/96 con il Brescia in Serie B (22 gol), nel 2001/02 con il Piacenza in Serie A (24 gol). Perché l’Italia ha tanta difficoltà a trovare buoni centravanti?«Credo che il primo motivo sia che oggi nelle squadre primavera italiane ci sono moltissimi stranieri. Nelle primavere di quando giocavamo noi, su 20 giocatori 18 erano italiani. Oggi, purtroppo, gli stranieri sono la maggioranza. Il problema inizia da qui».E l’arrivo dall’estero di centravanti per la serie A?«Sicuramente, ma quelli già maturi è un conto, mentre la carenza di giovani è un altro. Ai miei tempi quasi tutte le società professionistiche di Serie A e B avevano almeno un centravanti cresciuto in casa, oggi la maggior parte delle squadre prendono stranieri di 17 e 18 anni che giocano nelle formazioni primavera».Che senso ha?«È una domanda che andrebbe fatta ai dirigenti, forse il costo è minore, ma la verità è questa. Se guardiamo le formazioni delle squadre primavera, notiamo quanti stranieri ci sono, mentre se torniamo indietro a 30 anni fa le squadre primavera sia dei club maggiori che di quelli meno blasonati erano composte quasi totalmente da italiani. Su 100 attaccanti, 5 o 6 buoni ne uscivano, mentre oggi sono molti meno e fa fatica anche a uscirne uno».Tu chi reputi oggi il miglior attaccante italiano?«Sicuramente Immobile, ma inizia ad avere una certa età e subisce qualche infortunio. Sta uscendo un po’ Scamacca, Belotti magari andando alla Fiorentina ora potrà giocare un po’ di più e dimostrare il suo valore, però non abbiamo tantissima scelta. Quando giocavo io in Serie A c’erano Vieri, Inzaghi, Del Piero, Totti. Restavano a casa attaccanti come Montella, che faceva 15 gol all’anno in serie A. Quest’anno, se guardiamo gli attaccanti italiani vediamo Scamacca, Raspadori, bravi ma giovani. Se vuoi vincere qualcosa a livello internazionale ci vogliono attaccanti di esperienza».Il tuo rapporto con la nazionale? «È stato quello di un tifoso. Non ci sono mai andato, sono stato vicino ma come ho detto all’epoca era difficilissimo battere la concorrenza di tutti gli attaccanti forti che avevamo. Per andare in nazionale dovevi aver fatto almeno 200 presenze in serie A, oggi è più facile arrivarci perché la concorrenza è minore».Che pensi di Spalletti?«È un allenatore che ha sempre fatto bene nella sua carriera, sa lavorare benissimo con il gruppo e può far bene. Ricordo però una frase molto semplice che ha detto Carlo Ancelotti: è meglio un allenatore scarso con una squadra forte che un allenatore forte con una squadra scarsa. Spalletti è bravo, ma deve avere un gruppo di giocatori forti se vuole centrare qualche obiettivo importante. Anche il miglior allenatore del mondo senza una squadra forte non vince niente».In questi ultimi due anni c’è stata la tendenza di molti attaccanti ad andare a giocare in Arabia. Ora molti tornano indietro perché la vita da quelle parti è molto diversa che da noi. Che ne pensi?«È una decisione personale, ognuno è libero di fare quello che vuole. Sicuramente capita che ciò che era stato promesso non viene mantenuto. Un giocatore a fine carriera che vuole prendere molti soldi fa anche bene ad andare, i giovani un po’ meno. Dipende dalle valutazioni di ciascuno: magari un ragazzo di 22 anni va lì per un paio di stagioni, si mette a posto e poi torna in Europa».Tu ci saresti andato?«Una volta che ci vai, devi accettare tutto, per cui se devo prendere 1 milione di euro in Italia e me ne danno 4 in Arabia…».Il giocatore più forte con il quale hai giocato?«Ho avuto con me Pirlo, che era giovane ma già un fenomeno. Poi ho giocato con Baggio e con tantissimi campioni. Ricordo anche calciatori fortissimi che non hanno avuto enorme successo come Poggi, Dolcetti, Scarafoni».Gli assist migliori chi te li faceva?«Pirlo, ma citarne uno è troppo riduttivo».Il miglior allenatore incontrato?«Ne ho avuti tanti, e penso che ognuno mi abbia lasciato qualcosa. Qualche nome: Mazzone, Novellino, Sonetti».Anche ai tuoi tempi c’era tutta questa attenzione agli schemi?«Tatticamente si lavorava sempre, occorreva conoscere nel dettaglio il modo in cui giocava la squadra avversaria. La differenza era che non c’erano tutte queste statistiche, dal possesso palla ai passaggi giusti o sbagliati. Oggi alla fine delle partite tutti vanno a controllare i dati, ai miei tempi si giocava più tranquilli. Contava il risultato e la prestazione che avevi fatto, nessuno andava a vedere la percentuale dei passaggi giusti».Il giocatore più forte contro il quale hai giocato?«Sicuramente Ronaldo il Fenomeno. Lo dico sempre: quello che faceva in campo non era umano. Potenza, scatto, pallone incollato al piede in rapidità, incredibile. Ho giocato contro Zidane, Del Piero, Totti e tantissimi altri, però per me lui non era di un altro pianeta».Il difensore più difficile da superare? Il più duro?«Il più duro? Pensa che mi sono trovato ad affrontare Mihajilovc, Stam, Nesta, Samuel. Ogni domenica c’era uno forte contro».Il gioco era più ruvido di adesso, senza il Var e tante moviole?«Era un calcio diverso, dove l’aspetto fisico contava molto di più. Una trattenuta minima, una entrata duretta non era quasi mai considerata fallo, per essere ammoniti bisognava entrare pesanti. Adesso al minimo tocco danno rigore, al primo fallo scatta l’ammonizione, era un calcio più maschio diciamo».Si dice spesso che il calcio italiano è quello più esasperato tatticamente, era così anche ai tuoi tempi?«Il calcio italiano è da sempre molto tattico. Si lavorava per difendersi bene e ripartire in contropiede, Il calcio italiano è sempre stato molto organizzato. Si era organizzati, non è che si andava ognuno per conto suo».Oggi i procuratori fanno il bello e il cattivo tempo. Hanno troppo potere?«Sicuramente contavano anche ai miei tempi. Chi aveva un procuratore che conosceva bene i dirigenti era avvantaggiato, senza alcun dubbio. Certo per farti un contratto le società guardavano le cose di campo, non quanti followers avevi su Instagram come oggi. Era tutto molto semplice: si badava a quante presenze e quanti gol avevi fatto l’anno prima».Quindi pensi che oggi anche il seguito abbia un valore?«Credo di sì».Il rapporto con gli arbitri?«C’erano arbitri con i quali potevi parlare e altri no. Io con gli arbitri ho sempre avuto un rapporto buono, a volte mandavo io a quel paese loro, a volte loro mandavano a quel paese me, dipendeva da chi sbagliava. Mi è capitato diverse volte di vedermi annullare un gol che secondo me era regolare, oppure di subire un fallo che secondo me era da rigore. Io protestavo e dicevo “arbitro ma questo era rigore”, l’arbitro rispondeva “Dario io ho visto così”. Era un dialogo positivo».Sei ancora adesso un mito del calcio di provincia, ma hai avuto la possibilità di fare una tournée col Milan. Quali ricordi hai?«Ho fatto 12 giorni bellissimi, ricordo una società che era avanti 10 anni rispetto alle altre. Te ne rendevi conto già quando entravi a Milanello, un centro sportivo perfetto».L’anno scorso il Napoli ha vinto lo scudetto con mesi di anticipo, oggi galleggia a metà classifica: come te lo spieghi?«L’anno scorso Spalletti è riuscito a tirare fuori il 110% da tutti i giocatori. Ha avuto un anno anche favorevole, con la Juve che regalava punti, il Milan e l’Inter che non tenevano il passo. Sono quei famosi anni in cui ti va bene tutto».Chi è stato il più grande giocatore della storia del calcio?«Pelè non me lo ricordo, Maradona l’ho visto. Oggi Maradona avrebbe fatto quattro volte quello che è riuscito a fare all’epoca sua. Con il modo in cui lo marcavano, i falli che gli facevano, oggi le squadre avversarie finirebbero in sette, oppure lui farebbe quattro gol a partita».Il campionato estero che guardi con più piacere?«Il campionato inglese: vanno a mille all’ora, mi piace molto».
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 24 ottobre con Carlo Cambi
Fabrizio Pregliasco (Imagoeconomica)