2022-11-05
Damilano fa il megafono anti Meloni e invade gli altri programmi della Rai
Marco Damilano (Imagoeconomica)
La sua striscia su Rai 3 è la punta di diamante dell’opposizione mediatica appiattita sui desiderata del Pd. Si allinea faziosamente alle critiche di Oslo e Berlino, dilata il tempo per sé. Ma i suoi sforamenti irritano.Il Cavallo, la Torre e il Megafono. Il programma serale di Marco Damilano su Rai 3 sta diventando la punta di diamante della vasta opposizione televisiva e mediatica al governo di Giorgia Meloni. Inventato per pungere il centrodestra, come se non ci fossero abbastanza alternative, lo spazio appaltato dal servizio pubblico all’ex direttore de L’Espresso, in due giorni ha lanciato altrettanti siluri alla politica di maggior attenzione agli sbarchi clandestini da parte dell’esecutivo conservatore. Prima anticipando in diretta la posizione molto critica di Berlino contro il possibile blocco delle navi Ong battenti bandiera tedesca, poi ripetendo l’operazione 24 ore dopo, con la lettura in diretta della posizione negativa del governo norvegese.Tempismo, precisione, sfoggio di buon giornalismo come non sempre avviene in alcuni sonnolenti talk show. Nella partita a scacchi della politica, la Rai ha una posizione di rilievo e il suo appiattimento sui desiderata del Nazareno diventa sempre più evidente. Anche Damilano fa le barricate, almeno riesce a mantenere la barra dritta riguardo alle notizie. È in ogni caso curioso che la risposta della Norvegia arrivata alla Farnesina («La responsabilità primaria nel coordinamento dei lavori per garantire un porto sicuro alle persone in difficoltà in mare è di competenza dello Stato responsabile dell’area di ricerca e salvataggio») sia passata dalla scrivania del conduttore prima che da quelle di molti interessati al ministero. Non cambia nulla, c’è solo la conferma che i dieci minuti del programma di Damilano entrano di diritto nella dotazione del mondo progressista per sparare alzo zero, da una rete del servizio pubblico, contro la maggioranza parlamentare. Quindi contro l’editore. Ma neppure questa è una novità. Gli italiani hanno fatto conoscenza con Il Cavallo e la Torre in campagna elettorale quando, a quattro giorni dal voto, il filosofo del tempo perduto Bernard Henri Lévy ebbe la possibilità, senza contraddittorio, di dire che «Matteo Salvini è patetico e ridicolo», che «non bisogna rispettare l’elettorato quando gli elettori portano al potere Mussolini, Hitler o Putin. Allora la loro scelta non va rispettata».Le accuse preventive a freddo davanti alle quali il giornalista in studio oppose solo un balbettio di presa di distanza, crearono un vespaio e procurarono al conduttore una condanna dell’Agcom, peraltro letta con distratto disprezzo in diretta. Il programma di Damilano è così targato da essere stato scelto da Letizia Moratti per il primo annuncio di distacco dalla Regione Lombardia dopo aver saputo che non sarebbe stata candidata a governatore. Come se non dovesse far male solo il contenuto ma anche il contenitore. In palinsesto mancava il velenoso morso del cobra su Telekabul, è arrivato.Oggi quei dieci minuti, che valgono 1000 euro a puntata per 200 puntate al conduttore, stanno diventando il Fort Apache dell’opposizione. E curiosamente si stanno dilatando nello spazio temporale come se fossero un’entità gassosa: prima 12 minuti, poi 15, infine 18. Un’espansione inarrestabile davanti alla quale l’amministratore delegato Carlo Fuortes non ha niente da dire, ma che stanno provocando una rivolta neppure troppo silenziosa da parte di colleghi Rai e di telespettatori impazienti di vedere i programmi successivi. Mercoledì sera Federica Sciarelli è stata costretta a partire in ritardo con Chi l’ha visto e non si è trattenuta: «Scusate il ritardo, ci state scrivendo in moltissimi arrabbiati», ha esordito per poi proseguire con una maliziosa invettiva che aveva come obiettivo proprio Damilano.«Ovviamente non è colpa nostra, come potete immaginare noi siamo qui prontissimi, cercheremo di capire cosa succede, di solito si fa ritardo quando ci sono dibattiti parlamentari, qualche cosa da servizio pubblico che può sforare. E non ve la prendete con Un posto al sole perché è registrato, loro non c’entrano niente. Noi naturalmente daremo la linea a Maurizio Mannoni in orario». Una polemica che va direttamente a impattare con Il Cavallo e la Torre e a confermare quanto Damilano, sotto l’ombrello protettivo del Pd e del potente Mario Orfeo che di Rai 3 è il vero dominus, stia prendendo piede.La sua campagna permanente e allegramente faziosa nel campo progressista - senza spiragli, senza contraddittorio - sta ottenendo un ultimo successo: mettere a tacere l’Usigrai. Il potente sindacato, schierato a sinistra dalla nascita, aveva osteggiato l’arrivo dell’ex direttore dell’Espresso adducendo alla necessità di «valorizzare le risorse interne» invece di trovare uno strapuntino all’ennesimo esterno con un obolo di 200.000 euro. Una battaglia dai toni alti, almeno all’inizio, poi scemata fino a scomparire mentre Damilano dava prova di granitica affidabilità dentro il circolino dem. A quel punto è diventato un intoccabile. A modo suo, scacco matto.