2022-09-23
Damilano impenitente si fa beffe dell’Agcom
Dopo la bagarre sull’intervista a Bernard-Henri Lévy, arriva il soccorso del Pd, che chiede la riforma dell’authority. In serata, il giornalista legge, seccato, il comunicato dell’ente. Poi dedica il programma alla libertà d’espressione violata da Vladimir Putin. E prova a fare la vittima.«Non sono stati rispettati i principi di pluralismo, obiettività, completezza, correttezza, lealtà ed imparzialità dell’informazione»: un Marco Damilano sprezzante ha aperto così, ieri sera, la sua striscia quotidiana, Il cavallo e la torre, su Rai 3, limitandosi a leggere, come imposto dall’Agcom, la nota della stessa Autorità, con aria saccente, per poi iniziare la puntata sulla libertà d’espressione, violata in Russia. La polemichetta si è riaccesa sul finale: dopo lo spot agli ecologisti, Damilano ha letto l’articolo della Costituzione russa dedicato a libertà d’espressione e informazione e lo ha paragonato all’articolo 21 della Carta italiana: «Almeno su questo non c’è par condicio». Si chiude così il caso che ha visto il Pd protestare contro l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che controlla il rispetto del pluralismo nell’informazione, e della legge sulla par condicio in periodo elettorale. Dopo avere, per anni, invocato l’intervento dell’Agcom per qualsiasi quisquilia, gridando sistematicamente alla invasione del centrodestra nelle tv, ieri il Pd ha attaccato l’Autorità presieduta da Giacomo Lasorella. Il motivo? L’Agcom si è permessa di ordinare alla Rai di rimediare al vergognoso attacco al centrodestra andato in onda lo scorso 19 settembre su Rai 3, nel corso della striscia serale di Damilano, alfiere, o se preferite pedone, a proposito di scacchi, dei dem. Un Damilano insensibile allo scandalo che ha provocato, quello di ieri sera, che ha irriso mezza Italia, leggendo quelle due righe con aria di sfida, ben sapendo di poter contare sempre e comunque sulla protezione della sinistra. Lo scorso 19 settembre, intervistato dall’alfiere dem, il filosofo francese Bernard-Henri Lévy si è lanciato in una violentissima invettiva contro Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, ha farneticato di «rischio fascismo», e molto democraticamente ha pure aggiunto che «l’elettorato non va sempre rispettato, quando gli elettori portano al potere Benito Mussolini, Adolf Hitler o Vladimir Putin la loro scelta non è rispettabile». Tutto ciò in prima serata, sulla tv di Stato, nella ultima settimana di campagna elettorale. Il centrodestra, ovviamente, è insorto: anche ieri, dal palco di Piazza del Popolo, Giorgia Meloni ha dedicato un passaggio del suo intervento agli «intellettuali d’Oltralpe che dicono che la volontà popolare non conta», e agli «illuminati soloni del servizio pubblico». Anche l’Usigrai ha protestato, l’Agcom è intervenuta, e Damilano, il giorno dopo, ha pensato di cavarsela con un pistolotto all’inizio della trasmissione: «Ieri il filosofo Bernard-Henri Lévy», ha detto Damilano, «si è lasciato andare ad affermazioni sul pericolo fascista in Italia e sul fatto che il voto del suffragio universale non sempre va rispettato. Da alcune affermazioni ho preso le distanze in diretta, altre non le condivido». Tutto qui. A quel punto, l’Agcom ha diffuso una nota durissima contro la trasmissione: «Il Consiglio dell’Autorità», recita il comunicato, «ha esaminato le segnalazioni relative alla puntata de Il cavallo e la torre, andata in onda il 19 settembre 2022 su Rai 3, e ha ritenuto sussistente, con il voto contrario della Commissaria Giomi, la violazione dei principi di correttezza e imparzialità sanciti dalle disposizioni in materia di par condicio. Ritenendo insufficiente per riequilibrare e sanare le violazioni riscontrate la messa in onda della puntata del 20 settembre», prosegue il comunicato ufficiale dell’Autorità, «ha ordinato alla Rai di trasmettere, in apertura della prima puntata utile del programma, un messaggio in cui il conduttore comunichi che nella trasmissione del 19 settembre non sono stati rispettati i principi di pluralismo, obiettività, completezza, correttezza, lealtà ed imparzialità dell’informazione». La nota è stata diramata l’altro ieri, giorno della riunione del Consiglio dell’Agcom, e quindi la prima puntata utile per la comunicazione di Damilano era quella di ieri sera. Incredibilmente, manco fossimo su Scherzi a parte, ieri mattina il Pd ha diffuso una nota durissima contro l’Agcom e in difesa del suo adorato Damilano. «La decisione di Agcom», ha scritto il Pd, «di sanzionare la trasmissione Rai Il cavallo e la torre è grave e incomprensibile nei modi e nei tempi, colpisce la libertà di espressione e completa una gestione profondamente insoddisfacente della materia. Agcom ha emanato, a maggioranza, una sanzione su una singola trasmissione in ragione delle opinioni liberamente espresse e chiaramente attribuibili ad un ospite su una trasmissione di Rai 3», ha sottolineato il Pd, «al tempo stesso non è ancora intervenuta su palesi e gravi casi di informazione parziale, scorretta e non veritiera in alcuni telegiornali dell’emittenza privata contro il Partito democratico e il segretario Letta». Non solo: «Il Partito democratico si riserva ogni azione utile per la valutazione complessiva della possibile disparità di trattamento, in questa competizione elettorale, e proporrà al nuovo Parlamento una riforma della legge 28/2000 e del ruolo di Agcom, a partire dai meccanismi di nomina». Una nota politicamente delirante, come ha fatto notare la Lega: «Caro Pd», ha sottolineato il deputato del Carroccio, Luca Toccalini, responsabile giovani del partito, «la Rai non è cosa vostra, ma di tutti gli italiani. Dopo la puntata vergognosa e a senso unico andata in onda nella striscia di Damilano contro Salvini e la Lega, la decisione dell’Autorità garante nelle comunicazioni di sanzionare Il cavallo e la torre è sacrosanta. Il fatto che ora i signori del Nazareno pretendano la riforma della stessa Agcom e, udite udite, addirittura il sistema delle nomine, arte in cui proprio i dem sono maestri assoluti».