2022-05-01
Dall’Orto botanico all’Insugherata le tante oasi di verde nella città del caos
Nel disordine di Roma parecchi luoghi offrono l’ombra di piante secolari. Come i platani di Villa Borghese, che hanno 400 anni.Il tempo passa. Quando ero giovane ardevo nel desiderio di scoprire il senso di ogni cosa. Volevo viaggiare, volevo conoscere le lingue, volevo vedere, e toccare, sentire, gustare, assaggiare, capire, capire le persone, capire i popoli, capire lo spirito del mio tempo, e magari dello spirito delle società del passato. Volevo scoprire le rovine di antiche nazioni scomparse, capire se anche allora le persone volevano le stesse cose alle quali noi oggi aneliamo, l’amore, il sesso, l’affetto, l’amicizia, diventare qualcuno, essere qualcosa di solido, ergersi al di sopra della media delle persone della propria epoca! Io sono, io posso, io dico, io penso che… anche in quel mondo che noi chiamiamo l’Antico Egitto di certo esisteva uno uguale identico a me che si chiedeva le stesse cose, alto poco meno di me, magrolino poco meno di me, istruito poco meno di me. E di certo un altro come me passeggiava con le dita intrecciate dietro la schiena, lungo i viali di Parigi, al tempo di Napoleone III, il Napoleone lé petit, come lo aveva apostrofato Victor Hugo, con la sua ombra colma di pensieri in francese, parole francesi, dal gusto e dal suono caratteristico francese, transitava pensieroso a lato della cattedrale di Notre Dame, al tempo ancora intatta, con le sue orecchie francesi che ascoltavano il rintocco imperiale delle campane dalla cima della chiesa. E, ne sono certo, anche nella Cina imperiale del XIV secolo esisteva un piccolo me, ricurvo e con i baffetti aguzzi sotto un naso tagliato a spicchio, oltrepassava a passi corti e svelti il portale che conduceva alla Città Proibita per andare a confabulare con qualche mandarino.Ogni piccolo disvelamento della verità mi proietta verso il grande buio. Ecco perché cerco di vivere con la minore curiosità possibile, alla mia età poi il tempo è uno sgocciolio di istanti che si portano via intere settimane, altro che contare le ore di quando eri giovane e non vedevi il momento che finisse la lezione, o che potessi uscire da scuola per divertirmi, o che iniziassero le vacanze estive, o me ne stavo lì a torcermi le budella dal dolore perché dovevo aspettare un giorno intero, dico un giorno in-te-ro, prima di uscire di casa e rivedere le labbra della mia amatissima morosa del momento! Da ragazzi non si fa che aspettare e bruciare, per ogni cosa, per ogni litigio, per ogni incontro, per ogni inciampo. Poi si viene strattonati nella vita adulta, l’età della responsabilità, o quel che è. Una tragedia, diventare come gli altri, fare come gli altri, guadagnare come gli altri e metter su famiglia come gli altri, sposarsi, fare figli, pagare regolarmente le tasse, far carriera. La peggiore età della mia vita! La fine di tutto questo arriva dopo i 50 quando si inizia a non aver più paura di non rispettare le regole, e ci si vede anche fuori dai quadretti e dai presepi, ma ci vuole tempo, ci vuole forse anche un po’ di fortuna, e quel pizzico di azzardo senza il quale vivere diventa soltanto ordinaria amministrazione.Personalmente ho imparato molto dagli alberi, loro mi hanno insegnato il senso profondo dell’esistenza. Quella loro passività apparente, quel restare lì ad attendere che tutto arrivi e si presenti, il caldo, la pioggia, l’acqua alle radici, quel respirare da pietra, quel fluire spinti dalla temperatura della stagione, il fiorire quando lo decide Dio, o quel che è, il perdere foglia tutti gli anni negli stessi giorni, e poi rinascere a comando. Per molti gli alberi non sono nemmeno degli essere viventi, credono siano quasi morti, delle cose che respirano e poco altro. Ecco perché le loro anime non piangono quando li abbattono, quando tutta quella intensa voglia di vivere viene brutalmente divelta per fare spazio, o per accumulare legna. Una percezione di comodo.Gli alberi sanno aspettare, sanno resistere, sanno progettare. Gli alberi crescono, dialogano con quel che li circonda, se ne nutrono e a modo loro lo sostengono. Quanti insetti e quanti esseri viventi dipendono dalla loro presenza, dall’armonia dalla loro paziente occupazione dello spazio, con il tronco che sale e poi si dirama, e si ingrossa e si ramifica ancora, una ragnatela gettata nel cielo, a grattare le pance delle rondini e i piedi degli angeli.Qui a Roma ci sono diversi posti dove vado per farmi rassicurare dagli alberi. Sono le mie famiglie, le compagini mute di combattenti resistenti. Un bel nucleo ad esempio c’è a Villa Doria Pamphilj, una pineta, i cedri e i pini di Villa Torlonia, le diverse essenze dell’Orto botanico, i boschetti di Villa Ada, i resti della via Appia. Uscendo poi dalla città ci si può accomodare nelle campagne dell’Insugherata, tra le faggete del Monte Veio o del Monte Cimino. Ma se c’è un ambiente dove mi piace perdere le giornate, senza far nulla, semplicemente esistendo al centro delle loro forme scavate e ombrose, i lunghi rami contorti e spaccati, le superficie convesse, i funghi che li stanno divorando dal di dentro, questo è la valle detta dei platani alla fine del vasto parco che circonda Villa Borghese. Qui resistono quelli che qualcuno dice siano i più antichi alberi viventi della città. Platani orientali, poiché trattasi di una specie importata dalla Grecia, avrebbero oltre quattro secoli di vita. A me interessa ben poco quanto siano vecchi o quanto siano grandi, quanti centimetri i commercialisti della natura abbiano misurato sui tronchi, o quanto le loro chiome sfrondate siano alte. Mi piace il loro aspetto, mi piace la loro disposizione in fila indiana, mi piacciono le panchine sulle quali ogni tanto vengo a sdraiare le mie povere gambe stanche e deboli. Mi piace semplicemente farmi albero tra gli alberi, o provare a me stesso quanto questi alberi possano essere, a modo loro, tuttavia umani. Non pensano forse? Non mangiano forse? Non si riproducono forse? Mio nonno, povera anima, quando ero un bambino mi diceva che gli alberi sognano. Sai, Pietro, gli alberi sognano, tutto quel che ha vita conosce il dono del sogno, tutto desidera qualcosa che non ha o che non è. E da allora mi scervello a cercare di capire a che cosa possa eventualmente sognare un albero. Che cosa potrebbe mai sognare? Un cielo diverso? Una foresta giovane? Oppure una fine rapida e indolore? Una compagnia per disperdere la solitudine della sua esistenza fatta di linfe che scorrono e di venti che lo piegano? Un albero è solo? Conoscono quello stato d’animo che noi chiamiamo solitudine? Ha senso parlarne? Io ci provo a parlarci, ci provo ad ascoltarli, ci provo a restare in loro muta compagnia senza proferire alcuna parola, alcun suono, ma per il momento non mi pare di aver capito nulla di più di quanto non sapessi già quando ero alto poco più di un metro e indossavo pantaloncini corti.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.