
Nicolò Montesi, presidente dell'associazione che con Ugl e Assodelivery, ha trovato l'accordo: «Rimaniamo lavoratori autonomi ma con tutele salariali e assicurative. Fosse stato per la Cgil non sarebbe certo andata così».Oggi parte il nuovo contratto nazionale dei rider voluto da Assodelivery e Ugl. Non appena l'accordo è stato firmato, a settembre, non sono mancate le critiche da diverse parti della sinistra e anche dal ministero del Lavoro. Oltre a una strumentalizzazione politica, il problema è stato che fino ad oggi si è sempre tentato di offrire a questi professionisti una soluzione da lavoratori subordinati. Invece, chi fa il rider cerca autonomia e flessibilità. La Verità ne ha parlato con Nicolò Montesi, il presidente dell'Associazione nazionale autonoma riders (Anar) il quale è convinto che a breve la quasi totalità dei rider che operano sul territorio aderirà al nuovo contratto nazionale. Fino a ieri, spiega Montesi, il ministero non aveva mai intavolato un dialogo sul contratto dei rider. Ieri, però, il ministero guidato da Nunzia Catalfo ha convocato per mercoledì 11 novembre un tavolo con Assodelivery e i sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Rider per i diritti e Riders union Bologna). Si tratta del primo vero segno di apertura sul tema da parte delle istituzioni. Quali sono i benefici economici e legali per i rider che aderiscono al contratto? «Prima di tutto abbiamo fissato un minimo sulla consegna che sono 10 euro lordi per ora lavorata. Ora, quindi, io so che con un'ora sul motorino, per fare un esempio, andrò a prendere minimo 10 euro. Inoltre, abbiamo confermato l'Inail e abbiamo previsto per tutte le piattaforme il l'obbligo di un'assicurazione contro persone o cose, caratteristica che non tutte le piattaforme avevano. Via anche a un bonus per fidelizzare il rider che riceverà 600 euro ogni 2.000 consegne. Abbiamo anche introdotto l'indennità per il maltempo, per le festività e per il lavoro notturno. Al verificarsi di una sola di queste tre condizioni il rider ha diritto al 10%, nel caso di due condizioni al 15% e con tre al 20%. Il problema è che si è voluto etichettare il rider equiparandolo a un lavoratore del settore della logistica o del commercio. C'era tra le proposte anche il contratto multiservizi che però prevede una retribuzione di 5,16 euro lordi l'ora con il divieto di paga alla consegna, quella che di fatto ci permette di avere un guadagno. Ora noi abbiamo introdotto anche una indennità per chi decide di fare il rider in nuove città o in nuove zone. Il professionista ha quattro mesi di tempo per decidere se quel lavoro conviene farlo o meno in quella specifica zona con una paga minima di sette euro garantiti l'ora lordi».Perché la Cgil allora si è mostrata ostile?«Noi pensiamo che la Cgil non lo abbia letto questo contratto. Mi preme ricordare che questi signori avevano provato a barattare la subordinazione del nostro lavoro con un compenso lordo per ora di 3,6 euro. Quello che non si vuole capire è che i rider cercano autonomia. Cgil, Cisl e Uil sono sempre partite dall'idea di subordinazione per il nostro lavoro, ma non è quello che vogliono i rider. Inoltre, in questo caso c'è sempre stato un approccio ideologico con cui si è voluto strumentalizzare un problema. Alla fine, la nostra è una categoria allettante sia sotto il punto di vista politico, sia sotto quello dei media. Lo si capisce dal fatto che non appena è stato firmato il contratto sono subito arrivate le critiche». Quanto guadagnava prima un rider e quanto potrebbe guadagnare ora? «Il nostro è un lavoro autonomo, è difficile fare delle stime. Il principio fondamenta resta la flessibilità perché io posso decidere quante ore fare e dove farle. Prima potevo dire che un giorno potevo guadagnare 100 euro mentre un altro 50. Oggi so che, grazie al minimo pattuito, con 10 ore di lavoro prenderò di sicuro almeno 100 euro». Anche il ministero del Lavoro si è mostrato scettico verso il contratto. Come mai?«Il ministero (fino alla convocazione di ieri, ndr) con noi non è mai voluto entrare nel merito. Ha solo coinvolto altre parti sindacali che non avevano voce in capitolo e che non potevano capire il nostro lavoro. Si è trattato di parti sociali ritenute ufficiali solo perché chiamate dal ministero, ma che erano lì per un'ideologia politica. In più il contratto è stato malvisto perché firmato da Ugl». Quanti saranno i rider che aderiranno a questo nuovo contratto?«Noi abbiamo istituito una commissione paritetica per tutelare e per monitorare il lavoro dei rider perché si tratta di un mestiere in continuo cambiamento. Questa commissione paritetica con cinque delegati sindacali e cinque manager delle principali piattaforme di Assodelivery si riunisce una volta alla settimana. È un fatto innovativo perché in Italia i contratti si rinnovano ogni tre anni. L'ultimo dato che abbiamo è che siamo vicini al 100% dei rider che operano in Italia». Quanti sono i rider secondo voi?«Si tratta di circa 30.000 professionisti. La nostra è una storia a lieto fine che è stata strumentalizzata. Ora però abbiamo un'identità specifica che non è quella del fattorino o del portapizze. Ora abbiamo un inquadramento contrattuale che prima non avevamo». Anar quanti rider rappresenta?«Ad oggi abbiamo superato i 2.000 iscritti».
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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