2019-10-06
Adesso Giuseppi rischia grosso
Ma il presidente del Consiglio che prende tempo ed evita di rispondere sul caso dei contatti tra i nostri servizi segreti e un emissario di Donald Trump è lo stesso che poco più di un mese fa sollecitava Matteo Salvini a rispondere sugli incontri di un suo collaboratore a Mosca?A leggere le dichiarazioni del premier che dice di voler parlare, ma solo al Copasir, ossia al comitato che vigila sui servizi segreti, e solo quando il Copasir avrà sostituito un suo componente dimissionario, parrebbe di no. E invece il Conte uno è proprio la stessa persona del Conte due. Solo che in questo caso, ovvero nell'intrigo che ha spinto l'attorney general americano William Barr a chiedere a Giuseppe Conte la collaborazione degli 007 italiani, non c'è la stessa voglia di fare chiarezza dimostrata settimane fa dall'avvocato del popolo, che in questa occasione sembra più un avvocato delle spie.Già, perché la storia che si va delineando è una faccenda che vede coinvolti uomini dei servizi segreti, ambigui professori vicini al mondo della sinistra, governi e spregiudicate campagne elettorali. Un affare molto torbido, dove invece sarebbe necessaria un'opera di trasparenza, perché si ha la sensazione che i destini del nostro governo, ossia dell'Italia, a un certo punto si siano intrecciati con una partita molto complessa in cui i democratici americani hanno provato a screditare Donald Trump. E ora, in vista delle prossime elezioni presidenziali, l'inquilino della Casa Bianca prova a ripagare la sinistra a stelle e strisce con la stessa moneta. Ma forse, per capire come questa vicenda influisca sulle scelte di casa nostra, è meglio fare un passo indietro e tornare a quando in America cercarono con ogni mezzo di fermare Trump. Nessuno negli Stati Uniti avrebbe scommesso un soldo sulla vittoria del tycoon repubblicano. In particolare non lo avrebbe scommesso l'establishment a stelle e strisce, che era tutto schierato al fianco di Hillary Clinton. Dunque, quando a sorpresa il magnate sgominò il clan democratico, diventando il 45° presidente degli Stati Uniti, la sinistra americana, attraverso i suoi giornali e le sue relazioni, gli dichiarò guerra cercando di far invalidare l'elezione. In particolare, i democratici si diedero da fare per dimostrare che Trump doveva il suo successo all'aiuto russo, cioè al nemico storico dell'America. E qui i destini dell'inquilino della Casa Bianca si incrociano con quelli che ci interessano, perché un collaboratore di Trump viene avvicinato a Roma da Joseph Mifsud, un misterioso docente di una università fondata a Roma dall'ex ministro dell'Interno Vincenzo Scotti, un democristiano della prima Repubblica che nella seconda si è inventato un ateneo da cui è passata parte della classe dirigente del Movimento 5 stelle. George Papadopoulos, questo il nome del consulente entrato a far parte dello staff di Trump, sostiene che Mifsud cercò di utilizzarlo per poter costruire false prove contro il presidente americano, il tutto all'interno di quella caccia alle streghe che è stata il Russiagate, una faccenda con cui i democratici intendevano inchiodare il presidente e costringerlo alle dimissioni. L'intrigo per far fuori Trump ha in pratica avuto una sponda romana, che ruota intorno alla figura del professor Mifsud. Fino all'altroieri, la maggioranza degli italiani ignorava il nome di questo docente, ma sebbene sconosciuto, lo strano insegnante era assai introdotto negli ambienti della sinistra. Come abbiamo ricostruito, era in buoni rapporti con il senatore del Pd Gianni Pittella e a maggio del 2017 partecipò, in qualità di relatore, a un forum in cui gli altri intervenuti erano gente del calibro del futuro ministro dell'Economia nel governo gialloblù Giovanni Tria, dell'ex giudice costituzionale Sabino Cassese, dell'attuale direttore generale della Farnesina Elisabetta Belloni, ma anche di Guido Alpa, maestro indiscusso del futuro presidente del Consiglio Giuseppe Conte.Insomma Mifsud, oltre a dichiararsi clintoniano della prima ora, ruotava intorno al mondo progressista della Capitale e per questo, proprio a Roma, è venuto a bussare il procuratore generale degli Stati Uniti. E a chi si è rivolto per avere informazioni sull'oscuro professore della Link? A Giuseppe Conte, chiedendo la collaborazione degli 007 italiani per mettere il sale sulla coda di Mifsud. Già questo richiederebbe un'ampia spiegazione, perché non appaiono del tutto chiari i rapporti intercorsi tra l'emissario di Trump e i nostri 007. Ma soprattutto, ciò su cui sarebbe indispensabile ottenere chiarezza è la contropartita offerta o ricevuta in cambio dell'aiuto. Come abbiamo ricordato ieri, tutto si svolge a ridosso della crisi di governo e guarda caso, mentre «Giuseppi» sembra destinato a tornare a insegnare, Trump twitta un elogio sperticato al presidente del Consiglio. Come mai all'improvviso, senza quasi ricordarne il nome, Trump si sente in dovere di schierarsi pubblicamente a favore di Conte? E che cosa si sono detti il presidente americano e quello italiano a Biarritz, pochi giorni prima che Conte sferrasse la controffensiva che ha portato alla nascita di un governo del ribaltone, con la Lega fuori dai giochi?Ecco, questi e altri segreti forse sarebbe il caso che il premier li chiarisse, perché all'improvviso ciò che è successo ad agosto potrebbe assumere un altro significato, svelando un'operazione spregiudicata in cui la volontà del popolo sembra essere stata messa da parte proprio dall'avvocato del popolo. Conte ha detto in un'intervista che quando incontra i cittadini li trova «carini e affettuosi». Ecco, ricambi la carineria e l'affetto e ci racconti dell'uso fatto dei servizi segreti italiani, di cui egli ha la delega. Perché a noi preme che un premier faccia gli interessi nostri e non quelli di un altro Paese, soprattutto non vogliamo che sulla pelle degli italiani ci sia chi decide da chi devono essere guidati, in un curioso scambio di interessi.
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