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2022-08-10
La crisi dei Bitcoin, dai mancati pagamenti all'Inter ai casi di riciclaggio
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Dovevano essere la novità per risollevare le sorti del calcio italiano, a caccia di sponsor e soldi data la difficoltà a reperire fondi come la Premie League dove l’ultima squadra in classifica guadagna di diritti televisivi quanto l’Inter: lo Sheffield United incassa ogni anno 105,6 milioni rispetto ai 100 dei nerazzurri. Eppure i bitcoin si stanno rivelando un grosso rischio. Dopo il botto del 2021, con il record di ottobre, il 2022 si sta rivelando l’annus orribilis per le criptovalute con un calo del 40%. Bitcoin è scambiato a un prezzo intorno ai 20.000, mentre il 15 ottobre dello scorso anno arrivò a 61.000. La crisi continua. Anche se negli ultimi giorni Bank of America dato rassicurazioni ai suoi investitori.
I buoni risultati del 2021 avevano convinto Inter e Roma a stingere accordi con Digitalbits una delle principali criptovalute a livello globale. Ma nelle ultime settimane la situazione ha iniziato a diventare difficile. Così a luglio è sparito il logo DigitalBits dal sito dei nerazzurri mettendo così a repentaglio l’accordo appena un anno fa, della durata di 4 stagioni e per un totale di 85 milioni di dollari. A quanto pare i soldi non sono arrivati. DigitalBits non avrebbe corrisposto all’Inter parte dei pagamenti relativi agli accordi del 2021. La situazione è critica. L’inter ha rinviato la presentazione della seconda maglia, in attesa di capire come andrà avanti il braccio di ferro con l'azienda di criptovalute. E pensare che a gennaio qualche investitore aveva lanciato l’allarme su New York Times presentando una causa a New York contro la società accusando alcuni manager di avere dirottato i soldi necessari allo sviluppo dell’azienda in operazioni come le sponsorizzazioni delle squadre sportive o persino viaggi di lusso.
Gli avvocati dello studio legale Ford O’Brien, che seguono l’investitore che ha sporto sostengono che dietro Digitalbit non ci sia nulla. E hanno spiegato che queste aziende «non hanno una blockchain pubblicamente accessibile o qualcos’altro da mostrare, se non accordi di sponsorizzazione da milioni di dollari e continui annunci sul fatto che “la cosa vera” è in arrivo». DigitalBits è anche lo sponsor di maglia della Roma, in base a un accordo dello scorso luglio che vale 36 milioni di euro su tre anni. Anche in questo caso oltre alla sponsorizzazione c’è il progetto di sviluppo di criptovalute e non fungible tokens per i tifosi. DigitalBits, basata alle Isole Cayman, non è l’unica realtà legata al mondo delle criptovalute che si è conquistata uno spazio nel calcio in Italia. Tra gli altri, la piattaforma di trading Binance ha fatto un accordo da 30 milioni per la sponsorizzazione della Lazio, BitMex è sponsor di manica del Milan mentre Crypto.com (anche questa una piattaforma di trading di criptovalute) è sponsor della Lega Serie A. Anche in Europa qualche squadra si è affidata alle criptovalute. Socios, società maltese, realizza fan token per oltre quaranta club, tra cui Juventus, il Milan, il Barcellona, il Paris Saint Germain. Non è la prima volta che si parla di truffe intorno ai bitcoin.
A inizio luglio l'Fbi, agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti, ha messo una taglia di 100mila dollari per chi offre informazioni che possano portare all'arresto dell'imprenditrice bulgara Ruja Ignatova. La regina delle crypto (come si è autodefinita), scomparsa nel 2017 dopo essere stata accusata di aver truffato 3 milioni di investitori con la sua criptovaluta per 4 miliardi di dollari. E’ è l'unica donna nella lista dei 10 criminali più ricercati al mondo. Nel 2019 è stata accusata di otto capi di imputazione, tra cui frode telematica e frode sui titoli. Cittadina tedesca che viveva in Bulgaria, Ignatova lanciò OneCoin nel 2014, con l'obiettivo di sostituire bitcoin come valuta virtuale leader nel mondo . Ha operato in tutto il mondo e 8 anni fa sosteneva di avere oltre 3 milioni di clienti. Ma a differenza di bitcoin o di altre criptovalute, OneCoin non era supportato da alcuna tecnologia di tipo blockchain pubblica, sicura e decentralizzata.
La falsa criptovaluta non aveva valore reale e non poteva essere utilizzata per acquistare nulla. Le autorità statunitensi hanno definito uno dei più grandi schemi piramidali della storia e hanno affermato che Ignatova era la mente dietro la truffa. Secondo loro, ha operato come una rete di marketing multilivello e uno schema Ponzi, dove i primi investitori vengono incoraggiati a reclutare altri e quindi pagati dalle entrate degli investitori successivi. La maggior parte dei presunti collaboratori di Ignatova, incluso il co-fondatore di OneCoin Sebastian Greenwood, è stata arrestata. Greenwood è stato detenuto in Thailandia nel 2018. Poi è stato estradato negli Stati Uniti, dove è in attesa del processo. Il fratello minore di Ignatova, Konstantin Ignatov, è stato arrestato nel marzo 2019 a Los Angeles in relazione alla truffa. Si è dichiarato colpevole di frode e riciclaggio di denaro.
Il riciclaggio di denaro
Nel settembre del 2021 fu arrestato a Bologna un cittadino polacco di 22 anni accusato di aver commesso reati finanziari con il computer. All’apparenza era un normale fatto di cronaca. Giovanissimo, fu subito estradato nel Regno unito, dove su di lui pendeva un mandato internazionale di cattura disposto dal tribunale di Canterbury per reati finanziari connessi all'uso di criptovaluta. Il ragazzo avrebbe sfruttato la rete di sportelli automatici di Bitcoin diffusi nel Paese d'oltremanica per riciclare denaro di provenienza illecita, per poi portare le somme fuori dal paese, su conti di terzi. A ottobre dello stesso anno ecco che arriva un altro arresto, questa volta a Genova. Nella vita di tutti i giorni sembrava una tranquilla madre di famiglia, ma in realtà era un'esperta hacker appassionata anche lei di criptovalute. La donnaè stata arrestata dalla polizia Postale dopo un'attenta e complessa indagine perchè ritenuta appartenente ad un'organizzazione transnazionale dedita alle frodi informatiche, alla ricettazione e al riciclaggio. Essendo ingegnere informatico era particolarmente esperta nel creare nuove identità. Era solita ritirare in punti di recapito sempre diversi della provincia di Genova gli oggetti che acquistava sui portali di e-commerce, utilizzando fondi, carte di credito e conti bancari di ignari malcapitati.
Per eludere eventuali controlli, la donna andava nei punti di ritiro munita di documenti falsi oppure reclutava terze persone che, dietro compenso, ritiravano i pacchi al suo posto. Sono ormai casi più che normali di cronaca. Del resto la possibilità di rimanere anonimi con bitcoin ha reso la criptovaluta sempre più attraente per i criminali, in particolare per gli hacker, che chiedono spesso riscatti dopo aver rubato dati a istituzioni o organizzazioni. Il protocollo della Blockchain, infatti, su cui si basa la criptovaluta Bitcoin, ad esempio, non richiede alcuna identificazione e verifica dei partecipanti, né fornisce uno storico dei movimenti avvenuti collegati a soggetti necessariamente esistenti nel mondo reale. Secondo Chainalysis, think tank specializzato nello studio delle transazioni su blockchain, nel 2021 le attività cripto-criminali hanno raggiunto un giro d’affari che si aggira intorno ai 14 miliardi di dollari in tutto il mondo. Una cifra quasi doppia rispetto ai 7,8 miliardi dell’anno prima. sono le frodi legate all’emissione di token fasulli, i cosiddetti rug-pulls. E' un mercato senza controlli e senza restrizioni sugli importi delle transazioni, ha evidenziato in un webinar dello scorso anno la società Swascan, la prima it Security Platform italiana interamente in cloud. Quindi per i criminali diventa facilissimo acquistare, rivendere e spostare la crittografia anche in altri portafogli 'non dichiarati'. Non dovrebbe quindi stupirci come un utente di criptovalute sia stato in grado di guadagnare circa 80.000 in meno di un giorno dopo aver acquistato un CryptoPunk per meno di un centesimo.
Nel gennaio di quest’anno la Cassazione si è espressa sulla materia, dopo l’impugnazione di una pronuncia del Tribunale di La Spezia, che aveva disposto il sequestro preventivo nei confronti del ricorrente, del profitto dei reati di autoriciclaggio contestategli; l’indagato, secondo il tribunale, aveva infatti traferito i proventi della sua attività di sfruttamento della prostituzione a società estere operanti nel settore della criptovalute, tramite bonifici in euro effettuati mediante carte intestate sia a sé, sia a dei prestanome. Le società in questione avrebbero poi provveduto ad acquistare criptovaluta (nello specifico, Bitcoin) con tali proventi, convertendo gli euro in “valuta virtuale”.
Nel caso in esame, dunque, come rilevato dalle Corte, la perdita di tracciabilità del denaro proveniente da attività criminose che caratterizza tale fattispecie è stata realizzata mediante l’acquisto di criptovaluta tramite altri soggetti, che operavano nel ruolo di exchanger. La Cassazione ha affermato che, come già stabilito in precedenti pronunce, ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio «non occorre infatti che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento all’identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, ma che è sufficiente una qualsiasi attività concretamente idonea anche solo ad ostacolare l’identificazione della loro provenienza». Quindi, stando alla sentenza, «il reato di autoriciclaggio risultava dunque già integrato con la preliminare operazione di cambio della valuta attuata dal ricorrente servendosi di società estere, poiché tale condotta era concretamente idonea a ostacolare l’identificazione delittuosa dei proventi utilizzati per l’acquisto dei Bitcoin».
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Riduci
L’accordo di appena un anno fa, della durata di quattro stagioni e per un totale di 85 milioni di dollari, è già saltato. I nerazzurri hanno dovuto rinviare la presentazione della seconda maglia. A gennaio a New York c'era chi metteva in dubbio Digitalbits.È un mercato senza controlli e senza restrizioni sugli importi delle transazioni. Quindi per i criminali diventa facilissimo acquistare, rivendere e spostare la crittografia anche in altri portafogli «non dichiarati». Lo speciale contiene due articoli.Dovevano essere la novità per risollevare le sorti del calcio italiano, a caccia di sponsor e soldi data la difficoltà a reperire fondi come la Premie League dove l’ultima squadra in classifica guadagna di diritti televisivi quanto l’Inter: lo Sheffield United incassa ogni anno 105,6 milioni rispetto ai 100 dei nerazzurri. Eppure i bitcoin si stanno rivelando un grosso rischio. Dopo il botto del 2021, con il record di ottobre, il 2022 si sta rivelando l’annus orribilis per le criptovalute con un calo del 40%. Bitcoin è scambiato a un prezzo intorno ai 20.000, mentre il 15 ottobre dello scorso anno arrivò a 61.000. La crisi continua. Anche se negli ultimi giorni Bank of America dato rassicurazioni ai suoi investitori. I buoni risultati del 2021 avevano convinto Inter e Roma a stingere accordi con Digitalbits una delle principali criptovalute a livello globale. Ma nelle ultime settimane la situazione ha iniziato a diventare difficile. Così a luglio è sparito il logo DigitalBits dal sito dei nerazzurri mettendo così a repentaglio l’accordo appena un anno fa, della durata di 4 stagioni e per un totale di 85 milioni di dollari. A quanto pare i soldi non sono arrivati. DigitalBits non avrebbe corrisposto all’Inter parte dei pagamenti relativi agli accordi del 2021. La situazione è critica. L’inter ha rinviato la presentazione della seconda maglia, in attesa di capire come andrà avanti il braccio di ferro con l'azienda di criptovalute. E pensare che a gennaio qualche investitore aveva lanciato l’allarme su New York Times presentando una causa a New York contro la società accusando alcuni manager di avere dirottato i soldi necessari allo sviluppo dell’azienda in operazioni come le sponsorizzazioni delle squadre sportive o persino viaggi di lusso.Gli avvocati dello studio legale Ford O’Brien, che seguono l’investitore che ha sporto sostengono che dietro Digitalbit non ci sia nulla. E hanno spiegato che queste aziende «non hanno una blockchain pubblicamente accessibile o qualcos’altro da mostrare, se non accordi di sponsorizzazione da milioni di dollari e continui annunci sul fatto che “la cosa vera” è in arrivo». DigitalBits è anche lo sponsor di maglia della Roma, in base a un accordo dello scorso luglio che vale 36 milioni di euro su tre anni. Anche in questo caso oltre alla sponsorizzazione c’è il progetto di sviluppo di criptovalute e non fungible tokens per i tifosi. DigitalBits, basata alle Isole Cayman, non è l’unica realtà legata al mondo delle criptovalute che si è conquistata uno spazio nel calcio in Italia. Tra gli altri, la piattaforma di trading Binance ha fatto un accordo da 30 milioni per la sponsorizzazione della Lazio, BitMex è sponsor di manica del Milan mentre Crypto.com (anche questa una piattaforma di trading di criptovalute) è sponsor della Lega Serie A. Anche in Europa qualche squadra si è affidata alle criptovalute. Socios, società maltese, realizza fan token per oltre quaranta club, tra cui Juventus, il Milan, il Barcellona, il Paris Saint Germain. Non è la prima volta che si parla di truffe intorno ai bitcoin. A inizio luglio l'Fbi, agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti, ha messo una taglia di 100mila dollari per chi offre informazioni che possano portare all'arresto dell'imprenditrice bulgara Ruja Ignatova. La regina delle crypto (come si è autodefinita), scomparsa nel 2017 dopo essere stata accusata di aver truffato 3 milioni di investitori con la sua criptovaluta per 4 miliardi di dollari. E’ è l'unica donna nella lista dei 10 criminali più ricercati al mondo. Nel 2019 è stata accusata di otto capi di imputazione, tra cui frode telematica e frode sui titoli. Cittadina tedesca che viveva in Bulgaria, Ignatova lanciò OneCoin nel 2014, con l'obiettivo di sostituire bitcoin come valuta virtuale leader nel mondo . Ha operato in tutto il mondo e 8 anni fa sosteneva di avere oltre 3 milioni di clienti. Ma a differenza di bitcoin o di altre criptovalute, OneCoin non era supportato da alcuna tecnologia di tipo blockchain pubblica, sicura e decentralizzata.La falsa criptovaluta non aveva valore reale e non poteva essere utilizzata per acquistare nulla. Le autorità statunitensi hanno definito uno dei più grandi schemi piramidali della storia e hanno affermato che Ignatova era la mente dietro la truffa. Secondo loro, ha operato come una rete di marketing multilivello e uno schema Ponzi, dove i primi investitori vengono incoraggiati a reclutare altri e quindi pagati dalle entrate degli investitori successivi. La maggior parte dei presunti collaboratori di Ignatova, incluso il co-fondatore di OneCoin Sebastian Greenwood, è stata arrestata. Greenwood è stato detenuto in Thailandia nel 2018. Poi è stato estradato negli Stati Uniti, dove è in attesa del processo. Il fratello minore di Ignatova, Konstantin Ignatov, è stato arrestato nel marzo 2019 a Los Angeles in relazione alla truffa. Si è dichiarato colpevole di frode e riciclaggio di denaro.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crisi-bitcoin-casi-riciclaggio-2657799324.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-riciclaggio-di-denaro" data-post-id="2657799324" data-published-at="1659520859" data-use-pagination="False"> Il riciclaggio di denaro Nel settembre del 2021 fu arrestato a Bologna un cittadino polacco di 22 anni accusato di aver commesso reati finanziari con il computer. All’apparenza era un normale fatto di cronaca. Giovanissimo, fu subito estradato nel Regno unito, dove su di lui pendeva un mandato internazionale di cattura disposto dal tribunale di Canterbury per reati finanziari connessi all'uso di criptovaluta. Il ragazzo avrebbe sfruttato la rete di sportelli automatici di Bitcoin diffusi nel Paese d'oltremanica per riciclare denaro di provenienza illecita, per poi portare le somme fuori dal paese, su conti di terzi. A ottobre dello stesso anno ecco che arriva un altro arresto, questa volta a Genova. Nella vita di tutti i giorni sembrava una tranquilla madre di famiglia, ma in realtà era un'esperta hacker appassionata anche lei di criptovalute. La donnaè stata arrestata dalla polizia Postale dopo un'attenta e complessa indagine perchè ritenuta appartenente ad un'organizzazione transnazionale dedita alle frodi informatiche, alla ricettazione e al riciclaggio. Essendo ingegnere informatico era particolarmente esperta nel creare nuove identità. Era solita ritirare in punti di recapito sempre diversi della provincia di Genova gli oggetti che acquistava sui portali di e-commerce, utilizzando fondi, carte di credito e conti bancari di ignari malcapitati. Per eludere eventuali controlli, la donna andava nei punti di ritiro munita di documenti falsi oppure reclutava terze persone che, dietro compenso, ritiravano i pacchi al suo posto. Sono ormai casi più che normali di cronaca. Del resto la possibilità di rimanere anonimi con bitcoin ha reso la criptovaluta sempre più attraente per i criminali, in particolare per gli hacker, che chiedono spesso riscatti dopo aver rubato dati a istituzioni o organizzazioni. Il protocollo della Blockchain, infatti, su cui si basa la criptovaluta Bitcoin, ad esempio, non richiede alcuna identificazione e verifica dei partecipanti, né fornisce uno storico dei movimenti avvenuti collegati a soggetti necessariamente esistenti nel mondo reale. Secondo Chainalysis, think tank specializzato nello studio delle transazioni su blockchain, nel 2021 le attività cripto-criminali hanno raggiunto un giro d’affari che si aggira intorno ai 14 miliardi di dollari in tutto il mondo. Una cifra quasi doppia rispetto ai 7,8 miliardi dell’anno prima. sono le frodi legate all’emissione di token fasulli, i cosiddetti rug-pulls. E' un mercato senza controlli e senza restrizioni sugli importi delle transazioni, ha evidenziato in un webinar dello scorso anno la società Swascan, la prima it Security Platform italiana interamente in cloud. Quindi per i criminali diventa facilissimo acquistare, rivendere e spostare la crittografia anche in altri portafogli 'non dichiarati'. Non dovrebbe quindi stupirci come un utente di criptovalute sia stato in grado di guadagnare circa 80.000 in meno di un giorno dopo aver acquistato un CryptoPunk per meno di un centesimo.Nel gennaio di quest’anno la Cassazione si è espressa sulla materia, dopo l’impugnazione di una pronuncia del Tribunale di La Spezia, che aveva disposto il sequestro preventivo nei confronti del ricorrente, del profitto dei reati di autoriciclaggio contestategli; l’indagato, secondo il tribunale, aveva infatti traferito i proventi della sua attività di sfruttamento della prostituzione a società estere operanti nel settore della criptovalute, tramite bonifici in euro effettuati mediante carte intestate sia a sé, sia a dei prestanome. Le società in questione avrebbero poi provveduto ad acquistare criptovaluta (nello specifico, Bitcoin) con tali proventi, convertendo gli euro in “valuta virtuale”.Nel caso in esame, dunque, come rilevato dalle Corte, la perdita di tracciabilità del denaro proveniente da attività criminose che caratterizza tale fattispecie è stata realizzata mediante l’acquisto di criptovaluta tramite altri soggetti, che operavano nel ruolo di exchanger. La Cassazione ha affermato che, come già stabilito in precedenti pronunce, ai fini dell’integrazione del reato di autoriciclaggio «non occorre infatti che l’agente ponga in essere una condotta di impiego, sostituzione o trasferimento di denaro, beni o altre utilità che comporti un assoluto impedimento all’identificazione della provenienza delittuosa degli stessi, ma che è sufficiente una qualsiasi attività concretamente idonea anche solo ad ostacolare l’identificazione della loro provenienza». Quindi, stando alla sentenza, «il reato di autoriciclaggio risultava dunque già integrato con la preliminare operazione di cambio della valuta attuata dal ricorrente servendosi di società estere, poiché tale condotta era concretamente idonea a ostacolare l’identificazione delittuosa dei proventi utilizzati per l’acquisto dei Bitcoin».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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