2018-05-11
Gli Usa spingono il Fondo monetario in Argentina per salvare le loro pensioni
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Il presidente Mauricio Macri ha chiesto un prestito da 30 miliardi per mettere una pezza alla crisi economica, dovuta in particolare alla forza acquisita dal dollaro a seguito delle nuove politiche di Donald Trump. I bond secolari emessi dalla banca centrale albiceleste hanno attirato molti fondi previdenziali a stelle e strisce che ora temono un default.Mario Seminerio, analista finanziario, spiega alla Verità: «È la maledizione delle risorse naturali: ci sono Paesi ricchi di materie prime che non sanno gestire i cicli di boom e sboom finendo per indebitarsi». Sull'intervento dell'organismo di Washington: «Usare il prestito per imporre le sue politiche, può riportare il Paese al peronismo». Lo speciale contiene due articoli.La nuova politica monetaria della Federal reserve e le mosse commerciali della Casa Bianca, guidata da Donald Trump, stanno schiacciando le prospettive di crescita dei mercati emergenti. Dopo anni di rincorsa, i Paesi periferici che vedono le proprie economie interconnesse con il dollaro sono chiamati a fronteggiare un doppio fronte. Quello della valuta interna e quello delle materie prime. Vale per il Sudafrica, per il Brasile (vittima anche del proprio real) e la Turchia. Dalla lista nera non va ovviamente omessa l'Argentina, che tra tutte le nazioni esposte al dollaro resta la più debole, avendo fatto un default tecnico soltanto tre anni fa ed essendo uscita dalla crisi del 2001 soltanto nel 2017. Il crollo del peso della scorsa settimana è stato inizialmente tamponato con un rialzo dei tassi del 40%. La mossa non è servita a rallentare la progressione inflattiva tanto che il presidente Mauricio Macri ha aperto una trattativa per chiedere un appoggio finanziario al Fondo monetario internazionale da 30 miliardi di dollari. Analisti e opinione pubblica si sono divisi. Macri, arrivato alla Casa Rosada nel 2015 con la promessa di rilanciare l'economia nazionale con un pacchetto di riforme di stampo liberale, ha sostenuto una linea molto precisa: «Ho deciso di intavolare alcune discussioni con il Fondo perché ci accordi un sostegno finanziario. Si tratta dell'unico cammino da intraprendere per uscire dallo stallo e per cercare di evitare una grave crisi economica che ci riporterebbe indietro». E la mente vola subito agli anni del peronismo dei Kirchner. Il ministro delle Finanze, Nicolás Dujovne, ha raggiunto Washington per iniziare le trattative e Christine Lagarde, direttore dell'organizzazione, ha promesso che lavorerà insieme «per rafforzare l'economia argentina». La trattativa con il Fondo monetario riporta a galla le polemiche e gli scontri del passato. In queste ore la piazza è infiammata dalle proteste. Nel settembre del 2004, era stato il presidente Néstor Kirchner ad annunciare il rimborso dell'ultimo prestito concesso dall'organismo internazionale. «Dico formalmente ciao al Fondo monetario internazionale. L'Argentina ha pagato il suo debito», aveva detto alla folla radunata in Plaza de Mayo. La notizia era stata accolta come il primo passo verso il superamento della crisi del 2001. La guerra con l'organizzazione di Washington era stata condivisa anche da sua moglie, Cristina Kirchner, che gli succedette alla guida del governo. Nel 2013 la «presidenta» aveva espresso su Twitter la sua visione polemica nei confronti del Fondo, che aveva ritenuto inesatte le statistiche su inflazione e Pil elaborate dall'Indec, l'Istat argentino, e le aveva condannate. «Bisogna tenere conto del fatto che si tratta di un Fondo monetario molto diverso da quello che abbiamo conosciuto 20 anni fa», ha spiegato alle agenzie Dujovne. «Nel 2016 e nel 2017 abbiamo avuto un contesto internazionale molto favorevole ma ora le cose stanno cambiando. E siamo tra i Paesi che dipendono di più dal finanziamento esterno», ha spiegato il ministro argentino. Immediate le reazioni dell'opposizione: la coalizione formata dai kirchneristi del Fronte per la vittoria e dai peronisti del Partito giustizialista ha dichiarato in un comunicato che «l'accordo con il Fondo non deve essere fatto alle spalle del popolo argentino». E secondo un sondaggio, il 75% delle persone intervistate non è d'accordo con la misura, che considera «inadeguata». La domanda di fondo è quanto Macri sia libero di destreggiarsi tra i meandri finanziari. L'anno scorso il Paese ha emesso un bond secolare in dollari. Visto i rendimenti alti (che spiccano nella prateria dei tassi globali di solito poco superiori allo zero) si sono gettati sull'emissione numerosi fondi pensione Usa. La crisi dell'export di materie prime, il rialzo del dollaro e l'iperinflazione interna rendono difficile la gestione e il rimborso del megabond. In caso di default selettivo a lasciarci le penne sarebbero gli stessi fondi pensione statunitensi. Tanto che molti osservatori associano le urgenze dei fondi pensione con l'ingresso in campo del Fondo monetario internazionale. Ciò che è certo che le colpe della crisi sono certamente argentine ma gli sviluppi sembrano tanto a stelle e strisce.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/crisi-argentina-macri-seminerio-2567891161.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="mario-seminerio-ma-usare-il-fondo-monetario-come-sponda-puo-costare-la-presidenza-a-macri-e-aprire-al-ritorno-del-peronismo" data-post-id="2567891161" data-published-at="1757469269" data-use-pagination="False"> Mario Seminerio: «Ma usare il Fondo monetario come sponda può costare la presidenza a Macri e aprire al ritorno del peronismo» Per provare a fare un po' di chiarezza sulla crisi argentina senza indossare i paraocchi da invasati europeisti né tantomeno quelli da sovranisti duri e puri, La Verità ha fatto qualche domanda a Mario Seminerio, analista finanziario e animatore ogni sabato mattina su Radio24 della trasmissione I conti della belva.Siamo davanti all'ennesima crisi sudamericana, con l'Argentina sull'orlo di un default. Com'è possibile che un Paese così ricco di materie prime sia spesso in difficoltà?«È ciò che si definisce la maledizione delle risorse naturali. Ed è un problema comune anche ad altri Paesi sudamericani come Brasile e Venezuela. Senza cadere in sciocchi luoghi comuni al confine dello stereotipo razzista, possiamo dire che alcuni Stati gestiscono male i cicli spendono nel periodo di boom senza mettere da parte in previsioni delle flessioni. Altri, invece, come la Norvegia grazie al suo fondo petrolifero, hanno sempre dimostrato grande abilità in questa gestione».Il crollo del peso ha altre origini?«Ci sono altri fattori, come la siccità che ha ridotto l'export ma anche l'aumento dei tassi sul dollaro e la stessa valuta statunitense, la cui forza è da sempre veleno per i mercati emergenti». Quanto la situazione in Argentina è colpa del presidente Mauricio Macri e quanto dello stato in cui s'è ritrovato il Paese tra le mani?«Macri, il primo presidente non peronista della storia recente del Paese, ha ereditato una banca centrale fortemente dipendente dalla politica che soprattutto sotto Cristina Fernández de Kirchner stampava moneta senza sosta. Ora le firme di Macri sono graduali e l'equilibro fiscale è ancora lontano». Come raggiungerlo?«Con una politica monetaria restrittiva, grazie a una banca centrale maggiormente indipendente rispetto ai tempi dei Kirchner, e una politica fiscale altrettanto restrittiva per tagliare la spesa pubblica. Inoltre, Macri sta puntando a ridurre il debito eliminando i molti e insostenibili sussidi a settori centrali come l'energia e i trasporti. Ma questo rischia di riaccendere le proteste a causa dell'aumento dell'inflazione».In questi giorni si stanno registrando proteste e scioperi in tutto il Paese contro la trattativa avviata dal governo Macri per un prestito da 30 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale. E subito la mente vola al 2001, quando l'intervento dell'autorità di Washington portò alla crisi culminata con il default del debito pubblico.«È prematuro dare giudizi sul prestito, serve vedere le condizionalità. Ma il rischio politico è che Macri utilizzi il Fondo per imporre le politiche restrittive. Quest'organizzazione ha lasciato un ricordo di sofferenza tra la popolazione argentina e una mossa simile si tradurre facilmente in guai per il presidente liberale, aprendo la strada al ritorno del peronismo».Gabriele Carrer
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.