Crac di Vicenza, l’ultima beffa: nuovo sconto di pena ai responsabili
Nessuno si farà un giorno di carcere per il crac della Banca Popolare di Vicenza. I colpevoli sono stati individuati definitivamente dalla Corte di Cassazione, a cominciare dall’ex patron Gianni Zonin, ma tra prescrizione e sconti vari, se la sono cavata con meno di tre anni e mezzo di condanna. Il tutto a fronte di un dissesto da 8,7 miliardi, che ha azzerato il valore delle azioni per 111.000 azionisti, spesso costretti a sottoscrivere azioni della popolare non quotata per ottenere mutui e finanziamenti. E a fronte di risarcimenti chiesti da ancora 28.000 creditori della vecchia Bpvi, per un totale di 3 miliardi di euro, arriveranno solo pochi spiccioli.
Certo, la sentenza di martedì sera della Cassazione almeno mette la parola «fine» su uno scandalo bancario di proporzioni enormi e che ha richiesto dieci anni per essere accertato dai magistrati. L’ex presidente Gianni Zonin, ex campione della finanza bianca cattolica, sempre in prima fila alle assemblee della Banca d’Italia e per anni coccolato e vezzeggiato dai governatori della Banca d’Italia (eccetto Mario Draghi), è passato da una condanna a sei anni e mezzo in primo grado a una a tre anni e undici mesi in appello, e ora chiude i conti con tre anni e cinque mesi. Stessa pena inflitta alla fine all’ex vicedirettore generale Andrea Piazzetta. Sconto di sei mesi anche per l’altro vice Emanuele Giustini, che però aveva collaborato con gli inquirenti. Per Paolo Marin, altro ex vice direttore generale, altra condanna a tre anni. I reati contestati a vario titolo erano aggiotaggio, ostacolo agli organismi di vigilanza e falso in prospetto.
Il nuovo sconto a Zonin, che nel frattempo ha compiuto 87 anni e al quale non è mai stato neppure ritirato il passaporto, è arrivato in forza della prescrizione. L’altra bella notizia, per l’imprenditore vitivinicolo prestato all’alta finanza, è giunta lo scorso 14 gennaio, quando la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima una maxi confisca da 963 milioni da destinare ai risarcimenti, perché la sanzione era manifestamente sproporzionata.
Adesso che la vicenda penale è conclusa, seppure in tempi biblici, sarebbe il momento di vedere quanti soldi hanno recuperato coloro che si sono fidati di una banca cooperativa non quotata e di un banchiere che a Vicenza aveva saputo far pesare il proprio inserimento nell’establishment romano e siciliano (Bpvi si comprò perfino la palermitana Banca Nuova, per motivi mai chiariti).
A distanza di otto anni dalla liquidazione e dalla cessione della banca a Intesa Sanpaolo, i liquidatori sono ancora al lavoro, dopo aver provato in vario modo a disboscare lo stato passivo. I commissari Giustino Di Cecco, Claudio Ferrario e Francesco Schiavone Panni hanno depositato lo scorso 20 marzo in tribunale (a Vicenza) e in Banca d’Italia i loro conteggi finali. A parte le migliaia di ex soci che avevano già accettato tra il 2016 e il 2017 piccoli risarcimenti dalla Bpvi (con accordi tombali), oggi risultano 28.000 richieste di insinuazione al passivo per un totale di 3 miliardi. Oltre la metà dei richiedenti aveva sottoscritto le famose «baciate». Poi ci sono oltre 12.000 ex titolari di bond subordinati per 590 milioni di euro. In realtà, a fronte di questi numeri impressionanti, arriveranno pochi spiccioli perché i soldi che sono rimasti bastano a mala pena a risarcire lo Stato e Intesa Sanpaolo, che si era accollata la Popolare salvando correntisti e clientela. Queste priorità erano scritte nere su bianco nella legge di liquidazione.
La sentenza della Cassazione, per i risparmiatori, non può che avere un sapore agrodolce. L’associazione «Noi che credevamo nella Banca Popolare di Vicenza», tra le più attive nel tentativo di non far cadere il silenzio, osserva: «Si segna una tappa storica nel lungo cammino di giustizia per i risparmiatori truffati dal crollo della banca. Il processo ha messo in luce la responsabilità di coloro che, con azioni irresponsabili e malintenzionate, hanno causato il dissesto della banca e provocato ingenti danni a centinaia di migliaia di risparmiatori, famiglie e investitori». Tuttavia non può fare a meno di notare che «purtroppo il riconoscimento non restituisce completamente il maltolto, ma dimostra che Davide può far male a Golia». Durissimo il commento di Riccardo Miatello, del Comitato Ezzelino: «Sono stati prescritti aggiotaggio e falso in prospetto che interessavano ai risparmiatori. Nessuno farà un giorno di carcere. Per i risparmiatori vittime, la giustizia è morta definitivamente. Dove sono Consob e Banca d’Italia? I revisori brindano assieme agli imputati». Per questo motivo, il Comitato annuncia per venerdì, a Treviso, una nuova manifestazione che ha già un titolo: «Funerale del risparmio rubato».
La giustizia ha dunque impiegato dieci anni per arrivare a un punto fermo sulla vicenda, mentre il sistema bancario ha impiegato molto meno a riassestarsi. Dal 2017, la Banca d’Italia che nulla vide a Vicenza (l’ispezione decisiva fu della Bce nel 2015) si è lanciata in una grande iniziativa di «educazione finanziaria», veicolata anche dal Corriere della Sera. In pratica, dopo i crac bancari, non potendo rieducare i banchieri si è pensato di rieducare i clienti. Mentre alla tutela del risparmio pensa la Cassazione, a babbo morto.





