2021-05-21
Fuori in 25 per Covid: il River vince lo stesso
La squadra argentina, falcidiata da un focolaio, anziché aggrapparsi alla Asl di turno raccoglie la sfida e va in campo con 11 uomini contati, fra cui molti esordienti e un mediano in porta. Il successo per 2-1 vale l'accesso agli ottavi di Libertadores e agli almanacchi. «Grazie, mi sono riposato». Risponde così Enzo Perez a chi lo dipinge come un eroe e in suo onore attacca con la fisarmonica un brano di Gardel. Allarga le braccia e non ha altro da aggiungere il mediano del River Plate, portiere per una notte, simbolo vincente della lotta al conformismo, al Covid e al calcio degli scienziati. Ha 35 anni suonati, è reduce da un infortunio e quando l'allenatore Marcelo Gallardo gli chiede di giocare in porta la sfida di Copa Libertadores contro i colombiani dell'Independiente Santa Fe, pensa in rapida successione due cose: è matto o si è accorto che non corro più. In realtà il motivo è più elementare, ruvido: il virus cinese ha acceso un focolaio dentro il club e ha falcidiato la squadra, 25 in isolamento, solo 11 a disposizione e fra loro nessun portiere. I quattro presenti nella lista della Conmebol (l'Uefa sudamericana) sono contagiati. Disperazione dello staff tecnico ma nessun vittimismo. Il mister è Gallardo di nome e di fatto: «Niente scuse, dobbiamo e vogliamo giocare». Possiamo facilmente immaginare cosa sarebbe successo in Italia, anche perché è regolarmente successo: squadre moribonde blindate in albergo, guerre sanitarie fra Ats a colpi di provvedimenti, imbarazzanti ricorsi al Tar, partite rinviate di sei mesi, ambigue sentenze federali, giornali schierati per geopolitica, virologi scatenati in tv contro «imprudenti derive», vittimismo galoppante dei dirigenti per lucrare il massimo vantaggio. Il solito circo Medrano.A Buenos Aires, dove si dice che «le emozioni sono sempre più forti di noi», invece si gioca. Teutonici, sprezzanti, degni di Aureliano Buendia davanti al plotone d'esecuzione. I colombiani per contro sono sicuri di vincere: sulla panchina argentina non vedono nessun cambio, sanno che mezza squadra è formata da ragazzini e che in porta c'è il vecchio Perez, arnese di rientro dal Benfica e dal Valencia, jolly agli ultimi bagliori. Non immaginano che quella del Monumental sarà la notte delle beffe e che al termine della partita anche Wikipedia sarà costretta ad aggiornare il ruolo del giocatore: «centrocampista e portiere». Perez mostra coraggio e scontata goffaggine, è alto solo 1.74 ma non ha paura di uscire con i pugni e si fa applaudire per i rinvii di piede. Resistere un quarto d'ora con un portiere di fortuna è un'impresa raccontata e metabolizzata; Kyle Walker (Manchester City contro l'Atalanta), Francisco Farinos e Rodrigo Palacio (Inter), Harry Kane (Tottenham), Cosmin Moti (Ludogorets, parò pure un rigore) lo hanno fatto. Ma pensare di preparare e disputare un'intera sfida di Champions - nel 2021 con i satelliti che controllano i battiti e i tagli artistici fra le linee - con Rodrigo Bentancur al posto di Gianluigi Buffon o Roberto Gagliardini con la maglia di Samir Handanovic è qualcosa che appartiene al pianeta del Piccolo principe. Eppure si gioca, eppure Perez s'infila i guanti. Il Santa Fe non tira quasi mai in porta, subisce due gol a sorpresa (pazzesco il secondo di Julian Alvarez, nel mirino delle top d'Europa) e si sveglia tardi: risultato 2-1 con il portiere per caso e la mezza squadra Primavera che guadagnano la qualificazione agli ottavi di Libertadores. Talvolta il calcio è una Superlega naturale in cui vince chi ha più cuore e sa mettere insieme due caratteristiche fondative: la fortuna e il coraggio di sfidarla. Le parole di Gallardo lo confermano: «Abbiamo vissuto una notte che ci rimarrà marcata a fuoco sulla pelle. Siamo stati l'essenza di una squadra: abbiamo segnato quando serviva e abbiamo saputo proteggere il nostro portiere - defender a nuestro arquero - tutti insieme, impedendo loro di tirare». Premio per l'impresa, un giorno di vacanza.A ben vedere il River Plate si era allenato alla partita della vita tre giorni prima, quando con lo stesso spogliatoio vuoto e la stessa infermeria piena aveva dovuto affrontare il derby più elettrico del pianeta, il Superclasico contro il Boca Junior per la coppa d'Argentina. Anche qui, el arquero è il cuore di tutto. Il suo ruolo manesco in uno sport che ti costringe a pensare con i piedi è al centro della letteratura sportiva sudamericana. Dove dorme il sonno del giusto El Gato Diaz, il portiere «dai capelli bianchi che gli ricadevano sulla fronte da indio araucano» della Estrella Polar, protagonista del racconto di Osvaldo Soriano Il rigore più lungo del mondo. Senza farla troppo trombonesca, venerdì scorso alla vigilia del derby squilla il telefono a casa di Leo Diaz, il quinto portiere del River Plate, per essere precisi la riserva della squadra Primavera. Ha 21 anni ed è a tavola con i genitori. È mister Gallardo a interrompere il pasto, sempre alla ricerca di qualcuno che nello scempio sanitario giochi in porta. Gli altri quattro sono già tutti in quarantena, così lo convoca (per la Libertadores non potrà essere utilizzato perché non è nella lista e la federazione internazionale non fa deroghe). Leo non ha mai disputato un minuto in prima squadra ma non trema, anzi diventa protagonista del Superclasico: tre parate decisive su tiri di Carlitos Tevez, non suo cugino. Subisce un gol dall'Apache, ma il solito Alvarez pareggia e si va ai rigori.Qui accade qualcosa di stupefacente. Ricordandosi del penalty letterario del suo omonimo, ne para uno. Impresa non difficile perché Edwin Cardona, in modalità bullo davanti a un pivello, tenta un ridicolo cucchiaio con scavetto da trivella a svellere la zolla del dischetto. Risultato, la palla maltrattata si accuccia fra le braccia di Diaz fra le risate degli astanti. La partita finisce comunque con la vittoria del Boca ma il quinto portierino del River passa una notte da eroe, incoronato da Tevez: «Era a casa e lo hanno chiamato per salvare una partita del genere, giù il cappello». Tre giorni dopo, la replica con un mediano fra i pali. Dopo aver dimostrato che il portiere professionista è superfluo, a mister Gallardo manca ancora un traguardo: vincere senza.
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