Han fatto arrivare più immigrati di quanti potevamo accogliere. Poi li hanno scaricati nei quartieri ghetto e se ne sono scordati. A chi sollevava il problema davano del razzista. Ora sono i magrebini a dirsi razzisti: contro di noi. Sgominata una banda di terroristi islamici pronta a colpire in Italia.
Han fatto arrivare più immigrati di quanti potevamo accogliere. Poi li hanno scaricati nei quartieri ghetto e se ne sono scordati. A chi sollevava il problema davano del razzista. Ora sono i magrebini a dirsi razzisti: contro di noi. Sgominata una banda di terroristi islamici pronta a colpire in Italia.Ora non dite che è colpa degli italiani. Ora non parlate di ius soli. Quello che è successo a Peschiera, la prima prova politica del movimento Forza Africa in Italia, era ampiamente prevedibile perché covava da tempo nelle periferie delle città. E irresponsabilmente è stato lasciato crescere fra degrado, rabbie e rancori, coprendo il tutto con l’integrazione, la favola bella che ieri t’illuse, e che oggi t’illude. Ma non c’è integrazione nei Bronx d’Italia. Non c’è integrazione in corso Giulio Cesare a Torino o fra le gang di San Siro a Milano. E non per colpa degli italiani. Semplicemente perché i figli degli immigrati di seconda e terza generazione l’integrazione non la vogliono, come raccontano agli inviati dei grandi quotidiani che all’improvviso scoprono i quartieri di periferia, e sollevano il sopracciglio quanto sentono dire che loro, i ragazzi immigrati, non si sentono italiani ma «si percepiscano Africa». Chi l’avrebbe detto eh? «Ci sentiamo diversi, restiamo in disparte. È il nostro mood: un razzismo al contrario». Un razzismo al contrario. Proprio come quando sul treno del Garda urlavano: «Qui i bianchi non possono salire». Possono stare tranquilli i teppistelli nordafricani di tutti i Bronx d’Italia. Passerà presto. Al loro disagio non si aggiungerà a lungo quello di dover rispondere alle domande degli inviati dei giornali. Non c’è nulla in Italia che si dimentica più in fretta delle periferie. Le dimenticano i giornali, le dimenticano le televisioni, le dimenticano ovviamente le istituzioni. Negli ultimi mesi di Fuori dal coro ho cercato di raccontare spesso il fenomeno. Confesso che ogni tanto anche i miei inviati mi guardavano un po’ perplessi: dobbiamo tornare a Barriera di Milano? Dobbiamo tornare a San Siro? Perché? Non è cambiato nulla dall’ultima volta. Ecco, appunto, ci dobbiamo tornare proprio perché non è cambiato nulla dall’ultima volta. Perché non cambia mai nulla dall’ultima volta. Sono pentito di non aver tenuto una telecamera per un mese di fila in uno di quei quartieri lì. Bisognerebbe farlo. Così si racconterebbe la verità. E la verità, come sempre, è più semplice di quel che vogliono farci credere: abbiamo fatto arrivare più immigrati di quelli che potevamo accogliere. Poi li abbiamo scaricati nei quartieri emarginati delle città. Poi ce ne siamo dimenticati. Che cosa volevate che succedesse? Parlavano di integrazione e lasciavano crescere i ghetti. Parlavano di inclusione e intanto lievitava Forza Africa. «Ci sentiamo diversi», dicono i ragazzi ai giornalisti che li intervistano. Non è difficile da capire: se metti uno studente immigrato in una classe di italiani lo integri. Se metti una classe di immigrati con uno studente italiano non integri nessuno. E distruggi tutto. L’abbiamo ripetuto tante volte. Dicevano che eravamo razzisti. Dicevano che ci vuole l’accoglienza. Lo dicevano, ovviamente, dalle terrazze immacolate del centro, stupendosi perché, guarda un po’, quei cafoni della periferia osavano addirittura protestare. Anziché festeggiare l’invasione straniera in nome della Beata Accoglienza. Ovviamente vittime della propaganda dei soliti beceri razzisti. Non ci hanno capito nulla, anche se avevano già visto il film. Era già successo in Francia. Le banlieue che andavano a fuoco. E gli immigrati di seconda e terza generazione che non ne volevano sapere di sentirsi francesi. Finiremo così, dicevamo. Impossibile, rispondevano. Chiedevamo controlli, rispondevano controllatevi voi. Dicevamo: aprite gli occhi, rispondevano: chiudete la bocca. Così Forza Africa è cresciuta e ha fatto la prima prova generale di appropriazione fisica di un pezzo d’Italia. Che poi, per la verità, non è nemmeno così: a Peschiera è stato soltanto un fenomeno più plastico, visibile, duemila ragazzi che occupano una città e impongono le loro folli regole all’insegna del motto «Qui comanda l’Africa», non passano inosservati. Ma in realtà di «Qui comanda l’Africa» ce ne sono già tanti sparsi per la penisola. Pezzi del nostro Paese che non controlliamo più. Che sono passati sotto bandiera del Marocco o della Tunisia. Proprio come Peschiera l’altro giorno. Ora qualcuno prova a dare la colpa di tutto ciò agli italiani. Ma che potevano fare di più? Hanno accolto fin dove hanno potuto, hanno sopportato per il resto. Altri dicono che lo Stato doveva «dare ai ragazzi immigrati un’opportunità». Davvero? E che opportunità doveva dare? Che opportunità diversa da quelle (poche) che hanno avuto i ragazzi figli di italiani, nipoti di italiani che da generazione pagano le tasse e ricevano in cambio solo grane, invasione di stranieri compresa? L’unica cosa che lo Stato doveva fare davvero era fermare l’immigrazione e reprimere l’illegalità. Non ha fatto né l’una cosa né l’altra. Anzi il ministro Lamorgese ha appena annunciato nuove masse di immigrati in arrivo. Avanti tutta. È proprio quel che ci vuole. In periferia non vedono l’ora di sentirsi impartire nuove lezioni di accoglienza dalle terrazze vip. E la legalità? E i controlli? E, chiamiamola con il suo nome, la repressione? Non pervenuta. Durante il lockdown, mentre nelle periferie abbandonate crescevano ancor di più rabbia e rancore, le forze dell’ordine non sono state impiegate per dare la caccia ai delinquenti ma a chi non aveva il green pass. Ergo: è passato il concetto che in Italia è più pericoloso girare con la mascherina abbassata che con il machete alzato. Anche l’altro giorno a Peschiera, il sindaco aveva avvertito questura e prefettura del pericolo incombente. Non hanno fatto nulla per impedire lo scempio. Come minimo questore e prefetto dovrebbero essere rimossi. Altrimenti dovrebbe essere rimossa direttamente la Lamorgese, e forse sarebbe meglio. Invece di tutto ciò non si parla. Anzi, c’è pure qualcuno che dice che la soluzione è accelerare la legge sullo ius soli. Che è un po’ come a dire a uno che sta morendo di indigestione, stai tranquillo ti curo con le lasagne alla bolognese e il tiramisù. Finirà che si scoppia. Ma per davvero.
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