2025-03-08
Jethro Tull, AC/DC e una bella doccia. Così i maiali fanno un buon...musetto
Pierluigi De Meneghi ha vinto due «olimpiadi» per il suo insaccato che deriva da suini allevati con metodi non proprio tradizionali. «Il consiglio della musica arriva da un veterinario». E gli chef stellati ringraziano.È vero che il Veneto, e il Trevigiano in particolare, è terra di devozione suina, laddove nella civiltà rurale il maialino era uno di famiglia e al termine del suo ciclo si immolava (senza saperlo) per integrare di grassi e proteine le parche diete delle famiglie. Ma chi avrebbe mai immaginato che in una delle capitali del Veneto bianco, Riese Pio X, terra natale di un Papa che ha fatto la storia del Novecento, prendesse piede nientemeno che Porcomondo, una jam session di eventi diversi, ideata dal pirotecnico Matteo Guidolin, che per un mese celebra vari pellegrinaggi a dimensione suina, tra celebrazioni di salami e soppresse con tanto di concorsi e, su tutti, il Campionato del mondo del museto? Sono storie che hanno radici nella tradizione tutte da scoprire, per conservarle a futura memoria. Potrebbe essere questa la sintesi che introduce l’indovinata iniziativa voluta dalla «Ingorda confraternita del museto». Un prodotto «cenerentola» della mattanza suina, secondario e ultimo - per materia usata - rispetto a salami, soppresse & co. Nell’albo d’oro ci sono nomi quali la famiglia Mion, da papà Dilario all’erede Davide, oppure quel volto «alla Hemingway» di Luigi Fabian. Paracadutista della Folgore in gioventù, piombato poi nella trincea suina senza se e senza ma. Anche perché il musetto è roba seria, come ricorda uno dei suoi migliori interpreti, Pierluigi De Meneghi, di Spresiano, un «metal becher che per ben due volte si è assicurato il Museto d’oro all’olimpiade suina di Riese, divenuta poi Campionato del mondo dal 2022: «Il musetto è un insaccato che ha bisogno di tante attenzioni, molti lo sottovalutano ma, nella mia esperienza, credo che sia quello più difficile da fare». Un capolavoro che nobilita le parti più umili del maiale.De Meneghi è un norcino di ritorno. La famiglia, da sempre, come nelle migliori tradizioni del Veneto rurale, aveva una o due «creature» allevate nel cortile di casa. Da papà Fausto ha appreso un affettuoso testamento: «Nella nostra famiglia, da sempre, abbiamo allevato almeno un maiale a stagione». Siamo in pieno boom economico e Pierluigi, classe 1964, insegue il desiderio di un Nordest che lo faccia decollare verso un benessere migliore, senza prendere le rotte di quell’emigrazione che ha fatto sognare generazioni con la valigia in mano. La vita è un rollercoaster, per dirla in chiave rock, cioè una montagna russa fatta di saliscendi e imprevisti, che devi saper affrontare restando in sella. Ecco, allora, che nel 2015 Pierluigi, da sempre operativo in un’azienda metalmeccanica, affronta un percorso di preparazione gestito dalla Regione Veneto per avviare una Ppl, ovvero una piccola produzione locale: qualità e garanzie nel rispetto della tradizione.Si apre un altro mondo. Il metal becher (macellaio con precedenti metalmeccanici) sa cosa vuole e seleziona alla fonte i suoi fornitori. La logistica è dietro la porta di casa, un terreno agricolo mantenuto come un giardino. Non più di 30 maialini all’anno. Li adotta giovanetti (60 chili) e, in sei mesi, li porta a viaggiare di quarta taglia, 240/260 kg. Non c’è trucco. Tutto naturale, come natura dispone. Nei cinque campi di famiglia si semina e coltiva: mais, orzo, frumento, tutto naturale. Sali minerali per integrar le brumose arie del Nordest.Ma la marcia in più arriva dai ricordi giovanili. Pierluigi fa riemergere la soffiata sapiente di un veterinario, il dottor Dell’Onore, che a Spresiano era una sorta di predicatore rurale: «Fate stare bene le vostre bestie, daranno un latte migliore, magari con un po’ di musica in stalla come sottofondo». Si riferiva alle stalle vaccine, ma le buone idee non hanno confini. Nella colonna sonora di De Meneghi echeggiavano i ritmi degli U2 di Bono Vox e dei più ruspanti Nomadi, quelli di Crescerai, in questo caso per creare salami e insaccati da hit parade golosa. Perché non applicare la musica quale accessorio in più a una selezione biologicamente mirata? Un timer attiva la vecchia radio anni Cinquanta, posta a sentinella entro la stalla, con musiche trasmesse dalle migliori emittenti deejay del momento.Ma non basta. Pierluigi ha metabolizzato anche un’altra regola del buon allevatore. Il benessere dell’animale passa per la capacità di farlo adattare, nel miglior modo possibile, all’ambiente che lo circonda. Detto, fatto. Non ci sono solo Jethro Tull o gli AC/DC, quando fa caldo ci vuole una bella doccia fresca, come se ci si trovasse in spiaggia a Malibù (o a Jesolo). Queste le premesse. Poi la sostanza. Nella «sala operatoria» si procede con debita lavorazione manuale. Come da tradizione. Sale di Cervia (il migliore per queste necessità) e pepe. La prima asciugatura degli insaccati avviene con la stufa a legna (quella con cui le nostre nonne ci hanno dato il primo imprinting goloso). La stagionatura si fa in ambiente adeguato, con temperature ed umidità conseguenti. «Il tempo non va a braccetto con la fretta», tiene a precisare De Meneghi, «i salumi sono materie vive, possono avere bisogno di tempi diversi per valorizzare al massimo le proprie caratteristiche organolettiche». Con le celle frigorifere si viaggia certamente più spediti ma con una standardizzazione del prodotto che ne fa perdere molto dell’originalità artigianale. Nella «Beccaria» by De Meneghi si trova molto altro oltre al musetto che lo ha reso celebre mediaticamente anche se, tra addetti ai lavori e palati conseguenti, la sua fama era già consolidata, con prenotazioni che arrivano da tutto il triveneto. Ecco allora la sopressa «da corriera», lunga oltre un metro «perché una volta, quando si andava in gita, se ne prendeva una grande che potesse accontentare tutti, con il pane fresco di forno dove si ci fermava». Oppure la costea, un prodotto dimenticato, riportato a nuova vita. «Si prende la costa del maiale, la si svuota dell’osso, la si riempie con macinato di salame e pancetta e la si avvolge». Un’opera di archeologia suina giustamente premiata dall’Accademia italiana della cucina con l’assegnazione del prestigioso premio Dino Villani, nel 2024, per «prodotto artigianale eccellente». Il salame, oltre che con sale e pepe, viene frollato con vino rosso, rigorosamente della casa, il carmenère, risorto dall’essere stato uniformato come cabernet franc, che, con meno di un ettaro dietro casa, ora è imbottigliato con etichetta dedicata ai genitori, Fausto ed Eugenia.Altra chicca è la bondiola, un mix di musetto e lingua: «Pensavamo fosse una tradizione romagnola, ma ho scoperto che la produceva anche qualche famiglia, sulle rive del Livenza». Nella cantina di pochi metri quadri l’occhio viene calamitato da una creatura dalla pezzatura importante, tra i dieci e venti chili. «La chiameremo la menegona, un omaggio alla nostra famiglia, i De Meneghi». Quando si dice che galeotta è la vita. Nei primi anni, Pierluigi girava nei week end con la macchina carica di insaccati e non tornava a casa prima di averli piazzati a osti e trattorie conseguenti. In una frettolosa pausa caffè a Zero Branco, l’oste in sovrappensiero gli raccontò di un insaccato fatto con pancetta, costicine e carrè di maiale. Una maggiorata che, a confronto, Marylin Monroe era poca cosa. Detto, fatto.La menegona svetta in bella vista, stagionatura a 36 mesi. Ecco che così, dai metal mezzadri del boom economico degli anni Sessanta si è passati al metal becher del terzo millennio. Ed è proprio grazie ad artigiani dell’arte suina come De Meneghi e altri sparuti colleghi che poi, cuochi stellari come Antonia Klugman o Massimiliano Alajmo elaborano i loro gioielli con musetto protagonista. La regina del Collio, abbinandolo a ciliegie e sambuco. Il padovano, con il musetto a mò di raviolo, astuccio di crema di marroni, il tutto decorato con lamelle di tartufo e gocce di balsamico tradizionale.