2019-02-08
«Corruzione al Consiglio di Stato. Soldi ai giudici e sentenze pilotate»
Quattro persone arrestate con l'accusa di aver aggiustato diversi processi. Il filone fa parte dell'inchiesta sull'avvocato Piero Amara, che si connette anche a Consip. «Truccate pure le elezioni regionali in Sicilia».Alla fine il facilitatore giudiziario Piero Amara, che quando era in attività gestiva un quotatissimo studio legale con sedi a Roma e Dubai, ha fatto come Sansone. E tra i filistei che si è portato dietro con le sue dichiarazioni in Procura ci sono tre toghe che un tempo annoverava tra i suoi amici e un avvocato. Il colpo di coda sulla maxinchiesta che ha tolto il tappo al pantano melmoso in cui secondo l'accusa si muovevano magistrati di mezza Italia è arrivato ieri mattina: il gip di Roma Daniela Caramico D'Auria ha disposto gli arresti domiciliari per il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo (da poco in pensione), già arrestato a marzo dello scorso anno con l'immobiliarista Stefano Ricucci, per l'ex presidente del Consiglio di giustizia amministrativa siciliano Raffaele De Lipsis, per il deputato siciliano di Popolari e autonomisti Giuseppe Gennuso di Siracusa e per l'ex consigliere della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso (anche lui in pensione).L'accusa: corruzione in atti giudiziari per aggiustare e pilotare sentenze al Consiglio di Stato e al Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia. Un capo d'imputazione ricorda l'inchiesta Consip, con tanto di personaggi da Giglio magico.Perché l'avvocato Amara da Siracusa non era soltanto un collaboratore legale dell'Eni, come era apparso nella prima tranche dell'inchiesta. Ma, a sentire i magistrati romani, era il perno di un sistema di relazioni tra toghe della giustizia amministrativa e aziende che partecipavano ad appalti pubblici milionari. O, per spiegarla meglio, tra imprenditori e giudici che sarebbero stati sensibili al profumo dei bigliettoni. Il meccanismo per gli inquirenti era semplice: sarebbe bastato trovare il consulente giusto e farlo nominare dai magistrati. A dirlo agli investigatori è stato proprio Amara: «L'elemento determinante in realtà fu poi l'intervento di Caruso, se devo essere sincero, perché soltanto dopo l'intervento di Caruso ci fu effettivamente la nomina (del consulente scelto dagli indagati, ndr)... Insomma abbiamo visto un risultato tangibile dopo l'intervento del Caruso». E poco dopo, nello stesso verbale: «Tenga presente che noi (il consulente, ndr) lo presentiamo come il consulente della Procura della Repubblica». E il gioco è fatto.Il giro di mazzette sarebbe stato di 150.000 euro. Ed è solo quello accertato in questo capitolo dell'inchiesta, che si compone di quattro capi d'imputazione. Il primo è dedicato agli uomini dell'indagine Consip. Perché tra gli indagati c'è l'avvocato Stefano Vinti, legale dell'imprenditore napoletano Alfredo Romeo (l'uomo da cui l'indagine Consip prese le mosse). L'avvocato, ricostruiscono le inchieste, avrebbe comprato sentenze «a pacchetti». E in questo caso, secondo gli investigatori, avrebbe incassato dei favori proprio da Amara. E così Vinti, grazie all'aiuto del collega che rappresentava l'azienda concorrente, avrebbe ottenuto dietro compenso, secondo l'accusa, la nomina del giudice Russo come presidente del collegio arbitrale di un contenzioso da 74 milioni di euro. Le parti contrapposte erano la Sti di Ezio Bigotti (che in Consip pranzò assieme a Denis Verdini e all'allora amministratore delegato della centrale acquisti della Pa, Luigi Marroni) e la Antas srl di Sergio Gilio.Il giudice De Lipsis, invece, sarebbe stato tra le toghe sulle quali Amara e il suo socio di studio, Giuseppe Calafiore (anche lui ha riempito decine di verbali), potevano contare, mentre l'ex giudice della Corte dei Conti, Caruso, era l'uomo che avrebbe gestito il giro di tangenti per conto di De Lipsis, al quale sarebbero stati consegnati 80.000 euro per pilotare una causa in cui era coinvolto il Comune di Siracusa. Infine, De Lipsis sarebbe intervenuto a favore di Gennuso in un ricorso presentato dopo la sua mancata elezione alle regionali del 2012. Il tribunale amministrativo annullò quel risultato elettorale e Gennuso venne rieletto nell'Assemblea della Regione Sicilia. Anche in questo caso ci sarebbe stato un regalino per De Lipsis: 30.000 euro, che sarebbero stati consegnati all'ex giudice della Corte di conti Caruso. È Calafiore a ricostruire il flusso finanziario: «So che la questione Gennuso l'ha curata Caruso e che il Cga cambiò il verdetto del Tar (…) Gennuso paga in contanti 40.000 euro a me e io li do ad Amara. I soldi poi vengono dati a Caruso. I soldi a me li dà a Roma. Caruso tornò per cercarne altri e mi disse che Amara gli aveva dato i primi, anche se solo 30.000 euro. Poi Gennuso non so se ci pagò anche una parcella, e comunque ulteriori contanti per 30 o 40.000 euro. A Caruso li ho dati io questa volta. Non so a chi Caruso li diede (…) Poi successe che la sentenza fu a favore di Gennuso e si disposero nuove elezioni. Che Gennuso vinse (…)».Su questo punto Calafiore e Amara, però, non sempre sono concordi. Ma il gip annota: «Le dichiarazioni dei due, anche se in alcuni punti divergono tra loro, convergono sul nucleo essenziale dell'accordo corruttivo e in particolare: il corruttore che si è servito della loro mediazione è Giuseppe Gennuso; Gennuso ha consegnato somme di denaro in contante a Calafiore quale prezzo della corruzione di De Lipsis; le somme di denaro sono state consegnate da Calafiore a Caruso a Roma, la prima volta attraverso Amara, la seconda volta direttamente». La prova? Dalle indagini, annotano i giudici, «è emersa l'esistenza di una cospicua disponibilità finanziaria da parte di De Lipsis e dei suoi familiari per oltre 5,8 milioni di euro», un dato che «appare alquanto anomalo se confrontato con i redditi dichiarati». E sono scattati gli arresti.