2022-09-27
«Così Zingaretti ha buttato milioni pubblici»
La Corte dei conti inchioda il governatore del Lazio (ed ex segretario dem): «Fatti contratti assurdi sulle mascherine. Ma lui ha voluto rinnovarli e li ha poi disdetti solo quando è decaduto lo scudo legale».L’invito a dedurre spedito dal viceprocuratore generale della Corte dei conti Alfio Vecchio a Nicola Zingaretti, accusato, insieme con il capo della Protezione civile regionale Carmelo Tulumello, di un danno erariale da 11,7 milioni di euro, è un atto d’accusa pesantissimo nei confronti del decantato Modello Lazio. Un documento da cui la gestione della Regione appare come un misto di furbizia, di disprezzo delle regole, di bugie e di arroganza. La prova? L’allora segretario del Pd, pur di non ammettere, dando ragione alle opposizioni, di aver preso una sòla da un’azienda attiva nel commercio di lampadine, avrebbe ritardato la denuncia, perdendo così irreparabilmente un acconto da 11,7 milioni di euro. A metà marzo 2020, in piena emergenza pandemica, la Regione aveva firmato un contratto da 35,8 milioni di euro per 9,5 milioni di dispositivi di protezione con una Srl «senza alcuna competenza nel settore dei dispositivi medici» e dopo circa dieci giorni la Protezione civile era stata costretta a rescindere gli accordi accusando la ditta di «totale inaffidabilità» e di «spregio delle più elementari regole di diligenza». In quel momento, ricorda la Corte dei conti, sarebbe stato possibile recuperare 4,35 milioni di euro di anticipi ancora presenti sui conti della Ecotech, «con un celere sequestro […] conseguente ad una tempestiva denuncia, che non è stata fatta», se non un mese dopo, «producendo dossier, tesi più a giustificare il proprio operato che a recuperare gli importi elargiti». Per il viceprocuratore «la responsabilità amministrativa» di Zingaretti e Tulumello «deriva dal grave danno patito» dalla Regione per l’«inerzia, inspiegabile e ingiustificabile» dell’ente «nell’attivarsi in via cautelare e urgente per riavere le somme» prima che queste sparissero «in oscure e complesse movimentazioni bancarie internazionali». Secondo l’accusa l’amministrazione regionale, «per quanto sprovveduta», non poteva non aver «piena contezza» della situazione, ma «sorprendentemente», invece, di «denunciare quanto accaduto e attivarsi per il recupero» del denaro «si assumeva la responsabilità di intavolare una illogica e infruttuosa interlocuzione con la Ecotech». Fatti che testimonierebbero «l’assoluta confusione e irragionevolezza dell’azione amministrativa condotta sulla vicenda». L’improvviso cambio di rotta, deciso da Zingaretti, aveva convinto il fedelissimo Tulumello a «concedere di nuovo fiducia» alla Ecotech attraverso «le nuove stipule» (bollate come strumento «inusuale, improprio e illegittimo») del 10 aprile, che non si basavano su modifiche sostanziali dei precedenti contratti, ma «regalavano» all’azienda il «riconoscimento di termini di consegna più lunghi, al medesimo prezzo». La nuova apertura di credito si basava su presupposti farlocchi: la presentazione di fideiussioni risultate «irregolari e illegittime» e di una certificazione, «poi rivelatasi anch’essa grossolanamente falsa», circa la presenza delle mascherine, stoccate e pronte per l’invio, nell’aeroporto di Shanghai.Per l’accusa ci troveremmo di fronte a «comportamenti assurdi, sul piano giuridico e sul piano del perseguimento dell’interesse pubblico per l’antieconomicità», di «inefficacia dell’operazione». I giudici parlano di «manovra svantaggiosa» anche perché il prezzo, considerato «spropositato» per Ffp2 e Ffp3 (rispettivamente 4,36 e 4,76 euro a mascherina), era condizionato ai «brevissimi tempi di consegna» del primo carico, previsto «solo due giorni dopo» la firma dell’accordo. Ovviamente «tali tempi di consegna “immediati” presupponevano che la Ecotech avesse già la disponibilità delle mascherine e non che dovesse cercare di acquistarle sui mercati». Peccato che i titolari dell’azienda fecero quella promessa il 16 marzo senza avere neanche una mascherina in magazzino e dunque, già dal 18 marzo, fosse «chiaro e conclamato l’inadempimento e l’inaffidabilità della ditta». Tutto questo, evidenzia Vecchi, accadeva sotto lo scudo deciso dal governo (di cui Zingaretti era il secondo azionista) per gli amministratori in piena pandemia. Ma quando, il 24 aprile 2020, il decreto legge non venne convertito in legge, improvvisamente il governatore rinsavì e revocò i contratti, mentre il suo fido Tulumello, il 27 aprile presentò un esposto penale sulla vicenda. Quando i buoi o, meglio, i milioni erano scappati. Bisognerà capire se lo scudo temporaneo, durato un mese, salverà Zingaretti e Tulumello dall’accusa di colpa grave. In ogni caso le accuse della Corte dei conti pesano come macigni, almeno a livello politico. Per le toghe contabili l’«inaffidabilità» della Ecotech, ditta «sconosciuta» e senza «referenze in forniture pubbliche», era già «facilmente presumibile anche solo analizzando» la visura camerale: era una Srl «quasi senza dipendenti, con, all’epoca, una sede improbabile in un terreno incolto a Ciampino, con un capitale sociale minimo del tutto sproporzionato per una fornitura di 35,8 milioni di euro». Ma come hanno fatto a ottenere un simile affidamento questi sconosciuti? Lo avevamo raccontato ai nostri lettori il 5 maggio 2020. A fare fa trait d’union tra la ditta e la Regione era stato un istruttore di karate, vecchio maestro di Andrea Cocco, in quel momento vicecapo di gabinetto di Zingaretti. «Il dato eclatante», si legge nell’invito, è che «le caratteristiche della società prescelta non abbiano frenato l’amministrazione regionale dal riconoscere l’immeditato versamento» degli acconti, nonostante la Ecotech non abbia offerto «alcuna polizza assicurativa o garanzia fideiussoria».È vero che, a fine marzo, la Protezione civile, a fronte della mancata consegna delle mascherine, aveva risolto due contratti su tre e inviato due diffide per il terzo contratto di affidamento. Ma subito dopo «l’amministrazione regionale, in concomitanza con l’intervento del Presidente, ha cambiato drasticamente linea di condotta», una linea che, come detto, «trovava giustificazione nel merito in due circostanze rivelatesi poi del tutto inidonee e false». Effettuate le contestate «novazioni», la Regione, con un comunicato stampa, rivendicava le nuove stipule e ribadiva che non c’era stata «nessuna truffa, ma solo una bufala che strumentalmente è stata utilizzata per infangare l’operato della giunta regionale». Il viceprocuratore rimarca come «di fronte alla polemica politica e giornalistica, l’amministrazione regionale assumeva linee di comportamento contraddittorie e diametralmente opposte a quanto fatto sino a quel momento, in coincidenza cronologica con il coinvolgimento politico e mediatico del Presidente Zingaretti».Una svolta gravemente stigmatizzata nell’invito a dedurre: «I vertici della Regione Lazio decidevano con piena consapevolezza e rivendicandolo pubblicamente di stipulare nuovi atti con la Ecotech Srl, attribuendosi “il merito” di non procedere al recupero dei 14,68 milioni di euro versati, nonostante tutti gli straordinari elementi di pericolo e inaffidabilità sopra elencati». Per i giudici Zingaretti, «a seguito dello scoppio della polemica politica e mediatica, ha ostinatamente difeso la scelta della Regione di procurarsi le mascherine tramite la piccola srl affidataria, trascurando contro ogni evidenza il pericolo di perdere l’anticipo versato a una ditta già inadempiente». Inoltre «focalizzava eventuali azioni legali per il risarcimento del danno contro chi aveva denunciato la scarsa trasparenza dell’affidamento e il rischio di perdere il cospicuo anticipo, ma escludeva azioni nei confronti di chi stava sottraendo le risorse pubbliche. Tale curioso atteggiamento, assunto con forza sui media e anche di fronte all’opinione pubblica, ha chiaramente indirizzato l’agire amministrativo». Infatti Tulumello «cambiava repentinamente atteggiamento nei confronti della Ecotech e, smentendo se stesso e quanto scritto nella diffida ad adempiere e nella risoluzione dei contratti, tornava a considerare la ditta affidataria come un interlocutore affidabile nonostante il conclamato e del tutto ingiustificato inadempimento». Per Vecchi «tale rinnovata fiducia era del tutto illogica», oltre che «incomprensibile e inspiegabile», ma «dopo la presa di posizione pubblica del Presidente della Regione, era difficilmente immaginabile che il dirigente della Protezione civile, nominato da Zingaretti stesso e suo uomo di fiducia, assumesse condotte in contrasto con l’intervento pubblico assunto». Qui il viceprocuratore ricorda le polemiche sorte intorno alla nomina di Tulumello, «promossa personalmente da Nicola Zingaretti». Il dirigente sarebbe legato al governatore «da una militanza politica in campagne elettorali locali e, in base alle denunce, avrebbe avuto anche un debito di gratitudine verso Zingaretti per aver beneficiato di una nomina a capo della protezione civile in assenza di esperienze specifiche». E così Tulumello «non abituato a gestire forniture sanitarie, si è trovato a stipulare, senza gara, contratti ingenti per scelta dello Zingaretti». Il quale «ha accentrato, in deroga alle consuete competenze, gli infelici eccezionali acquisti su un soggetto sostanzialmente di sua nomina e fiducia, nonché carente di esperienza».Anche riguardo alle fideiussioni «la Regione Lazio si attivava con estrema lentezza per verificare la natura del soggetto garante, chiedendo all’Ivass chiarimenti circa la correttezza e idoneità della garanzia fideiussoria soltanto in data 23 aprile 2020», dopo che le stesse domande e relative risposte erano state già pubblicate sulla Verità. L’ente guidato da Zingaretti si liberava della «ormai stucchevole» rapporto con la Ecotech dopo aver perso lo scudo legale, benché da almeno un mese fosse chiaro che «la ditta affidataria aveva assunto un comportamento dolosamente inaffidabile» e da marzo «l’inadempimento nella fornitura fosse grave e conclamato». Il 27 aprile viene presentato un esposto volto a «giustificare le proprie condotte più che ad accusare i percettori delle risorse e promuovere il recupero delle somme pubbliche distratte» e «solo in data 18 maggio 2020, il Presidente della Regione Lazio conferiva procura all’Avvocatura regionale per un ricorso per decreto ingiuntivo». Una strada, quest’ultima, considerata negli uffici di viale Mazzini «irragionevole e non efficace». Un interesse diretto del governatore nella vicenda delle mascherine emergerebbe dalla segnalazione da parte della sorella del governatore, Angela, di possibili fornitori, ma anche da un’altra circostanza, raccontata in esclusiva dalla Verità nell’aprile 2020. Ma non è finita. «Un altro episodio rende plasticamente come l’ingerenza dello Zingaretti nella gestione della fattispecie non fosse occasionale, ma il frutto di consueto interessamento in tema di forniture nel periodo pandemico» scrive Vecchi. «Con email del 20 marzo 2020, il presidente della comunità̀ ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, nell’inviare un’email alla Regione Lazio, con allegati contratti di fornitura di mascherine esordisce scrivendo: “Come da richiesta di Nicola Zingaretti, mi sono attivato per far fronte alle richieste di aiuto della Regione Lazio». La missiva di Pacifici era stata raccontata con ampio risalto su questo giornale il 13 maggio 2020. Dunque Zingaretti «si è ingerito, forte della propria autorità e dei propri poteri», mentre Tulumello, «ha prestato acquiescenza alla nuova linea di grottesca interlocuzione con la Srl inadempiente, ritardando oltremodo le denunce da eseguire».
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