2024-05-04
Conte accusa: salari da fame. Ma in 3 anni a Palazzo Chigi non ha fatto nulla per alzarli
L’ex premier (2018-2021) annuncia una proposta di legge sulla paga minima e sposa il referendum Cgil pro articolo 18. Non si è mosso però quando guidava l’Italia con il Pd.Da giorni mi frulla in testa una domanda. Dopo aver visto il leader dei 5 stelle, Giuseppe Conte, manifestare il primo maggio a Piana degli Albanesi, assieme a Elly Schlein e alla Cgil, mi sono chiesto perché l’avvocato di Volturara Appula abbia atteso tanto a dire ciò che pensa del lavoro e dell’articolo 18. In piazza per commemorare le vittime di Portella della Ginestra, dove nel 1947 la banda di Salvatore Giuliano sparò sui contadini facendo una strage, il capo pentastellato non solo ha annunciato di essere pronto a raccogliere le firme per una proposta di legge sul salario minimo, ma ha anche detto che firmerà la richiesta di referendum sul Jobs act presentata dalla confederazione di Maurizio Landini. Ovviamente, Conte può fare e dire ciò che vuole, soprattutto in campagna elettorale. Non c’è politico che non sposi una causa con l’obiettivo di raccattare voti. Tuttavia, la mia domanda è semplice: perché ha aspettato di essere all’opposizione per accorgersi che gli stipendi dei lavoratori italiani sono da fame e le misure introdotte con la riforma del lavoro chiamata Jobs act sono inique? Il capo dei 5 stelle è stato presidente del Consiglio per ben tre anni e ha guidato non uno ma due governi, cambiando per di più maggioranza, prima con la Lega e poi con il Pd e la sinistra. Dunque, che cosa gli ha impedito di prendere atto che era necessaria una legge per imporre a tutte le imprese il pagamento di un salario minimo? Come mai quando era a Palazzo Chigi, pur essendo in vigore da anni, non ha pensato di cambiare il Jobs act? Forse non si era accorto delle storture della normativa che adesso denuncia?Come è noto, la riforma del lavoro che ora la Cgil vorrebbe abolire e alla cui raccolta di firme Conte si dichiara pronto ad aderire venne introdotta da Matteo Renzi con un decreto legge nel marzo del 2014, vale a dire ben dieci anni fa. Il provvedimento fu poi perfezionato nel dicembre di quell’anno e già all’epoca il nocciolo del problema erano le limitazioni all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, quello che di fatto impediva i licenziamenti individuali. La norma fu contestata ma senza troppa convinzione dal sindacato, forse perché a quei tempi Renzi era il segretario del Pd e dunque alla Cgil pensarono che non fosse il caso di disturbare il manovratore, soprattutto quando chi stava a Palazzo Chigi era dello stesso partito. Dunque, il Jobs act divenne legge, ma dopo il 2014 c’è stato il governo di Paolo Gentiloni e anche un cambio alla guida del sindacato, dato che a Susanna Camusso alla Cgil è subentrato Maurizio Landini. E dopo Gentiloni, che perse le elezioni, è arrivato Giuseppe Conte. Possibile che dal 2018 al 2021 l’attuale leader dei 5 stelle non si sia accorto di come fossero a rischio i diritti di operai e impiegati? E il neosegretario della Confederazione generale italiana dei lavoratori, dal 2019 a oggi che ha fatto? Come mai non ha promosso un referendum per abolire le inique norme quando a Palazzo Chigi c’era un governo di sinistra? Le domande sono senza risposta, tuttavia una cosa dev’essere fondata: Conte e Landini devono aver riflettuto a lungo sulla questione, arrivando alla conclusione dopo cinque lunghi anni che il Jobs act deve essere abolito.Ma non c’è solo l’articolo 18. L’altro argomento che mobilita l’ex premier è il salario minimo. In occasione del primo maggio, Conte ha annunciato il deposito di una proposta di legge di iniziativa popolare a nome di tutte le forze d’opposizione. «È un impegno che abbiamo preso con milioni di lavoratori e lavoratrici sottopagati», ha detto. Ma anche in questo caso mi chiedo: come mai l’avvocato di Volturara Appula, l’impegno lo prende con milioni di lavoratori e lavoratrici solo quando non lo può realizzare? Forse si è reso conto che in Italia ci sono salari da fame solo adesso che non è il più al governo e dunque non può fare nulla? Nel 2018 lui poteva contare su un partito del 30% e, ammesso che la Lega non fosse disposta a seguirlo sul salario minimo, nel 2019 aveva un esecutivo di cui facevano parte il Pd e anche i partititi della sinistra estrema, che certo non sarebbero stati contrari a una legge che alzasse gli stipendi più bassi. Dunque, perché non l’ha fatta? Perché ha aspettato di essere minoranza? Forse pensava che con il reddito di cittadinanza non ci fosse più bisogno di un salario? Alla fine, la risposta che mi sono dato è una sola e per spiegarvela devo prendere a prestito un soprannome coniato da Giampaolo Pansa per Fausto Bertinotti: parolaio rosso. Ecco, per me Conte è un parolaio giallo. Un chiacchierone, uno che quando gli parli ti rimbambisce di parole. Su di lui calza a pennello la definizione che di sé stesso diede quando nel 2018 Sergio Mattarella gli affidò l’incarico di formare il suo primo governo: avvocato del popolo. Sì, ma delle cause perse.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.