2019-11-12
Conte pronto a scambiare migranti e acciaio
I commissari vanno in tribunale per bloccare la dismissione degli stabilimenti. Al tempo stesso l'esecutivo vorrebbe che i franco indiani tornassero a Taranto magari in cordata con lo Stato. Il premier chiede ad Angela Merkel aiuto sull'acciaio in cambio di più migranti.Inizia il circo barnum sullo scudo all'Ilva. Dopo averlo abbattuto ora Matteo Renzi lo rivuole. Iv presenta due emendamenti al dl fiscale. Il Pd si concentra sui tampax. La grillina Carla Ruocco deciderà sull'ammissibilità.Lo speciale comprende due articoli. Il governo minaccia ma non morde. Perché alla fine dei giochi si sta rendendo conto che con i franco indiani di Arcelor Mittal dovrà avviare una trattativa. Così la scorsa settimana aveva lanciato un ultimatum di 48 ore, avvisando il colosso dell'acciaio che la richiesta di 5.000 esuberi sull'ex Ilva era da considerarsi irricevibile. In realtà nessun incontro era stato fissato tanto che Arcelor Mittal aveva avviato contestualmente la dismissione degli impianti, un'attività finalizzata alla riconsegna di stabilimenti e dipendenti nelle mani dei commissari che ancora oggi gestiscono la bad company. Dallo scorso mercoledì i contatti tra governo e azienda si sono interrotti nonostante le continue veline fatte diffondere a favore di elettori. Nel frattempo, il premier è stato a Taranto a tastare il terreno e ha lanciato esche per capire se il Parlamento è disposto a reintrodurre lo scudo. I feedback sono stati negativi, tanto che oggi è previsto un incontro con il ministro Stefano Patuanelli, lo stesso premier e i rappresentanti (anche alcuni capigruppo) dei 5 stelle. Motivo? Capire come superare le posizioni di pasdaran come l'ex ministro Barbara Lezzi o quelle un po' più flessibili di Carla Ruocco. In ogni caso Conte dovrà oggi fare un po' la sintesi perché prevede per giovedì un Consiglio dei ministri straordinario con l'obiettivo di dare una risposta ai 10.700 dipendenti di Arcelor Mittal. Più passa il tempo e più il governo comprende che la nazionalizzazione è la strada maestra ma estremamente difficile da percorrere. Per fare acciaio serve un partner in grado di sostenere la produzione. I Jindal, capo cordata del gruppo che aveva partecipato all'asta del 2016, si sono detti indisponibili. Arvedi è in crisi di suo. E quindi restano i franco indiani, che usciti dalla porta potrebbero tornare dalla finestra. Ieri infatti il governo ha fatto sapere di volere organizzare un incontro a Palazzo Chigi. Stavolta i Mittal avrebbero dato un feedback positivo, lasciando però al governo il compito di aprire le danze. Solo che per adesso Conte non sa che cosa proporre ai due Mittal e spera di non doversi nemmeno calare le brache al loro cospetto. Da qui l'idea di fare la faccia da duro e adire le vie legali. O meglio contrapporre causa contro causa. Ieri mattina i commissari straordinari hanno fatto sapere di aver redatto un ricorso urgente (ex articolo 700) e cautelare per bloccare la dismissione da parte di Arcelor negando che lo stop allo scudo penale possa essere una dirimente. «Le condizioni giuridiche del recesso del contratto di affitto dell'ex Ilva, preliminare alla vendita, non ci sono e quindi Arcelor Mittal deve andare avanti», hanno sintetizzato i commissari con l'obiettivo di stoppare il deposito, sempre nel Palazzo di giustizia milanese, dell'atto con cui la multinazionale chiede il recesso del contratto. Va infatti distinto il momento della notifica dell'atto alla controparte (eseguita la scorsa settimana) con il successivo e distinto momento del deposito dell'atto (e dei relativi allegati) presso il Tribunale di Milano, che deve avvenire entro dieci giorni dalla prima notifica. Sempre in merito all'atto di citazione nei confronti di Ilva in amministrazione straordinaria, le agenzie riportano di fonti vicine al dossier secondo cui si «procederà a depositare l'atto e gli allegati presso il Tribunale di Milano, ma non è detto che ciò risulti immediatamente visibile dai sistemi elettronici del Tribunale». Se le fonti fossero riconducibili ad Arcelor significa che il gioco delle parti è ormai avviato. Solo che a sedere dalla parte del più forte sembrano esserci i Mittal. Che a oggi hanno calato gli assi migliori. Sanno che da un contenzioso legale nel breve termine ci perde solo Conte. Incassare una vittoria in tribunale quando lui non sarà più premier gli importerebbe poco. I Mittal sanno che sull'Ilva il governo può cadere e che l'esecutivo giallorosso non controlla il Parlamento.Il ministero dell'Economia non contribuisce a fare chiarezza. «Il governo può concorrere a una soluzione di rilancio, ma», ha spiegato ieri Roberto Gualtieri , «secondo il piano industriale originario anche se», ha concesso, «adattato alle nuove circostanze». Lo stesso Gualtieri ha tirato in ballo pure Cassa depositi e prestiti: «Cdp non va esclusa dalla cassetta degli strumenti di cui disponiamo». Il timore è che tutte le istanze vengano messe insieme e frullate in vista del cdm straordinario che dovrà quagliare un esito. Conte è così disperato che ieri durante l'incontro con Angela Merkel ha lanciato un altro sasso nello stagno facendo sapere di voler cooperare sul fronte dell'acciaio. Si riferiva a Thyssenkrupp? Forse. E che cosa offrirà il premier in cambio della mano salvifica dell'industria tedesca? La gestione dei flussi migratori in comune. Che significa che i porti verranno aperti secondo lo schema renziano in cambio della flessibilità dei conti. Solo che stavolta la partita si giocherà su Taranto. Peccato che la via di uscita avrà un prezzo e sarà in ogni caso a carico del contribuente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-minaccia-mittal-ma-vuol-trattare-2641307830.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="inizia-il-circo-barnum-sullo-scudo-allilva-dopo-averlo-abbattuto-ora-renzi-lo-rivuole" data-post-id="2641307830" data-published-at="1762060726" data-use-pagination="False"> Inizia il circo barnum sullo scudo all’Ilva. Dopo averlo abbattuto ora Renzi lo rivuole Fari puntati sulla commissione Finanze della Camera, presieduta dalla ultracombattiva grillina Carla Ruocco. E il giorno da segnare con un circoletto rosso sul calendario è domani, mercoledì. Perché alle 9.30 si terrà un ufficio di presidenza della commissione (e questo non è esattamente un evento memorabile), ma - subito dopo - la presidenza renderà noti i giudizi sull'ammissibilità degli emendamenti che sono stati presentati dai diversi gruppi (il termine scadeva ieri mattina) al decreto fiscale. Le tecnicalità sono a volte noiose, ma rappresentano un fattore decisivo delle dinamiche parlamentari. E allora spieghiamo il trappolone: affinché un emendamento giunga al voto dei membri di una Commissione, non basta che uno o più deputati l'abbiano presentato. Occorre che il presidente della Commissione, figura che su questo ha un potere personale enorme, lo dichiari ammissibile, e quindi lo includa tra quelli che poi, in base al voto dei commissari, saranno approvati o respinti. E, in questo vaglio preliminare, quando un presidente - come sarebbe sempre auspicabile - adotta uno standard rigoroso, la causa di inammissibilità per eccellenza è l'estraneità di materia. Per carità: la storia parlamentare italiana è purtroppo stracolma di emendamenti infilati nella distrazione generale - diciamo così - in provvedimenti centrati su tutt'altra materia. È l'attività principale, da sempre, dei deputati più esperti, dei vecchi volponi, che però devono necessariamente contare sul fatto che il presidente della commissione chiuda un occhio e metta al voto l'emendamento, anche se parla di tutt'altro. Se però il presidente è rigoroso, e soprattutto se l'emendamento fuori tema è già un caso politico e mediatico, sarà ben difficile per tutti sostenere di non essersene accorti. Morale: o la presidenza di commissione trova (o viene messa davanti a) qualche clamoroso precedente, oppure ha tutta la legittimazione necessaria per dire che, se il provvedimento è sulle tasse, non si possono infilare emendamenti su scudi legali e immunità. Se i deputati cercano un treno veloce al quale attaccare il vagone dello scudo, devono trovare un altro convoglio: è questo ciò che la Ruocco potrebbe comunicare a tutti. Non abbiamo citato a caso questa evenienza. Come La Verità vi ha raccontato per prima, nel weekend, i gruppi di maggioranza si sono interrogati sull'opportunità di sfidare la Ruocco e di creare un'ulteriore rissa nella già complicatissima vicenda Ilva. Il Pd, nonostante le bellicose dichiarazioni della scorsa settimana del capogruppo Graziano Delrio, alla fine si sarebbe tirato indietro: tra i 200 emendamenti presentati dai dem, non risulta vi sia quello sull'immunità (mentre compare quello per ridurre al 10% l'Iva sugli assorbenti femminili). E allora sono stati i renziani a sistemare la mina sul terreno, anzi due mine: un emendamento ad hoc specificamente immaginato per il caso di Taranto, e uno più generale ed astratto per ogni impresa che si trovi coinvolta in un percorso di bonifica ambientale. Nota a margine: i renziani sono stati quelli che lo scudo penale hanno contribuito a cancellare, con i loro voti in commisisone assieme ai pasdaran M5s. Che farà la Ruocco? Se dirà no all'ammissibilità, pur con il solido argomento tecnico dell'estraneità di materia, sarà subissata di polemiche da renziani e Pd, che la accuseranno di sabotaggio. Se dirà sì, a lapidarla saranno invece i Lezzi boys M5s che la accuseranno di tradimento. Peraltro, quand'anche si votasse nei giorni successivi su quegli emendamenti, nulla potrebbe essere dato per scontato: in commissione Finanze, alla Camera, i grillini, da soli, partono già da 15 voti su 42. Morale: comunque vada, già mercoledì saremo in pieno pandemonio. Sempre per rimanere sul piano delle tecnicalità, qualora in mattinata la Ruocco dichiarasse l'emendamento inammissibile, dovrebbe concedere un fazzoletto di ore (come accade sempre, per qualunque provvedimento) per consentire ai firmatari dell'emendamento di presentare ricorso. Per poi - sempre lei, sempre la Ruocco - confermare o correggere la decisione in seconda battuta: e tutto avverrà entro la giornata di mercoledì. Comunque, Luigi Di Maio è rimasto irremovibile, parlando a Unomattina Rai: «Bisogna riportare Arcerlor Mittal al tavolo non col tema dello scudo ma col tema che hanno firmato un contratto che va rispettato. Lo stato italiano si deve far rispettare». Stessa linea di Conte, che invece ha capovolto la sua apertura di qualche giorno fa a Porta a Porta. Sentito ieri dal Fatto quotidiano, Conte si è rimangiato tutto: «Per stanare il signor Mittal sulle sue reali intenzioni, gliel'ho offerto subito: mi ha risposto che se ne sarebbe andato comunque, perché il problema è industriale, non giudiziario. Quindi chi vuole reintrodurre lo scudo per levare un alibi a Mittal trascura il fatto che Mittal non lo usa, quell'alibi. Anche solo continuare a parlarne ci indebolisce nella battaglia legale, alimenta inutili polemiche e ributta la palla dal campo di Mittal a quella del governo». Molto duro verso Di Maio il segretario della Cgil Maurizio Landini, in un convegno di Huffpost: «Il ministro che ha fatto l'accordo che comprendeva lo scudo era ed è il capo dei 5 stelle. Lui c'era quella notte, non era da un'altra parte».
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli