2019-08-31
Così Conte ha venduto la manovra all’Ue
Ecco la lettera con cui due mesi fa premier e ministro si sono arresi alla Commissione, sacrificando la flat tax e inchinandosi al Fiscal compact nel 2020 senza consultare i partiti. In cambio, niente procedura d'infrazione.Lo scorso 2 luglio il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, scrissero una lettera di due pagine ai vertici della Commissione Ue. Il contenuto, tradotto dall'inglese (vedi foto all'interno), è così riassumibile:1Abbiamo dei risparmi di spesa e delle maggiori entrate che ci consentono di riportare il deficit/Pil del 2019 dal 2,4% (peggiorato dal famoso 2,04% per il rallentamento della crescita) al 2% circa.2Per il 2020 promettiamo di rispettare in pieno il Patto di stabilità e crescita (noto anche come Fiscal compact) e quindi ribadiamo il nostro impegno a ridurre, rispetto al 2019, il deficit strutturale.3Poiché il Parlamento ci ha chiesto di evitare l'aumento dell'Iva, troveremo misure compensative agendo sui tagli di spese e sulle cosiddette «tax expenditures» (in pratica, riduzioni di imposte di natura agevolativa per categorie di contribuenti o tipologia di reddito).4Sfrutteremo anche il minor deficit prevedibile per il 2020 a legislazione vigente - che si preannuncia sensibilmente più basso rispetto alla stima iniziale del 2% del Def di aprile - proprio per le minori spese relative a reddito di cittadinanza e quota 100.5Proseguirà il risanamento di bilancio («fiscal consolidation») di pari passo con le riforme strutturali finalizzate a migliorare il potenziale di crescita dell'economia.Il successivo 3 luglio, a stretto giro, la Commissione comunicava al Consiglio europeo che quegli impegni erano sufficienti per non aprire la procedura di infrazione contro l'Italia, ma aggiungeva che avrebbe tenuto sotto stretta sorveglianza l'effettiva esecuzione di quegli impegni, sia per il 2019 sia per il 2020. Soprattutto avrebbe verificato l'effettiva rispondenza del bilancio 2020 ai criteri del Fiscal compact. Il giorno stesso, tra il giubilo generale, Conte e Tria annunciavano alla stampa lo scampato pericolo e il grande successo ottenuto a Bruxelles. contratto stracciatoCon quelle parole, non discusse a quanto risulta con l'allora maggioranza di governo, Tria e Conte avevano definitivamente tarpato le ali a ogni ipotesi di riduzione delle imposte di qualsiasi natura (flat tax e affini). Anzi, avevano condizionato il mancato aumento dell'Iva nel 2020 a una faticosissima opera di taglio di spesa pubblica, oltre che a un altrettanto faticoso lavoro di eliminazione di agevolazioni, detrazioni e deduzioni di imposte che, di fatto, avrebbero comunque aumentato la pressione fiscale.Di lì a pochi giorni, la sera del 25 luglio, il presidente della commissione Bilancio della Camera, il leghista Claudio Borghi, dichiarava, dopo uno scontro su deficit e flat tax, che «se non si è d'accordo, nessuno obbliga Tria a continuare a fare il ministro». Il mattino successivo, la dichiarazione in cui Di Maio esprimeva piena fiducia in Tria e Conte forniva la plastica rappresentazione della rottura avvenuta. Quanto culminato nello strappo finale, consumatosi formalmente sulla Tav, è nato con ogni probabilità in quelle ore, anche se non è stato finora esplicitato da Matteo Salvini, che probabilmente attende il varo del governo giallorosso per togliersi macigni dalle scarpe.Quelle lettere, però, rivelano senza dubbi che la Lega non avrebbe mai potuto realizzare il suo progetto di riduzione delle tasse e sarebbe stata costretta a firmare una legge di bilancio con un saldo, probabilmente il 1,8%, già definito da Tria come asticella massima, inferiore di pochi decimali a quello del 2019. Un'ennesima manovra restrittiva, nel solco di quelle fatte da Pier Carlo Padoan negli anni precedenti.Ma ecco che, all'improvviso, il 21 agosto, all'indomani del dibattito in Senato e delle dimissioni di Conte, Il Sole 24 Ore titolava in prima: «Con esecutivo senza sovranisti possibile deficit aggiuntivo di 10 miliardi». Tralasciando l'enormità costituita dalla aperta dichiarazione di una discriminazione tra amici e nemici nell'applicazione delle regole, non si trattava di un fulmine a ciel sereno. Le voci contro l'eccessiva rigidità e prociclicità della politica di bilancio imposta dalla Commissione si erano ormai fatte numerose. Come al solito, il solco lo aveva tracciato Mario Draghi, che all'inizio di giugno aveva parlato esplicitamente di limiti della politica monetaria e del ruolo necessario della politica fiscale per stimolare la crescita e l'inflazione nell'eurozona. Addirittura anche il falco Jens Weidmann si è lanciato ieri sulla sua scia, confermando l'importanza della politica fiscale in un'intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung.Il 19 agosto ci aveva pensato il premio Nobel Paul Krugman a definire come «ossessione» il rifiuto dei tedeschi di fare politiche di bilancio espansive, danneggiando sé stessi e i vicini. Il 24 agosto era il turno di Vitor Costancio (ex vice presidente della Bce) che, in un'intervista a Der Spiegel, dichiarava senza peli sulla lingua che il pareggio di bilancio tedesco era una cosa priva di senso economico. Due giorni dopo, completava il quadro un articolo sul Financial Times che, pur prevedendo tempi lunghi, preannunciava una revisione delle regole che disciplinano gli obiettivi di bilancio per i Paesi Ue. A certificare l'avvenuto cambio di scenario, giungevano le stupefacenti parole di Tria, che in un'intervista del 25 agosto, dichiarava che il deficit al 2,4% o 2,7% non «era un tabù». Ma tutto ciò era già noto a tutti già ben prima del 2 luglio. Il calo della produzione industriale della Germania è cominciato nei primi mesi del 2018 e, ricordiamo tutti l'autentica gragnuola di dichiarazioni che nel successivo autunno allarmavano i mercati per pochi decimali di deficit in più che l'Italia era andata a chiedere a Bruxelles. A nulla valevano le risposte italiane che sottolineavano il rallentamento in atto della congiuntura internazionale e la conseguente necessità di una manovra di bilancio espansiva. La risposta è stata la minaccia di apertura della procedura di infrazione. Sapevano che serviva una manovra espansiva, ma venne negata con l'ok del governo italiano in nome di regole astruse e discrezionali. ipoteca sul futuroAlla luce della leggerezza con cui oggi, pur in presenza degli stessi evidenti dati macroeconomici, si legge, come se nulla fosse, di deficit/Pil per il 2020 oltre il 2% (addirittura fino al 3%), sorge il sospetto che quelle stesse regole siano quindi interpretabili e flessibili solo per gli amici della Commissione? Ma soprattutto, perché allora con quella lettera Conte e Tria di fatto scrivevano la legge di bilancio 2020, esautorando qualsiasi margine di manovra del Parlamento e vanificando qualsiasi progetto di taglio alle tasse? La ricompensa per il Governo amico di cui parlava due giorni fa Oettinger è la flessibilità che fino al 2 luglio non esisteva? Ora quelle lettere, reperibili sul sito del ministero dell'Economia e probabilmente concepite per mettere ai margini uno scomodo alleato di governo, sono una camicia di forza per la politica economica del nascituro (?) esecutivo.Se e quando l'Ue concederà flessibilità per il bilancio 2020, gli italiani potranno verificare l'eventuale disparità di trattamento rispetto al 2019 e formarsi un proprio autonomo convincimento sul rispetto della democrazia italiana da parte della Commissione Ue.