2022-05-08
Conte sfida Supermario: è la solita manfrina? Gelo fra Vaticano e Colle
L’ex premier all’attacco di Palazzo Chigi su situazione bellica e tematiche green. Papa e Sergio Mattarella mai così distanti: pesa l’ok del Quirinale all’atltantismo di Mario Draghi. Parole, parole, parole: Giuseppe Conte continua a criticare Mario Draghi sulla questione delle armi all’Ucraina, sul superbonus, sul termovalorizzatore di Roma, ma le sue sparate sembrano puramente verbali. Intanto, sull’Ucraina si registra, per la prima volta ma in maniera clamorosa, la totale rottura tra il Vaticano e il Quirinale. Mentre papa Francesco si batte le la pace e mette la Nato di fronte alle sue responsabilità, Sergio Mattarella ha indossato l’elmetto, si è posizionato in trincea, sta garantendo a Draghi la copertura istituzionale alla sua linea ultramilitarista e, proprio lui, sta completamente trascurando il ruolo del Parlamento, quel Parlamento che appena 100 giorni fa gli ha garantito la rielezione e che sta assistendo inerme a una escalation militare che vede l’Italia tra le nazioni più esposte contro la Russia e al fianco degli Stati Uniti. Una posizione estremista portata avanti con la sola pezza di appoggio di un voto su un decreto varato dal governo il primo giorno del conflitto, quando nessuno poteva prevedere che si sarebbe arrivati a parlare di terza guerra mondiale. Sembra passato un secolo, un secolo breve, eppure appena tre anni fa Mattarella riceveva al Quirinale con tutti gli onori il presidente cinese Xi Jinping e cantava le lodi della Via della Seta, mega accordo commerciale tra Roma e Pechino che proprio il Colle aveva sbloccato dall’impasse, ricordando che «la Cina è il primo mercato di destinazione delle esportazioni italiane nell’area Asia e del Pacifico». Veniamo a Conte: anche ieri, il ciuffo dell’ex premier, che ha almeno ritrovato una piena sintonia con Beppe Grillo, è tornato a svolazzare sui social: «Mi sono meravigliato», dice Giuseppi, «che non ci sia stata la possibilità per il premier di passare in Parlamento prima di viaggi importanti come Washington o Kiev». In realtà era piuttosto improbabile che Draghi potesse recarsi in Parlamento prima di una visita, quella alla Casa Bianca, in programma martedì prossimo. Una visita che, tra l’altro, servirà principalmente per farsi consegnare da Joe Biden l’ennesima lista di armi e denari da inviare a Volodymyr Zelensky, con Draghi sull’attenti in cambio di una bella foto con il vecchio amico Joe. «La nostra posizione», aggiunge Conte, «è molto chiara: secondo noi non ci può essere la prospettiva di una svolta per questo conflitto bellico se non iniziamo a dire no a un’escalation militare e sì a un’escalation diplomatica». Anche in questo caso, tuttavia, si fatica a comprendere quale possa essere la conseguenza concreta di tale posizione, soprattutto se chi la esprime ha la maggioranza relativa alla Camera e al Senato e potrebbe far pesare i numeri in Parlamento. I penultimatum di Conte non riguardano solo la guerra: «Non è possibile che ci venga chiesto di firmare una cambiale in bianco», sottolinea Conte, «laddove il sindaco di Roma ha già preannunciato un termovalorizzatore. Non abbiamo potuto firmare quel decreto con grande sofferenza, si è consumato un ricatto. Nella questione della transizione ecologica», dice ancora Conte, «rientra anche la questione del superbonus. In questi giorni ha fatto scalpore la posizione del presidente Draghi che al Parlamento Ue ha criticato il superbonus. Noi non possiamo venir meno ai nostri valori», sottolinea il leader pentastellato, «noi sosteniamo lealmente l’esecutivo ma saremo al governo solo a queste condizioni. Diciamo no alla distorsione o alla derisione della nostra posizione. Chi si diverte e ci descrive come molestatori», si lamenta Giuseppi, «dovrebbe avere rispetto per gli 11 milioni di voti che i cittadini hanno dato al M5s». Alle parole di Conte, tuttavia, non segue mai nessun atto concreto. Se Biden gli chiederà conto delle parole di Conte, Draghi risponderà minimizzando, parlerà di chiacchiere elettoralistiche, e garantirà al presidente americano che anche se il M5s dovesse uscire dal governo innanzitutto si spaccherebbe (l’ala di Luigi Di Maio ormai è pronta ad andarsene) e comunque, anche senza grillini, i numeri per andare avanti ci sarebbero. A questo proposito, è molto importante in termini politici uno dei passaggi del discorso di ieri di Conte: «Rimango sorpreso», sottolinea Giuseppi, «che il leader della Lega dice che vuole la pace e non abbia parlato di questo da Draghi»: e qui tocca tentare di comprendere cosa abbia in mente Matteo Salvini. Se il M5s uscisse dal governo, la Lega sarebbe finalmente determinante, l’asse con Forza Italia metterebbe all’angolo il Pd e Leu. Salvini lo sa, e quindi aspetta di capire se davvero Conte ha intenzione di andare fino in fondo prima di decidere cosa fare: se rompesse anche la Lega, Draghi andrebbe a casa. A meno che Giorgia Meloni non si suicidasse elettoralmente entrando al governo, una ipotesi fantascientifica.
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