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2018-06-09
«Sto con Trump». Conte fa l’Andreotti e rimette l’Italia tra Usa ed Europa
ANSA
L'Italia sembra tornare alle sue passioni: posizionarsi a metà degli schieramenti, essere in contrasto con gli alleati più stretti e strizzare l'occhiolino all'avversario. D'altronde siamo sempre stati un Paese eccentrico, e pure un po' levantino, nonostante la nostra penisola sia proprio al centro del Mediterraneo. Un tempo c'era Giulio Andreotti, grande esperto di politica estera pragmatica, ora a Giuseppe Conte, gettato nella mischia del G7, il compito di barcamenarsi per dare un nuovo senso alla nostra presenza in Canada. Allinearsi - come eravamo abituati a fare da anni - significa scomparire e non avere alcuna voce in capitolo nel battage negoziale. Così il neo premier italiano appena sbarcato a Quebec City ha detto due cose e soltanto quelle. Primo, è giusto che la Russia torni a fare parte del club e quindi allargare l'attuale consesso al G8. Secondo, sui dazi imposta dalla Casa Bianca all'Ue, «l'Italia avrà una posizione moderata». In pratica, entrambe le affermazioni sono totalmente in scia a Donald Trump e disallineate rispetto alle reazioni degli altri Paesi europei. Significa, in pratica, surfare sulle onde dell'imminente battaglia commerciale. Perché sempre ieri, durante il suo breve intervento al G7, Trump ha fatto capire che così come è accaduto con la Cina, è pronto a usare il pugno di ferro con l'Europa per poi avviare la trattativa sui rapporti commerciali partendo da un punto più elevato. Come prima cosa Conte ha incassato l'endosement dell'inquilino della Casa Bianca che ieri rivolgendosi al nostro premier ha detto: «Grande successo, quello delle elezioni».
La speranza è che la nostra posizione eterodossa frutti qualche vantaggio. Nulla di nuovo, come scriviamo sopra. Andreotti nel corso degli anni ha progressivamente abbandonato la posizione ortodossa degasperiana fino a compiere un primo salto dopo la crisi dei missili di Cuba. Il leader democristiano non accettò il cambio di passo di Washington, che decise di ritirare i missili puntati sull'Urss, e man mano sterzò le scelte italiche fino a condividere con Bettino Craxi lo strappo di Sigonella. Lì si scavò un fossato che portò il nostro Paese ad assumere posizione divergenti con il blocco sovietico in un primo tempo, salvo poi gettare le bassi per quell'unione che oggi si chiama Europa.
Adesso le parti sono sostanzialmente invertite. A essere ostili all'Europa sono gli Usa, l'Ue sembra invece l'Urss dei vecchi tempi: gli unici a non cambiare sono gli italiani, capaci di buttare la bomba e poi fare subito dopo un passo indietro tattico. Non a caso, prima dell'incontro ufficiale, ma subito dopo essersi detto a favore dell'ingresso della Russia nel club, Conte ha incontrato la Angela Merkel, Emmanuel Macron e Theresa May. A loro tre ha detto più o meno l'opposto (no a Mosca dentro il G8), ma ha portato a casa la concessione di aprire un negoziato ufficiale con Vladimir Putin su tale tema.
Insomma, questo governo frutto di un improbabile mix politico sembra ritornare alle origini e al vero Dna tricolore: giocare su più tavoli.
Lo si capisce anche da come ieri il vicepremier, Matteo Salvini, si sia messo a fare la spalla al collega di governo. Dopo posizioni nette sulla Nato, ieri il numero uno della Lega ha detto che l'Italia è un Paese membro della Nato, «la cui minaccia non è sul fronte orientale, ma sul fronte meridionale, e parlo del Mediterraneo, parlo del Nordafrica». In sostanza, anche se con parole diverse, ha ribadito quanto aveva già espresso in una location più che simbolica: Villa Abamelek, residenza romana dell'ambasciatore russo.
Il tutto in occasione della festa nazionale della Federazione russa. «Quindi se siamo membri di un alleanza difensiva mi piacerebbe che questa alleanza ci aiutasse a difenderci non da pericoli presunti a Est, ma da pericoli veri che sono a Sud», ha aggiunto il leghista. Inutile ripetere che dopo il monito all'Italia sui propositi di revisione delle sanzioni alla Russia, il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, sarà a Roma dopodomani. Anche in quell'occasione c'è da immaginare che Roma voglia trarre qualche profitto, dopo aver smorzato lo scontro. Almeno si spera che l'alta tensione produca attenzione sulle tematiche bollenti del Sud del Mediterraneo.
A conferma di quanto la posizione italiana al G7, così come le dichiarazioni di Salvini, siano disallineate e diano un certo fastidio ai vertici di Bruxelles, basta sbobinare l'uscita del presidente del Consiglio, Donald Tusk: «Lasciamo il G7 così com'è». E sull'opinione «fuori dai ranghi di Conte», ha detto: «Sono convinto che il G7 avrà una posizione europea pienamente unita, anche sulla Russia. Ciò che più mi preoccupa è che l'ordine mondiale basato sulle regole comuni è sfidato, sorprendentemente, non dai soliti sospetti ma dal suo principale architetto e garante: gli Stati Uniti», ha aggiunto Tusk. Il riferimento è alle incomprensioni fra Trump e i colleghi: «È evidente che il presidente americano e il resto del gruppo continuino a essere in disaccordo su commercio, cambiamento climatico e accordo sul nucleare iraniano, ma la determinazione dell'americano nel contrastare gli alleati gioca a favore di chi cerca un nuovo ordine post-Occidente, dove la democrazia liberale e le libertà fondamentali cessano di esistere». Detto dall'unico partecipante del G7 non eletto, il tutto appare alquanto buffo.
Claudio Antonelli
Il G7 canadese apre nel segno della rabbia
I populisti rubano la scena al G7 di Charlevoix, che come ha titolato il New York Times, si è aperto nel segno della rabbia. Un paio di giorni fa, infatti, è cominciato il cannoneggiamento tra Donald Trump ed Emmanuel Macron, quest'ultimo coadiuvato dal padrone di casa, il premier canadese Justin Trudeau. L'inquilino dell'Eliseo ha sfidato The Donald sui dazi, ricordandogli che «nessun leader dura per sempre». Il presidente americano ha quindi rilanciato con un tweet: «Per favore, dite al primo ministro Trudeau e al presidente Macron che stanno imponendo agli Stati Uniti enormi dazi e stanno creando barriere non monetarie», con provvedimenti, quali le imposte sui prodotti caseari americani, che Trump giudica «ingiusti verso i nostri agricoltori».
Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, si è detto «convinto» che, sebbene i leader europei non rinunceranno al tentativo di convincere «gli amici americani e il presidente Trump» che mettere in discussione l'attuale ordine internazionale, sia in merito alle sanzioni contro Mosca, sia sui commerci, «non ha alcun senso», si arriverà almeno a una «posizione europea pienamente unitaria, anche sulla Russia». Ma durante la sua conferenza stampa, la maggior parte delle domande dei giornalisti ha riguardato i rapporti tra l'Europa e il nuovo presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte. Il quale ha esordito in maniera roboante, dichiarandosi d'accordo con Trump a proposito della riammissione della Russia nel G8.
Finora, Mosca non ha lasciato trasparire né entusiasmo né scetticismo. Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino, si è limitato a osservare che «data la situazione di cambiamento nella politica internazionale e nelle relazioni economiche, il significato e la rilevanza di consessi come quello del G20, in cui la Russia gioca un ruolo attivo, continuano ad aumentare». È il problema della governance globale a essere stato sollevato da Trump, l'unico capo di Stato che non cerca di mascherare il proprio realismo dietro un buonismo di maniera. «Non sarà politicamente corretto», ha commentato il tycoon newyorkese mentre lasciava la Casa Bianca per dirigersi in Canada, «ma abbiamo un mondo da governare. E i Paesi del G7 hanno sbattuto fuori la Russia. Dovrebbero lasciarla rientrare, perché dovremmo averla al tavolo dei negoziati».
Il capitolo russo è destinato ad allargare la spaccatura tra gli Stati Uniti, in ciò sostenuti dall'Italia e il resto dei rappresentanti europei al G7. Summit che infatti, su richiesta di Macron, si è aperto con una riunione preliminare con Trudeau, Angela Merkel e Theresa May, per coordinare una strategia comune contro il protezionismo di Washington. Sui dazi, Conte ha mantenuto una linea moderata, senza discostarsi troppo dal dossier preparato dal governo Gentiloni.
Il giro di vite messo in atto da Trump con le tariffe su acciaio e alluminio europei punta a riequilibrare l'enorme squilibrio nella bilancia dei pagamenti americana in favore dell'Unione europea. Un inasprimento della guerra commerciale minaccia soprattutto gli interessi della Germania, che vanta un volume di esportazioni verso gli Usa pari a 118 miliardi di dollari, molto più dei circa 40 miliardi di dollari dell'Italia e dei circa 36 della Francia.
Finora, la strategia aggressiva del tycoon ha pagato quasi su tutti i fronti. The Donald, mediando con Xi Jinping, ha propiziato l'intesa con l'azienda cinese Zte, che pur di tornare a operare in America dopo la sanzione per violazione dell'embargo nei confronti dell'Iran, si è accordata per pagare una multa da un miliardo di dollari, per versare 400 milioni in un fondo, per rinnovare il cda entro un mese e per includere nel management un gruppo di americani che ne verificheranno il rispetto delle regole. È lecito ipotizzare che a Trump non interessi tanto impelagarsi in un'escalation, quanto fare la voce grossa per costringere l'Europa ad accettare condizioni più vantaggiose per Washington, visto che, paradossalmente, la Ue avrebbe da perdere di più da una guerra dei dazi che dai dazi stessi.
In sintesi, nonostante il polverone mediatico sollevato dal tema della Russia, è quello delle tariffe il nodo che preoccupa di più i vertici europei al G7. A cominciare dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il quale ha incontrato tutti i leader e ha avvalorato il clima di distensione con il governo italiano: «L'Italia», ha detto Juncker, «ha un ruolo fondamentale in Europa. L'Italia ha bisogno dell'Europa e l'Europa non è completa senza l'Italia».
Non è soltanto sui dazi, tuttavia, che Trump sta prendendo a sberle i suoi omologhi. Il presidente americano aveva già annunciato di voler lasciare in anticipo il summit, disertando le sessioni dedicate ai cambiamenti climatici, tema che, sin dal suo ritiro dagli accordi di Parigi, The Donald ha snobbato, per volare a Singapore. Lì lo attende lo storico incontro, prima cancellato e poi riconfermato, con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Per di più, la Casa Bianca ha fatto sapere che, se i colloqui sulla denuclearizzazione dovessero andare bene, Kim sarà invitato negli Stati Uniti.
Trump si muove a un'altra velocità al confronto degli altri patinati leader. Infiamma Twitter, scompagina l'ordine globale e accelera la storia. È dubbio che Macron voglia davvero rompere l'idillio che aveva costruito con il tycoon: il presidente francese, piuttosto, pare intenzionato a tenere il piede in due staffe, a non tirare troppo la corda con l'Europa ma altresì a non tagliare i ponti con gli Usa. Ed è negli interstizi oramai aperti in questo sistema di equilibri che credevamo cristallizati, che si dovrà inserire l'Italia di Conte.
Alessandro Rico
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«Sì a Mosca nel G8». Il premier rompe il fronte Ue e costruisce una posizione negoziale. Matteo Salvini: ok Nato, ma ci protegga da Sud.Il tema della Russia solleva il polverone mediatico, ma quello delle tariffe è il nodo che preoccupa di più i vertici Ue. The Donald si muove a un'altra velocità rispetto agli altri patinati leader, compreso il francese Emmanuel Macron. E lascerà i lavori del summit per volare da Kim Jong Un.Lo speciale contiene due articoliL'Italia sembra tornare alle sue passioni: posizionarsi a metà degli schieramenti, essere in contrasto con gli alleati più stretti e strizzare l'occhiolino all'avversario. D'altronde siamo sempre stati un Paese eccentrico, e pure un po' levantino, nonostante la nostra penisola sia proprio al centro del Mediterraneo. Un tempo c'era Giulio Andreotti, grande esperto di politica estera pragmatica, ora a Giuseppe Conte, gettato nella mischia del G7, il compito di barcamenarsi per dare un nuovo senso alla nostra presenza in Canada. Allinearsi - come eravamo abituati a fare da anni - significa scomparire e non avere alcuna voce in capitolo nel battage negoziale. Così il neo premier italiano appena sbarcato a Quebec City ha detto due cose e soltanto quelle. Primo, è giusto che la Russia torni a fare parte del club e quindi allargare l'attuale consesso al G8. Secondo, sui dazi imposta dalla Casa Bianca all'Ue, «l'Italia avrà una posizione moderata». In pratica, entrambe le affermazioni sono totalmente in scia a Donald Trump e disallineate rispetto alle reazioni degli altri Paesi europei. Significa, in pratica, surfare sulle onde dell'imminente battaglia commerciale. Perché sempre ieri, durante il suo breve intervento al G7, Trump ha fatto capire che così come è accaduto con la Cina, è pronto a usare il pugno di ferro con l'Europa per poi avviare la trattativa sui rapporti commerciali partendo da un punto più elevato. Come prima cosa Conte ha incassato l'endosement dell'inquilino della Casa Bianca che ieri rivolgendosi al nostro premier ha detto: «Grande successo, quello delle elezioni». La speranza è che la nostra posizione eterodossa frutti qualche vantaggio. Nulla di nuovo, come scriviamo sopra. Andreotti nel corso degli anni ha progressivamente abbandonato la posizione ortodossa degasperiana fino a compiere un primo salto dopo la crisi dei missili di Cuba. Il leader democristiano non accettò il cambio di passo di Washington, che decise di ritirare i missili puntati sull'Urss, e man mano sterzò le scelte italiche fino a condividere con Bettino Craxi lo strappo di Sigonella. Lì si scavò un fossato che portò il nostro Paese ad assumere posizione divergenti con il blocco sovietico in un primo tempo, salvo poi gettare le bassi per quell'unione che oggi si chiama Europa. Adesso le parti sono sostanzialmente invertite. A essere ostili all'Europa sono gli Usa, l'Ue sembra invece l'Urss dei vecchi tempi: gli unici a non cambiare sono gli italiani, capaci di buttare la bomba e poi fare subito dopo un passo indietro tattico. Non a caso, prima dell'incontro ufficiale, ma subito dopo essersi detto a favore dell'ingresso della Russia nel club, Conte ha incontrato la Angela Merkel, Emmanuel Macron e Theresa May. A loro tre ha detto più o meno l'opposto (no a Mosca dentro il G8), ma ha portato a casa la concessione di aprire un negoziato ufficiale con Vladimir Putin su tale tema. Insomma, questo governo frutto di un improbabile mix politico sembra ritornare alle origini e al vero Dna tricolore: giocare su più tavoli. Lo si capisce anche da come ieri il vicepremier, Matteo Salvini, si sia messo a fare la spalla al collega di governo. Dopo posizioni nette sulla Nato, ieri il numero uno della Lega ha detto che l'Italia è un Paese membro della Nato, «la cui minaccia non è sul fronte orientale, ma sul fronte meridionale, e parlo del Mediterraneo, parlo del Nordafrica». In sostanza, anche se con parole diverse, ha ribadito quanto aveva già espresso in una location più che simbolica: Villa Abamelek, residenza romana dell'ambasciatore russo. Il tutto in occasione della festa nazionale della Federazione russa. «Quindi se siamo membri di un alleanza difensiva mi piacerebbe che questa alleanza ci aiutasse a difenderci non da pericoli presunti a Est, ma da pericoli veri che sono a Sud», ha aggiunto il leghista. Inutile ripetere che dopo il monito all'Italia sui propositi di revisione delle sanzioni alla Russia, il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, sarà a Roma dopodomani. Anche in quell'occasione c'è da immaginare che Roma voglia trarre qualche profitto, dopo aver smorzato lo scontro. Almeno si spera che l'alta tensione produca attenzione sulle tematiche bollenti del Sud del Mediterraneo. A conferma di quanto la posizione italiana al G7, così come le dichiarazioni di Salvini, siano disallineate e diano un certo fastidio ai vertici di Bruxelles, basta sbobinare l'uscita del presidente del Consiglio, Donald Tusk: «Lasciamo il G7 così com'è». E sull'opinione «fuori dai ranghi di Conte», ha detto: «Sono convinto che il G7 avrà una posizione europea pienamente unita, anche sulla Russia. Ciò che più mi preoccupa è che l'ordine mondiale basato sulle regole comuni è sfidato, sorprendentemente, non dai soliti sospetti ma dal suo principale architetto e garante: gli Stati Uniti», ha aggiunto Tusk. Il riferimento è alle incomprensioni fra Trump e i colleghi: «È evidente che il presidente americano e il resto del gruppo continuino a essere in disaccordo su commercio, cambiamento climatico e accordo sul nucleare iraniano, ma la determinazione dell'americano nel contrastare gli alleati gioca a favore di chi cerca un nuovo ordine post-Occidente, dove la democrazia liberale e le libertà fondamentali cessano di esistere». Detto dall'unico partecipante del G7 non eletto, il tutto appare alquanto buffo.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-con-trump-sulla-russi-g7-2576357216.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-g7-canadese-apre-nel-segno-della-rabbia" data-post-id="2576357216" data-published-at="1765402051" data-use-pagination="False"> Il G7 canadese apre nel segno della rabbia I populisti rubano la scena al G7 di Charlevoix, che come ha titolato il New York Times, si è aperto nel segno della rabbia. Un paio di giorni fa, infatti, è cominciato il cannoneggiamento tra Donald Trump ed Emmanuel Macron, quest'ultimo coadiuvato dal padrone di casa, il premier canadese Justin Trudeau. L'inquilino dell'Eliseo ha sfidato The Donald sui dazi, ricordandogli che «nessun leader dura per sempre». Il presidente americano ha quindi rilanciato con un tweet: «Per favore, dite al primo ministro Trudeau e al presidente Macron che stanno imponendo agli Stati Uniti enormi dazi e stanno creando barriere non monetarie», con provvedimenti, quali le imposte sui prodotti caseari americani, che Trump giudica «ingiusti verso i nostri agricoltori». Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, si è detto «convinto» che, sebbene i leader europei non rinunceranno al tentativo di convincere «gli amici americani e il presidente Trump» che mettere in discussione l'attuale ordine internazionale, sia in merito alle sanzioni contro Mosca, sia sui commerci, «non ha alcun senso», si arriverà almeno a una «posizione europea pienamente unitaria, anche sulla Russia». Ma durante la sua conferenza stampa, la maggior parte delle domande dei giornalisti ha riguardato i rapporti tra l'Europa e il nuovo presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte. Il quale ha esordito in maniera roboante, dichiarandosi d'accordo con Trump a proposito della riammissione della Russia nel G8. Finora, Mosca non ha lasciato trasparire né entusiasmo né scetticismo. Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino, si è limitato a osservare che «data la situazione di cambiamento nella politica internazionale e nelle relazioni economiche, il significato e la rilevanza di consessi come quello del G20, in cui la Russia gioca un ruolo attivo, continuano ad aumentare». È il problema della governance globale a essere stato sollevato da Trump, l'unico capo di Stato che non cerca di mascherare il proprio realismo dietro un buonismo di maniera. «Non sarà politicamente corretto», ha commentato il tycoon newyorkese mentre lasciava la Casa Bianca per dirigersi in Canada, «ma abbiamo un mondo da governare. E i Paesi del G7 hanno sbattuto fuori la Russia. Dovrebbero lasciarla rientrare, perché dovremmo averla al tavolo dei negoziati». Il capitolo russo è destinato ad allargare la spaccatura tra gli Stati Uniti, in ciò sostenuti dall'Italia e il resto dei rappresentanti europei al G7. Summit che infatti, su richiesta di Macron, si è aperto con una riunione preliminare con Trudeau, Angela Merkel e Theresa May, per coordinare una strategia comune contro il protezionismo di Washington. Sui dazi, Conte ha mantenuto una linea moderata, senza discostarsi troppo dal dossier preparato dal governo Gentiloni. Il giro di vite messo in atto da Trump con le tariffe su acciaio e alluminio europei punta a riequilibrare l'enorme squilibrio nella bilancia dei pagamenti americana in favore dell'Unione europea. Un inasprimento della guerra commerciale minaccia soprattutto gli interessi della Germania, che vanta un volume di esportazioni verso gli Usa pari a 118 miliardi di dollari, molto più dei circa 40 miliardi di dollari dell'Italia e dei circa 36 della Francia. Finora, la strategia aggressiva del tycoon ha pagato quasi su tutti i fronti. The Donald, mediando con Xi Jinping, ha propiziato l'intesa con l'azienda cinese Zte, che pur di tornare a operare in America dopo la sanzione per violazione dell'embargo nei confronti dell'Iran, si è accordata per pagare una multa da un miliardo di dollari, per versare 400 milioni in un fondo, per rinnovare il cda entro un mese e per includere nel management un gruppo di americani che ne verificheranno il rispetto delle regole. È lecito ipotizzare che a Trump non interessi tanto impelagarsi in un'escalation, quanto fare la voce grossa per costringere l'Europa ad accettare condizioni più vantaggiose per Washington, visto che, paradossalmente, la Ue avrebbe da perdere di più da una guerra dei dazi che dai dazi stessi. In sintesi, nonostante il polverone mediatico sollevato dal tema della Russia, è quello delle tariffe il nodo che preoccupa di più i vertici europei al G7. A cominciare dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il quale ha incontrato tutti i leader e ha avvalorato il clima di distensione con il governo italiano: «L'Italia», ha detto Juncker, «ha un ruolo fondamentale in Europa. L'Italia ha bisogno dell'Europa e l'Europa non è completa senza l'Italia». Non è soltanto sui dazi, tuttavia, che Trump sta prendendo a sberle i suoi omologhi. Il presidente americano aveva già annunciato di voler lasciare in anticipo il summit, disertando le sessioni dedicate ai cambiamenti climatici, tema che, sin dal suo ritiro dagli accordi di Parigi, The Donald ha snobbato, per volare a Singapore. Lì lo attende lo storico incontro, prima cancellato e poi riconfermato, con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Per di più, la Casa Bianca ha fatto sapere che, se i colloqui sulla denuclearizzazione dovessero andare bene, Kim sarà invitato negli Stati Uniti. Trump si muove a un'altra velocità al confronto degli altri patinati leader. Infiamma Twitter, scompagina l'ordine globale e accelera la storia. È dubbio che Macron voglia davvero rompere l'idillio che aveva costruito con il tycoon: il presidente francese, piuttosto, pare intenzionato a tenere il piede in due staffe, a non tirare troppo la corda con l'Europa ma altresì a non tagliare i ponti con gli Usa. Ed è negli interstizi oramai aperti in questo sistema di equilibri che credevamo cristallizati, che si dovrà inserire l'Italia di Conte. Alessandro Rico
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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