2018-06-09
«Sto con Trump». Conte fa l’Andreotti e rimette l’Italia tra Usa ed Europa
«Sì a Mosca nel G8». Il premier rompe il fronte Ue e costruisce una posizione negoziale. Matteo Salvini: ok Nato, ma ci protegga da Sud.Il tema della Russia solleva il polverone mediatico, ma quello delle tariffe è il nodo che preoccupa di più i vertici Ue. The Donald si muove a un'altra velocità rispetto agli altri patinati leader, compreso il francese Emmanuel Macron. E lascerà i lavori del summit per volare da Kim Jong Un.Lo speciale contiene due articoliL'Italia sembra tornare alle sue passioni: posizionarsi a metà degli schieramenti, essere in contrasto con gli alleati più stretti e strizzare l'occhiolino all'avversario. D'altronde siamo sempre stati un Paese eccentrico, e pure un po' levantino, nonostante la nostra penisola sia proprio al centro del Mediterraneo. Un tempo c'era Giulio Andreotti, grande esperto di politica estera pragmatica, ora a Giuseppe Conte, gettato nella mischia del G7, il compito di barcamenarsi per dare un nuovo senso alla nostra presenza in Canada. Allinearsi - come eravamo abituati a fare da anni - significa scomparire e non avere alcuna voce in capitolo nel battage negoziale. Così il neo premier italiano appena sbarcato a Quebec City ha detto due cose e soltanto quelle. Primo, è giusto che la Russia torni a fare parte del club e quindi allargare l'attuale consesso al G8. Secondo, sui dazi imposta dalla Casa Bianca all'Ue, «l'Italia avrà una posizione moderata». In pratica, entrambe le affermazioni sono totalmente in scia a Donald Trump e disallineate rispetto alle reazioni degli altri Paesi europei. Significa, in pratica, surfare sulle onde dell'imminente battaglia commerciale. Perché sempre ieri, durante il suo breve intervento al G7, Trump ha fatto capire che così come è accaduto con la Cina, è pronto a usare il pugno di ferro con l'Europa per poi avviare la trattativa sui rapporti commerciali partendo da un punto più elevato. Come prima cosa Conte ha incassato l'endosement dell'inquilino della Casa Bianca che ieri rivolgendosi al nostro premier ha detto: «Grande successo, quello delle elezioni». La speranza è che la nostra posizione eterodossa frutti qualche vantaggio. Nulla di nuovo, come scriviamo sopra. Andreotti nel corso degli anni ha progressivamente abbandonato la posizione ortodossa degasperiana fino a compiere un primo salto dopo la crisi dei missili di Cuba. Il leader democristiano non accettò il cambio di passo di Washington, che decise di ritirare i missili puntati sull'Urss, e man mano sterzò le scelte italiche fino a condividere con Bettino Craxi lo strappo di Sigonella. Lì si scavò un fossato che portò il nostro Paese ad assumere posizione divergenti con il blocco sovietico in un primo tempo, salvo poi gettare le bassi per quell'unione che oggi si chiama Europa. Adesso le parti sono sostanzialmente invertite. A essere ostili all'Europa sono gli Usa, l'Ue sembra invece l'Urss dei vecchi tempi: gli unici a non cambiare sono gli italiani, capaci di buttare la bomba e poi fare subito dopo un passo indietro tattico. Non a caso, prima dell'incontro ufficiale, ma subito dopo essersi detto a favore dell'ingresso della Russia nel club, Conte ha incontrato la Angela Merkel, Emmanuel Macron e Theresa May. A loro tre ha detto più o meno l'opposto (no a Mosca dentro il G8), ma ha portato a casa la concessione di aprire un negoziato ufficiale con Vladimir Putin su tale tema. Insomma, questo governo frutto di un improbabile mix politico sembra ritornare alle origini e al vero Dna tricolore: giocare su più tavoli. Lo si capisce anche da come ieri il vicepremier, Matteo Salvini, si sia messo a fare la spalla al collega di governo. Dopo posizioni nette sulla Nato, ieri il numero uno della Lega ha detto che l'Italia è un Paese membro della Nato, «la cui minaccia non è sul fronte orientale, ma sul fronte meridionale, e parlo del Mediterraneo, parlo del Nordafrica». In sostanza, anche se con parole diverse, ha ribadito quanto aveva già espresso in una location più che simbolica: Villa Abamelek, residenza romana dell'ambasciatore russo. Il tutto in occasione della festa nazionale della Federazione russa. «Quindi se siamo membri di un alleanza difensiva mi piacerebbe che questa alleanza ci aiutasse a difenderci non da pericoli presunti a Est, ma da pericoli veri che sono a Sud», ha aggiunto il leghista. Inutile ripetere che dopo il monito all'Italia sui propositi di revisione delle sanzioni alla Russia, il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Jens Stoltenberg, sarà a Roma dopodomani. Anche in quell'occasione c'è da immaginare che Roma voglia trarre qualche profitto, dopo aver smorzato lo scontro. Almeno si spera che l'alta tensione produca attenzione sulle tematiche bollenti del Sud del Mediterraneo. A conferma di quanto la posizione italiana al G7, così come le dichiarazioni di Salvini, siano disallineate e diano un certo fastidio ai vertici di Bruxelles, basta sbobinare l'uscita del presidente del Consiglio, Donald Tusk: «Lasciamo il G7 così com'è». E sull'opinione «fuori dai ranghi di Conte», ha detto: «Sono convinto che il G7 avrà una posizione europea pienamente unita, anche sulla Russia. Ciò che più mi preoccupa è che l'ordine mondiale basato sulle regole comuni è sfidato, sorprendentemente, non dai soliti sospetti ma dal suo principale architetto e garante: gli Stati Uniti», ha aggiunto Tusk. Il riferimento è alle incomprensioni fra Trump e i colleghi: «È evidente che il presidente americano e il resto del gruppo continuino a essere in disaccordo su commercio, cambiamento climatico e accordo sul nucleare iraniano, ma la determinazione dell'americano nel contrastare gli alleati gioca a favore di chi cerca un nuovo ordine post-Occidente, dove la democrazia liberale e le libertà fondamentali cessano di esistere». Detto dall'unico partecipante del G7 non eletto, il tutto appare alquanto buffo.Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-con-trump-sulla-russi-g7-2576357216.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-g7-canadese-apre-nel-segno-della-rabbia" data-post-id="2576357216" data-published-at="1757652100" data-use-pagination="False"> Il G7 canadese apre nel segno della rabbia I populisti rubano la scena al G7 di Charlevoix, che come ha titolato il New York Times, si è aperto nel segno della rabbia. Un paio di giorni fa, infatti, è cominciato il cannoneggiamento tra Donald Trump ed Emmanuel Macron, quest'ultimo coadiuvato dal padrone di casa, il premier canadese Justin Trudeau. L'inquilino dell'Eliseo ha sfidato The Donald sui dazi, ricordandogli che «nessun leader dura per sempre». Il presidente americano ha quindi rilanciato con un tweet: «Per favore, dite al primo ministro Trudeau e al presidente Macron che stanno imponendo agli Stati Uniti enormi dazi e stanno creando barriere non monetarie», con provvedimenti, quali le imposte sui prodotti caseari americani, che Trump giudica «ingiusti verso i nostri agricoltori». Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, si è detto «convinto» che, sebbene i leader europei non rinunceranno al tentativo di convincere «gli amici americani e il presidente Trump» che mettere in discussione l'attuale ordine internazionale, sia in merito alle sanzioni contro Mosca, sia sui commerci, «non ha alcun senso», si arriverà almeno a una «posizione europea pienamente unitaria, anche sulla Russia». Ma durante la sua conferenza stampa, la maggior parte delle domande dei giornalisti ha riguardato i rapporti tra l'Europa e il nuovo presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte. Il quale ha esordito in maniera roboante, dichiarandosi d'accordo con Trump a proposito della riammissione della Russia nel G8. Finora, Mosca non ha lasciato trasparire né entusiasmo né scetticismo. Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino, si è limitato a osservare che «data la situazione di cambiamento nella politica internazionale e nelle relazioni economiche, il significato e la rilevanza di consessi come quello del G20, in cui la Russia gioca un ruolo attivo, continuano ad aumentare». È il problema della governance globale a essere stato sollevato da Trump, l'unico capo di Stato che non cerca di mascherare il proprio realismo dietro un buonismo di maniera. «Non sarà politicamente corretto», ha commentato il tycoon newyorkese mentre lasciava la Casa Bianca per dirigersi in Canada, «ma abbiamo un mondo da governare. E i Paesi del G7 hanno sbattuto fuori la Russia. Dovrebbero lasciarla rientrare, perché dovremmo averla al tavolo dei negoziati». Il capitolo russo è destinato ad allargare la spaccatura tra gli Stati Uniti, in ciò sostenuti dall'Italia e il resto dei rappresentanti europei al G7. Summit che infatti, su richiesta di Macron, si è aperto con una riunione preliminare con Trudeau, Angela Merkel e Theresa May, per coordinare una strategia comune contro il protezionismo di Washington. Sui dazi, Conte ha mantenuto una linea moderata, senza discostarsi troppo dal dossier preparato dal governo Gentiloni. Il giro di vite messo in atto da Trump con le tariffe su acciaio e alluminio europei punta a riequilibrare l'enorme squilibrio nella bilancia dei pagamenti americana in favore dell'Unione europea. Un inasprimento della guerra commerciale minaccia soprattutto gli interessi della Germania, che vanta un volume di esportazioni verso gli Usa pari a 118 miliardi di dollari, molto più dei circa 40 miliardi di dollari dell'Italia e dei circa 36 della Francia. Finora, la strategia aggressiva del tycoon ha pagato quasi su tutti i fronti. The Donald, mediando con Xi Jinping, ha propiziato l'intesa con l'azienda cinese Zte, che pur di tornare a operare in America dopo la sanzione per violazione dell'embargo nei confronti dell'Iran, si è accordata per pagare una multa da un miliardo di dollari, per versare 400 milioni in un fondo, per rinnovare il cda entro un mese e per includere nel management un gruppo di americani che ne verificheranno il rispetto delle regole. È lecito ipotizzare che a Trump non interessi tanto impelagarsi in un'escalation, quanto fare la voce grossa per costringere l'Europa ad accettare condizioni più vantaggiose per Washington, visto che, paradossalmente, la Ue avrebbe da perdere di più da una guerra dei dazi che dai dazi stessi. In sintesi, nonostante il polverone mediatico sollevato dal tema della Russia, è quello delle tariffe il nodo che preoccupa di più i vertici europei al G7. A cominciare dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, il quale ha incontrato tutti i leader e ha avvalorato il clima di distensione con il governo italiano: «L'Italia», ha detto Juncker, «ha un ruolo fondamentale in Europa. L'Italia ha bisogno dell'Europa e l'Europa non è completa senza l'Italia». Non è soltanto sui dazi, tuttavia, che Trump sta prendendo a sberle i suoi omologhi. Il presidente americano aveva già annunciato di voler lasciare in anticipo il summit, disertando le sessioni dedicate ai cambiamenti climatici, tema che, sin dal suo ritiro dagli accordi di Parigi, The Donald ha snobbato, per volare a Singapore. Lì lo attende lo storico incontro, prima cancellato e poi riconfermato, con il dittatore nordcoreano Kim Jong Un. Per di più, la Casa Bianca ha fatto sapere che, se i colloqui sulla denuclearizzazione dovessero andare bene, Kim sarà invitato negli Stati Uniti. Trump si muove a un'altra velocità al confronto degli altri patinati leader. Infiamma Twitter, scompagina l'ordine globale e accelera la storia. È dubbio che Macron voglia davvero rompere l'idillio che aveva costruito con il tycoon: il presidente francese, piuttosto, pare intenzionato a tenere il piede in due staffe, a non tirare troppo la corda con l'Europa ma altresì a non tagliare i ponti con gli Usa. Ed è negli interstizi oramai aperti in questo sistema di equilibri che credevamo cristallizati, che si dovrà inserire l'Italia di Conte. Alessandro Rico