2024-10-16
Giuseppi finge di volersi fare interrogare
L’ex premier resta nella commissione d’inchiesta e chiede di essere audito «informalmente». Peccato che le regole parlino chiaro: i membri non possono essere sentiti. Ieri intervento dei sanitari di ContiamoCi: «Aifa e Iss bloccarono gli studi sulle cure in ospedale».«Ritengo mio dovere fornire un contributo diretto alla conoscenza dei fatti […] è questa la ragione che mi ha indotto a rendermi disponibile a far parte di questa commissione […] a cui non intendo rinunciare […] non intendo assolutamente rassegnare le mie dimissioni». Giuseppe Conte vuole essere audito ma non lasciare, l’ha ribadito ieri in apertura dei lavori della seconda riunione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria. Non si dimette, perché «non ho nessuna garanzia che nel momento in cui poi ricompaio non mi venga opposta l’incompatibilità», sono state le sue parole. L’ha ribadito: «Voglio continuità della mia presenza in questa commissione, a dispetto del fatto che posso essere audito informalmente in una singola sessione come contributore ai lavori». Un’audizione «informale», sulla gestione della pandemia quando era il presidente del Consiglio? Ma chi vuole prendere in giro, «l’avvocato del popolo»? Non deve sedere in quella commissione e non può essere ascoltato mentre ne fa parte, è una norma di incompatibilità e di conflitto di interessi che vale per tutti. Non è a sua discrezione. Si sta comportando come l’ex magistrato e suo collega pentastellato, il deputato Federico Cafiero De Raho, che sostiene di essere disponibile a essere audito in commissione Antimafia, senza dimettersi, ma sa che è impossibile per regolamento. Conte si è pure adirato con l’onorevole Alice Buonguerrieri che aveva osato mettere in dubbio la sua buona fede. «Chiedo, nel rispetto di tutti i cittadini e di quanti hanno avuto almeno un decesso in famiglia, che si faccia molta chiarezza e che ci sia molta trasparenza», aveva esordito la deputata di Fdi, rivolgendo all’ex premier una domanda secca. «Dovesse essere l’unica soluzione per essere audito, quella di dimettersi pro tempore, la esclude all’origine? Perché non vorrei che tutto questo si traducesse in un “vorrei ma non posso”. Non posso essere audito e non è colpa mia”. Questo sarebbe molto irrispettoso nei confronti di tutti gli italiani», concludeva Buonguerrieri. La reazione di Conte è stata di grande, eccessivo fastidio. Qualche parola aveva colpito nel segno? «Se io sono in questa commissione è perché avverto la responsabilità di aver gestito una pandemia in prima persona, quando altri stavano a scherzare. Non le permetto di speculare sulla mia volontà di offrire il mio contributo», ha risposto piccato. Però non coglie il cortocircuito di sedere in una commissione che valuta anche il suo operato.«Prendo di buon grado la sua volontà di essere audito», ha detto all’ex premier il senatore Marco Lisei, presidente della commissione. Aggiungendo che «al netto delle decisioni che potranno prendere a riguardo i presidenti di Camera e Senato, i formalismi possono essere superati». In questo caso, è la sostanza che non può essere accettata. I componenti di Fratelli d’Italia in una nota hanno detto che «Conte sta recitando la parte dell’Azzeccagarbugli di sé stesso e che nei fatti scappa nascondendosi dietro le burocrazie e i tecnicismi».Ieri sera, in audizione, c’era Dario Giacomini, presidente dell’associazione ContiamoCi, principalmente composta da migliaia di medici e operatori sanitari, che ha ricordato «come il legislatore abbia adottato norme di carattere emergenziale, obbligo vaccinale e relative sanzioni come sospensione dal lavoro e impossibilità di percepire emolumenti, lesive dei diritti costituzionalmente garantiti». Intanto, ha sottolineato Giacomini, «vennero immotivatamente bloccati da Aifa e dall’Iss quegli studi realizzati nei nostri ospedali italiani che dimostravano poter esserci cure a basso costo potenzialmente in grado di salvare le vite di molti pazienti che si trovavano in condizioni critiche nei reparti di terapia intensiva». In difesa dell’operato dei medici di base ha parlato invece Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg). Ha detto che durante la pandemia c’erano «le più fantasiose ipotesi sull’impiego e l’efficacia di farmaci già esistenti», mentre i medici della Simg «si sono concentrati insieme con l’autorità sanitaria nel dare le informazioni che venivano selezionate sulla base delle evidenze scientifiche internazionali».Guarda un po’, forse tachipirina e vigile attesa erano dettami scientifici?Cricelli ha perfino sostenuto che i medici di famiglia «non hanno chiuso gli studi durante la pandemia, c’erano il telefono e WhatsApp». Forse, l’affermazione più clamorosa è stata a proposito della «liberalizzazione delle conoscenze scientifiche», che sarebbe avvenuta in epoca Covid. «Chiunque avesse qualche cosa da dire poteva pubblicare liberamente, non era supervisionato», ha sostenuto il presidente Simg. Avrebbero avuto tanto da replicare, le migliaia di ricercatori che si sono visti negare la pubblicazione di studi rigorosi ma che uscivano dalla narrazione ufficiale. Per fortuna il sindacato medici di famiglia (Cimo), ha avuto da reclamare nella gestione della prima parte della pandemia, quando vennero lasciati a lavorare «i sanitari potenzialmente infetti, prevedendo la sospensione solo per i casi sintomatici e positivi», ricordava il presidente nazionale Guido Quici. A dicembre 2020 invocava il lockdown «perché occorre “raffreddare” il contagio e permettere alle strutture ospedaliere, ai medici e a tutto il personale di affrontare la pandemia». Ieri non le ha mandate a dire. «È risultata evidente l’assenza di strumentazione idonea a curare i pazienti Covid, come i respiratori; i reparti ordinari sono stati trasformati nottetempo in reparti di terapia intensiva e subintensiva, senza rispettare i requisiti necessari», elencava Quici. Ha aggiunto: «Non hanno di certo aiutato le direttive fuorvianti dell’Istituto superiore di sanità sull’utilizzo delle mascherine, che hanno indotto il personale sanitario ad abbassare la percezione del rischio […] esponendo al contagio proprio le risorse umane più preziose per contrastare il virus». Conte e il suo ministro della Salute, Roberto Speranza, che cosa avrebbero da dire a riguardo?
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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