
La maggioranza inaugura il 2020 con l'agenzia Usa Bloomberg che la dà in rotta su prescrizione, autostrade, referendum elettorale, caso Gregoretti e dossier Alitalia. Perdere anche l'Emilia sarebbe il colpo di grazia.Gennaio 2020 è il mese della verità per il governo giallorosso, guidato da Giuseppe Conte. Se n'è accorta anche l'agenza stampa Bloomberg, che in un pezzo firmato da John Follain e Alberto Brambilla, ieri elencava le sei mine che il premier con il ciuffo dovrà disinnescare, per non saltare (politicamente) in aria: prescrizione, referendum, caso Gregoretti, elezioni emiliane e dossier Autostrade. La rissa perenne all'interno della pseudo coalizione che sostiene l'esecutivo, in tempi normali, avrebbe già provocato l'addio a Palazzo Chigi di questo pittoresco primo ministro, che invece addirittura sogna di succedere a Sergio Mattarella al Quirinale. Conte tira a campare, puntando sul terrore dei parlamentari di schiodare dalle poltrone. Intanto, deve iniziare a sbrogliare la prima intricata matassa, quella della revoca delle concessioni ad Autostrade per l'Italia. Il M5s ha posto la revoca come punto irrinunciabile per la tenuta del governo. Il Pd, dopo molte resistenze, si è accodato: «Il dossier sulla scarsa manutenzione», ha detto ieri a Radio 24 il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, esponente dem, «prima di renderlo pubblico, credo sia corretto farlo vedere al presidente del Consiglio e ai miei colleghi ministri. È ovvio però, è evidente a tutti, che qualcosa in questi anni è successo, o meglio temo che qualcosa non sia successo: abbiamo troppe evidenze, ahimè concrete, di situazioni di mancata manutenzione, di ritardi o di manutenzioni fatte secondo criteri che non sono oggettivi».Italia viva però continua a mettersi di traverso: «Se saltano le concessioni», ha ribadito ieri Gianfranco Librandi, deputato del partitino di Matteo Renzi, «il primo effetto collaterale sarà proprio quello della perdita di tanti posti di lavoro. La vicenda del ponte Morandi è proprio in questo modo che viene strumentalizzata; eliminata la prescrizione i 5 stelle non hanno lo stesso fiducia nella giustizia?». È proprio la prescrizione la seconda mina piazzata sul percorso di Conte. Sia il Pd sia Italia viva non hanno nessuna intenzione di lasciare intatto lo stato attuale delle cose, con la riforma voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che è entrata in vigore il primo gennaio. La prossima settimana è in programma un vertice di governo per discutere il da farsi: le dichiarazioni di ieri non lasciano presagire nulla di buono. «La riforma della prescrizione, fortemente voluta dal M5s al governo», ha detto ieri il ministro della Pubblica amministrazione, Fabiana Dadone, fedelissima di Luigi Di Maio, «è in vigore da ieri. Una giustizia che non produce sentenze per colpa della tagliola della prescrizione stessa, che non assolve o condanna nel merito, è una giustizia che fallisce a prescindere e che allontana tutti i cittadini dallo Stato e dalle istituzioni».«Tre forze politiche su quattro che sostengono il governo considerano la legge oggi in vigore sbagliata: non chiediamo abiure, ma non accettiamo diktat», ha sottolineato al Corriere della Sera il responsabile giustizia del Pd, Walter Verini, che ha chiesto «al premier Conte di trovare la sintesi. L'ergastolo processuale di Bonafede così com'è non va. Abbiamo fatto la nostra proposta. Non siamo rigidi. Ora tocca agli altri». La possibilità di un'intesa su questo punto sembra veramente un miraggio, e solo Santa Poltrona potrebbe compiere il miracolo. Bonafede, intanto, sta preparando il summit che potrebbe rappresentare la fine del governo rilassandosi sulla riviera romagnola. E proprio dall'Emilia Romagna potrebbe arrivare il colpo decisivo al governo giallorosso: il 26 gennaio sono in programma le elezioni regionali, così come in Calabria, e una vittoria della candidata leghista, Lucia Borgonzoni, sul presidente uscente, Stefano Bonaccini, sancirebbe il crollo dell'esecutivo.Il leader della Lega, Matteo Salvini, è il protagonista di un altro caso che potrebbe far crollare il governo: quello della richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti per il reato di sequestro di persona avanzata da tribunale dei ministri di Catania per l'affaire Gregoretti. Il 20 gennaio la Giunta per le immunità del Senato si esprimerà sulla richiesta dei giudici di Catania, poi, entro 30 giorni, toccherà all'aula. Sulla carta, il centrodestra non avrebbe i voti per salvare Salvini, il che significa che un eventuale voto a sorpresa per il «no» all'autorizzazione a procedere rappresenterebbe la fine della maggioranza.Che a gennaio dovrà affrontare anche il nodo della legge elettorale, con Italia viva e Leu contrari alla proposta di un proporzionale con sbarramento al 5%. Altra data cerchiata in rosso è quella del 12 gennaio, ultimo giorno utile per presentare la richiesta di referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari; tre giorni dopo, il 15 gennaio, è atteso il responso della Consulta sul referendum leghista che mira a ripristinare il sistema maggioritario, eliminando dal Rosatellum la quota proporzionale. Inevitabilmente, ogni ritocco alla legge elettorale mette a rischio la tenuta della maggioranza. Anche il futuro di Alitalia sarà al centro del confronto interno alla maggioranza. Subito dopo l'Epifania, cominceranno i lavori in commissione Trasporti della Camera, con una serie di audizioni, a partire da Lufthansa, interessata all'acquisto della nostra compagnia di bandiera, ma con un piano che prevede migliaia di esuberi. Sul fronte economia, gennaio prevede anche decisioni definitive su Ilva e sulla Banca Popolare di Bari. Giuseppi, stai sereno…
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.