L’Ucraina perde anche Lyman. Severodonetsk vicina alla resa. Ai russi il 95% del Lugansk. Inviate altre armi a Zelensky.
L’Ucraina perde anche Lyman. Severodonetsk vicina alla resa. Ai russi il 95% del Lugansk. Inviate altre armi a Zelensky.Le truppe ucraine potrebbero decidere di ritirarsi dall’area di Lugansk, nella quale rischiano di rimanere accerchiate dall’avanzata dell’esercito russo. Il Donbass, da diversi giorni, è palesemente in bilico. Nelle scorse ore, Mosca ha stabilito il controllo su oltre il 95% del territorio del Lugansk e anche la parte ucraina ha dovuto ammettere che la situazione sul campo è favorevole a Vladimir Putin. Le sorti di un’eventuale trattativa sono sempre più legate agli sviluppi degli eventi nell’area orientale del Paese. Il capo dell’amministrazione regionale di Lugansk, pur ribadendo che le truppe ucraine avrebbero forza e risorse per difendersi e resistere più giorni, non ha escluso -come si diceva - un ritiro almeno parziale. Serhiy Gaidai ha anche fornito informazioni su Severodonetsk, che resta la più grande città del Donbass ancora in mano agli ucraini. Su Severodonetsk, dopo la conquista della città portuale di Mariupol, si stanno concentrando gli attacchi di Mosca. Gaidai ha ammesso che le truppe russe sono riuscite a entrare in città. Le uscite dalla stessa sarebbero invece tutte bloccate, come annunciato da Ramzan Kadyrov, comandante delle truppe cecene. A suo dire, un gruppo dei suoi uomini ha bloccato le vie di fuga e le truppe ucraine sono già state sgomberate dai primi quartieri. I separatisti, a loro volta, hanno confermato di controllare Lyman, nodo ferroviario a Ovest di Severodonetsk. Anche Kiev ha avallato le voci in proposito: i russi hanno conquistato la maggior parte di Lyman, anche se le forze ucraine stanno tentando di bloccare l’avanzata verso Sloviansk, una città a mezz’ora di macchina più a Sud Ovest. La vittoria dei russi a Lyman è stata sigillata, come dichiarato dal portavoce del ministero della Difesa, Igor Konashenkov, finanche dal nome. Lyman tornerà a chiamarsi Kransnyi Lyman, come era fino al 2016. La città, ha detto Konashenkov, è stata «completamente liberata». Anche a Sud il quadro è nettamente sfavorevole alla parte ucraina. La regione di Kherson, interamente occupata dalle forze russe, ha chiuso ogni accesso al resto dell’Ucraina. I viaggi, a qualsiasi titolo, verso il territorio ancora in mano ucraina vengono sconsigliati dal vice capo dell’autoproclamata amministrazione russa della regione, Kirill Stremousov: «Il confine è stato ora chiuso per ragioni di sicurezza». La chiusura riguarda i confini fra l’oblast di Kherson e quelli, in mano ucraina, di Mykolaiv e Dnipropetrovsk. È ancora possibile, invece, passare in Crimea e nella regione occupata dai russi di Zaporizhzhia. Nella regione di Kherson i russi stanno organizzando un referendum sulla creazione di una Repubblica sul modello delle entità separatiste autoproclamate di Lugansk e Donetsk.Volodymyr Zelensky tenta comunque di incoraggiare i suoi, sostenendo che il Donbass sarà «di nuovo ucraino», facendosi forte dell’arrivo di nuove armi a Kiev. Il ministro della Difesa ucraino ha infatti annunciato il rifornimento di obici semoventi M109 da 155 millimetri in versione aggiornata. «Sono felice di annunciare che la nostra dotazione di artiglieria da 155 millimetri è stata rifornita. L’Ucraina ha ricevuto una versione aggiornata degli howitzer M109. È un equipaggiamento di alta qualità. Il loro arrivo è frutto della cooperazione fra diversi Paesi», gioisce il ministro Oleksii Reznikov. Lo stesso ministro ha spiegato che l’Ucraina ha iniziato a ricevere anche missili anti nave Harpoon (testata con 225 chili di esplosivo) per difendersi dall’aggressione russa nel mar Nero. «Queste armi sono fornite da Danimarca, Regno Unito e Olanda». In tema di armi, il Pentagono ha intanto assegnato un maxi contratto da 624 milioni dollari alla Raytheon per la produzione di Stinger, uno dei sistemi militari che gli Stati Uniti hanno fornito a Kiev. Dall’inizio della guerra Washington ha inviato più di 1.400 sistemi Stinger, missili antiaerei a corto raggio con una portata di circa 5 chilometri in grado di abbattere droni, aerei ed elicotteri. E mentre Biden si prepara a mandare anche missili a lungo raggio, le forze armate russe mostrano di non volersi far cogliere impreparate. Mosca ha testato un nuovo missile ipersonico, lo Zircon, che ha colpito un bersaglio situato a una distanza di circa 1.000 chilometri. L’ esercitazione è stata illustrata dal ministero della Difesa russo. «La fregata di testa del Progetto 22350 ammiraglio della flotta dell’Unione Sovietica Gorshkov ha sparato un missile da crociera ipersonico Tsirkon contro una posizione di bersaglio marittimo nel Mar Bianco dal Mare di Barents», si legge in una nota. La tv russa Zvezda ha asserito che la velocità del missile è «così alta da impedire al sistema di difesa aerea dell’avversario di rilevarne l’impatto in tempo». «La Russia ha notevolmente superato gli Stati Uniti nello sviluppo di armi ipersoniche», ha rincarato la dose Vladimir Yermakov, direttore del dipartimento per la non proliferazione e il controllo degli armamenti del ministero degli Esteri. Per Yermakov, «il dialogo con gli Stati Uniti sugli armamenti diventerà impossibile se sceglieranno di esacerbare ulteriormente la situazione. Gli Stati Uniti potrebbero scegliere di esacerbare il confronto, e quindi il dialogo su questo argomento sarà impossibile». Intanto inizia a tramontare l’ipotesi dello scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina. I russi stanno pensando ad un tribunale in stile Norimberga per processare i militari ucraini evacuati dall’acciaieria Azovstal. L’idea servirebbe, tra l’altro, a giustificare la narrazione dell’invasione dell’Ucraina ai fini della «denazificazione» del Paese.
Volodymyr Zelensky e il suo braccio destro, Andriy Yermak (Ansa)
Perquisiti dall’Anticorruzione uffici e abitazione del «Cardinale verde»: parte dei fondi neri sarebbe servita a procurargli una casa di lusso. Lui e l’indagato Rustem Umerov dovevano strappare agli Usa una pace meno dura.
Alì Babà. Nelle mille ore (e mille e una notte) di registrazioni, che hanno permesso alle autorità ucraine di ascoltare i «ladroni» della Tangentopoli di Kiev, era quello il nome in codice di Andriy Yermak, braccio destro di Volodymyr Zelensky. Ieri, dopo un blitz degli agenti, è stato costretto a lasciare il suo incarico di capo dello staff del presidente. La Procura anticorruzione (Sapo) e l’Ufficio anticorruzione (Nabu) hanno condotto perquisizioni nel suo appartamento e nei suoi uffici. Non risulta indagato, ma la svolta pare imminente: la testata Dzerkalo Tyzhnia sostiene che a breve saranno trasmessi i capi d’imputazione.
Sergio Mattarella (Getty Images)
Rotondi: «Il presidente ha detto che non permetterà di cambiare le regole a ridosso del voto». Ma nel 2017 fu proprio Re Sergio a firmare il Rosatellum a 4 mesi dalle urne. Ora si rischia un Parlamento bloccato per impedire di eleggere un successore di destra.
Augusto Minzolini riferisce una voce raccolta da Gianfranco Rotondi. Durante un incontro tenuto con l’associazione che raggruppa gli ex parlamentari, Sergio Mattarella si sarebbe lasciato andare a un giudizio tranchant: «Non permetterò che si faccia una legge elettorale a ridosso del voto. Abbiamo avuto l’esperienza del Mattarellum, che fu approvato poco prima delle elezioni, e diversi partiti arrivarono alle urne impreparati. Bisogna dare il tempo alle forze politiche di organizzarsi e prepararsi alle nuove elezioni». Lasciamo perdere il tono usato dal capo dello Stato («non permetterò…» sembra una frase più adatta a un monarca che al presidente di una Repubblica parlamentare, ma forse l’inquilino del Quirinale si sente proprio un sovrano) e andiamo al sodo.
Francesco Saverio Garofani (Imagoeconomica)
Il consigliere anti Meloni applica il detto siciliano: «Piegati giunco che passa la piena».
La piena è passata e il giunco Francesco Saverio Garofani può tirare un sospiro di sollievo. Da giorni tutto tace e il consigliere di fiducia del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sorveglia rinfrancato gli umori dei palazzi e i tam-tam dei media. Calma piatta, le ostilità si sono placate.
Secondo il procuratore generale di Napoli, Aldo Policastro, il ministro Nordio «realizza il Piano diabolico di Gelli del 1981». Ma paragonare il lavoro di governo e Parlamento a un’organizzazione eversiva è follia.
Facciamo il punto novembrino del confronto referendario: intanto, chi è il frontman della campagna del No?A rigor di logica e per obbligo di mandato correntizio dovrebbe essere il vertice Anm (il presidente Cesare Parodi, ndr), non foss’altro perché rappresenta quel sistema che dal sorteggio risulterebbe più che sconfitto; secondo altri, dovrebbe essere il procuratore di Napoli (Nicola Gratteri, ndr), per la migliore conoscenza dei salotti televisivi; secondo altri ancora dovrebbe essere il presidente del Comitato del No (Enrico Grosso, ndr), un accademico insigne e molto ottimista («Una volta emerso quel sistema opaco con Luca Palamara, è stata fatta pulizia. Lo stesso Csm ha dimostrato che le degenerazioni appartengono al passato», ha dichiarato sulla Repubblica del primo novembre).





