2023-12-20
Il conflitto con Russia e Cina diventa globale
La portaerei Eisenhower a Suez (Matthew R. Cole/Us Navy)
L’Italia manda una fregata nell’area e partecipa alla missione internazionale a guida Usa per garantire la libera navigazione. In ballo c’è ben più della sicurezza nel Mar Rosso: si tratta di contrastare le manovre di Mosca e Pechino lungo la via della Seta.La portaerei Usa Uss Eisenhower dopo essere transitata dalle coste dello Yemen era andata a piazzarsi nel golfo Persico. I missili dei ribelli filo iraniani Huthi sembrano aver stravolto le strategie pianificate negli ultimi mesi. Tant’è che in pochissimo tempo la portaerei è tornata sui propri passi e gli Stati Uniti hanno chiamato a raccolta una coalizione di una decina di nazioni per fermare i ribelli yemeniti e i loro missili destinati a bloccare o semplicemente rallentare i traffici marittimi lungo il canale di Suez. L’altro ieri il segretario di Stato alla Difesa, Lloyd Austin, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Prosperity Guardian» e il coinvolgimento di Gran Bretagna, Canada, Norvegia, Olanda, Bahrain, Seychelles, Spagna e Italia. Alcuni Paesi effettueranno pattugliamenti congiunti, mentre altri forniranno supporto d’intelligence nel Mar Rosso meridionale e nel golfo di Aden. Il tutto poiché gli attacchi costringono gli armatori a scegliere di circumnavigare l’Africa evitando di arrivare al canale di Suez, e ciò allunga di almeno due settimane il tempo di consegna delle merci dirette in Europa e causa un aumento del prezzo di ciò che viene trasportato, greggio in primis. In queste ore, due cacciatorpediniere statunitensi, la Uss Carney e la Uss Mason, incrociano attraverso lo stretto di Bab El Mandeb per contribuire al controllo dello spazio aereo, per scoraggiare blitz da parte Huthi e per rispondere a eventuali attacchi. Ad oggi gli Stati Uniti e la Francia, le cui unità sono intervenute a difesa delle navi mercantili, si sono limitate a distruggere i droni e i missili senza rispondere agli attacchi Huthi, sostenuti dall’Iran, che operano nello Yemen, né hanno preso di mira depositi di armi o altri siti dei militanti. L’Italia ha così anticipato l’invio della fregata Virgilio Fasan, la cui missione avrebbe dovuto iniziare nel prossimo mese di febbraio nell’ambito della missione diplomatica e antipirateria «Atalanta». Domenica la nostra nave dovrebbe quindi attraversare il canale di Suez per unirsi alle attività operative intorno a Capodanno. L’autorizzazione al viaggio rientra nella missione Atalanta, a sua volta già con l’ok del Parlamento. «Durante il colloquio con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti», ha commentato ieri il ministro Guido Crosetto, «è stata affermata l’importanza del principio di libera navigazione, valutato l’impatto sul commercio internazionale e discusse le possibili opzioni per garantire la sicurezza delle rotte marittime al fine di prevenire ripercussioni sull’economia internazionale, con pericolose dinamiche sui prezzi delle materie prime». Il riferimento è chiaramente al ruolo dei nostri porti nel Mediterraneo allargato. Ormai il 40% dei traffici transita dalle nostro coste e il canale di Suez da solo vale per l’economia tricolore degli scambi marittimi qualcosa come 82 miliardi di dollari, oltre il 40% del fatturato complessivo del settore. «L’Italia farà la sua parte, insieme alla comunità internazionale, per contrastare l’attività terroristica», ha concluso Crosetto, «e per tutelare la prosperità del commercio». Resta da capire se a breve si aggiungerà una seconda nave italiana alla missione, ma soprattutto quanto il pattugliamento delle coste di Aden possa impattare sull’allargamento del conflitto lungo la via della Seta. Non si può, infatti, non notare che la struttura militare degli Huthi non richieda il dispiegamento di una flotta. Le posizioni delle batterie missilistiche sono conosciute al millimetro e gli Usa potrebbero intervenire all’istante grazie ai satelliti. D’altro canto le milizie yemenite sono semplici esecutori di strategie iraniane, finanziate tramite un sistema nemmeno troppo complesso di gestione illecita del greggio. Le autorità statunitensi hanno imposto sanzioni a una rete di contrabbando che si ritiene aiuti a finanziare il corpo delle Guardie della rivoluzione islamica dell’Iran e i combattenti in Yemen. Questa rete, presumibilmente guidata dal finanziatore Houthi con base in Iran, Sa’id Al Jamal, indirizzerebbe i fondi ottenuti dalla vendita di greggio iraniano attraverso intermediari e case di cambio in più Paesi verso gli Huthi in Yemen. Bloccare la rete sarebbe un’altra strategia percorribile. La scelta di mettere in campo la flotta, invece, spinge verso uno scenario molto più largo. La Marina serve a conquistare spazi di competenza. Creare un cuscinetto tra il golfo di Aden e quello di Oman significa andare direttamente a disturbare le mosse degli iraniani e dei russi nel mar arabico e in Asia. Viene il dubbio che ciò da un lato permetta il congelamento della guerra in Ucraina (con il riposizionamento del conflitto a livello regionale) e dall’altro l’allargamento di scontro mirato a fermare il ruolo della Russia nella creazione di una struttura economica e militare che possa toccare oltre all’Iran, anche la Cina e le ex repubbliche sovietiche. Ciò che è certo è che la flotta Usa per difendere Israele non ha bisogno di dispiegarsi nel golfo dell’Oman. Basterebbe presidiare le coste di Gaza e quella piccola striscia che va sotto il nome di Eilat. Insomma, stiamo assistendo a un allargamento del conflitto e delle tensioni con la Russia e la Cina. L’Italia si è già schierata. Avremo davanti un triennio molto movimentato.
Lockheed F-35 «Lightning II» in costruzione a Fort Worth, Texas (Ansa)
Roberto Cingolani, ad e direttore generale di Leonardo (Imagoeconomica)
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