
La conferenza sulla Libia, in programma a Parigi venerdì prossimo, è caratterizzata da numerosi interrogativi. Innanzitutto non è chiaro quale sarà l'effettivo livello di coinvolgimento degli stessi libici. Non è infatti ancora noto se sarà presente il premier libico, Abdul Hamid Dbeibah, a causa dei suoi dissapori con il presidente del Consiglio presidenziale della Libia, Mohammad Younes Menfi: dissidi sorti soprattutto dopo che quest'ultimo ha di recente sospeso l'attuale ministro ministro degli Esteri, Najla al-Mangoush, che è stata invece difesa dal premier. Tra l'altro, non va neppure trascurato che, come riportato da Libya Observer negli scorsi giorni, il governo di unità nazionale avesse minacciato di non partecipare alla conferenza parigina, nel caso fosse stato invitato anche Israele: una posizione, questa, che era stata altresì avanzata dal presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Sarà un caso, ma, come sottolineato mercoledì scorso dal Daily Sabah, non è al momento ancora chiaro neppure quale sarà il livello di coinvolgimento di Ankara. Va da sé che, qualora il governo libico e quello turco dovessero snobbare l'evento, la conferenza rischierebbe fondamentalmente di naufragare. D'altronde, tutte queste fibrillazioni già fanno ritenere che i lavori del summit si riveleranno probabilmente piuttosto accidentati. Un secondo elemento da considerare è poi il ruolo del generale Khalifa Haftar. Da più parti si ritiene infatti che costui abbia tutta l'intenzione di candidarsi alle elezioni che si terranno in Libia a fine dicembre. Ed è effettivamente si registra qualche segnale che va in questa direzione. Secondo il quotidiano Haaretz, il figlio del generale, Saddam Haftar, si sarebbe infatti recentemente recato in Israele, dove avrebbe avuto un incontro segreto con dei funzionari israeliani: un incontro, in cui avrebbe chiesto –per conto del padre– "assistenza militare e diplomatica" in cambio di un processo di normalizzazione dei rapporti tra Libia e Israele. Una tale mossa evidenzia come le speculazioni su una corsa presidenziale del maresciallo della Cirenaica non siano forse prive di fondamento. Il punto è che un simile scenario rischia di mettere la Francia in una posizione scomoda. Haftar, che risulta un acerrimo nemico di Erdogan e dei Fratelli musulmani, è stato a lungo politicamente spalleggiato proprio da Parigi in passato. Il suo "spettro" si avvia quindi ad aleggiare sull'imminente conferenza, rischiando di inasprirne il clima. Un terzo aspetto problematico riguarda poi l'Italia. Il summit parigino va infatti inquadrato all'interno della strategia politica del presidente francese, Emmanuel Macron: un Macron che vuole innanzitutto consolidare la propria influenza sullo scacchiere libico e che, in secondo luogo, punta anche a rafforzare il proprio prestigio in vista delle elezioni presidenziali che si terranno in Francia l'anno prossimo. In tutto questo, non passa inosservata la presenza a Parigi del vicepresidente americano, Kamala Harris, che prenderà parte alla conferenza. Quella stessa Harris che si è tra l'altro recata in Francia in questi giorni proprio per ricucire i rapporti della Casa Bianca con l'Eliseo, dopo le turbolenze della questione dei sottomarini. Il rischio è che quindi, pur di ripristinare le relazioni con Macron, il presidente statunitense Joe Biden decida di spalleggiare il suo omologo francese sulla Libia. Uno scenario che, qualora si concretizzasse, si rivelerebbe particolarmente insidioso per l'Italia. Non solo, sul dossier libico, gli interessi di Roma e Parigi sono spesso stati divergenti. Ma, più nello specifico, non va trascurato che il premier, Mario Draghi, abbia sempre puntato sulla sponda di Biden per far tornare il nostro Paese protagonista nel Paese nordafricano. E' per questo che Palazzo Chigi dovrebbe prestare molta attenzione.
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