2020-11-20
Con lo sport si può rilanciare il Paese
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La pandemia di Covid-19 ha acuito il divario tra Nord e Sud, tra centri e periferie Investendo negli impianti si sostiene l'economia e si ricompone il tessuto sociale.Nella cultura e nella politica italiane l'attività sportiva è considerata questione marginale, assolutamente secondaria. E invece l'investimento nello sport potrebbe rappresentare una leva per il rilancio del Mezzogiorno e delle grandi città italiane, a cominciare da Roma. In assenza di un reale recupero del Sud, della Capitale e delle periferie urbane non è possibile sperare di uscire dalla crisi e di cominciare a ricucire un tessuto sociale ormai lacerato. Infatti, ben prima che l'emergenza sanitaria colpisse l'Italia risultava chiaro – a chi avesse voluto vedere – il progressivo sfaldamento della società italiana, sia interno alle singole comunità territoriali (in particolare alle grandi città) sia nelle linee di tendenza generali di un Paese duale. La frattura della società italiana è stata fotografata con precisione dal risultato delle elezioni politiche del 2018, che hanno messo in evidenza un'Italia spezzata in due tronconi (Nord e Sud) e centri urbani polarizzati tra centro e periferia. La società italiana è storicamente poco coesa e caratterizzata da un elevato grado di conflittualità, per questo negli ultimi dieci anni è stato particolarmente grave aver espunto dall'agenda politica il tema della ricomposizione di un tessuto sociale che andava sfilacciandosi anche a causa dello stato di profonda prostrazione in cui versava già allora l'economia italiana. Il Covid-19 ha amplificato problemi aperti, che sono stati per anni colpevolmente ignorati dalla nostra classe politica. Gli elettori avevano mostrato con chiarezza il proprio malcontento il 4 marzo 2018, a Sud come a Nord, sebbene con modalità diverse. L'aspirazione di un cambiamento che ridesse slancio all'economia e avviasse un nuovo processo di convergenza tra le varie frange della popolazione è stata delusa dall'insufficienza dell'azione politica espressa da M5S, in Parlamento come nelle città che era stato chiamato a governare, e da un'arrischiata operazione parlamentare volta a ripristinare un assetto di governo favorevole alla pura conservazione della linea fallimentare che aveva prevalso nei dieci anni precedenti, e contro la quale gli elettori si erano pronunciati. La fase successiva all'inevitabile caduta del primo governo Conte è stata orientata semplicemente a ricreare le condizioni affinché si perpetuasse l'ordine politico che per un paio di lustri aveva definito la rotta dell'Italia. Tuttavia non era realistico pensare di fronteggiare la crisi economica dando vita a equilibri di potere che riconsegnavano il timone della nave in mano a quelle forze che, governando, avevano negato il declino del Paese, in questo modo accentuandolo, e acuito gli squilibri tra Nord e Sud, tra centri e periferie metropolitani, tra città e campagne, tra gruppi professionali e sociali, tra individui. Negli ultimi dieci anni l'ascensore sociale si era completamente bloccato; avevano prosperato soltanto le solite élite e non di rado gruppi che si sostenevano attraverso reti clientelari e una innaturale relazione con la politica. Non può sorprendere che adesso, più di prima, alla luce dell'inadeguata gestione dell'emergenza sanitaria, porzioni crescenti di popolazione si sentano abbandonate, percepiscano di non contare e provino un senso di esclusione.Impreparazione e sete di potere, disegni di Palazzo e alchimie partitiche hanno reso impossibile qualunque prospettiva di positivo rinnovamento della nostra classe dirigente, suscitando sconforto e frustrazione in un quadro di per sé già compromesso e difficile. A questi gravissimi peccati originali e carenze relativi allo stesso impasto su cui si regge l'attuale governo, si aggiungono i fallimenti nell'amministrazione di importanti città che nel 2018 avevano sperato in un rilancio – puntando su persone nuove, sebbene inesperte – e la evidente incapacità del governo di formulare una strategia coerente e articolata per far fronte all'emergenza Covid-19 confidando su altro che la buona volontà degli italiani e la speranza di un vaccino.Il disastro compiuto tra maggio (quando il virus sembrava sotto controllo) e ottobre e la perdurante assenza di strategia aggravano lo stato di generale incertezza in cui i cittadini si trovano oggi a vivere ed esasperano le tensioni che abbiamo richiamato, che covavano da alcuni anni. Sui fronti sanitario, scolastico, economico, industriale, europeo, di politica delle infrastrutture, di finanza pubblica, di pianificazione urbana mancano una visione e una strategia. Eppure è urgente fornire qualche indicazione chiara a noi italiani, darci qualche punto fermo. Molto è stato scritto sulle manchevolezze che hanno caratterizzato l'azione di governo di questi mesi sui temi di maggior impatto mediatico, meno su una questione storicamente sottovalutata in Italia e che tuttavia riveste grande importanza: lo sport non professionistico. Se la confusione che regna attorno alla scuola è ormai acclarata e ampiamente dibattuta, meno è stato scritto sulle misure riguardanti lo sport dilettantistico e giovanile. Nella generale erraticità dei provvedimenti e delle dichiarazioni governativi, l'attività sportiva di base è stata bistrattata e umiliata. I ministeri e gli organi competenti non hanno mostrato alcuna visione né hanno avuto il coraggio di assumere decisioni chiare e coerenti, fosse anche nella direzione di restrizioni più severe, infittendo in questo modo la coltre d'incertezza in cui il mondo sportivo è avvolto e abbandonando milioni di appassionati, soprattutto giovani, nella aleatorietà. E invece lo sport, come la scuola, svolge una funzione fondamentale per lo sviluppo e la coesione di una società. Non solo andrebbe tutelato in questa fase di emergenza, ma potrebbe costituire uno strumento di rilancio del Paese per il futuro. In Italia il settore sportivo di base è contraddistinto da impianti fatiscenti, spesso riesce a sopravvivere soltanto grazie alla passione e all'impegno di uomini che si dedicano, in contesti non facili, alla promozione dei valori dello sport. Valori educativi fondamentali, come il senso di responsabilità, la disciplina, l'impegno, lo spirito di sacrificio, il rispetto per gli altri, vengono appresi da bambini e ragazzi attraverso la pratica sportiva, che si rivela uno strumento indispensabile per contrastare il disagio sociale, soprattutto nelle fasce giovani della popolazione, soprattutto nelle periferie urbane, soprattutto nel Mezzogiorno. La promozione dell'attività sportiva rappresenta un ambito inopportunamente sottovalutato dall'attuale governo e dagli amministratori di città importanti, a cominciare da Roma. Nei prossimi mesi coesione sociale e sviluppo territoriale possono essere perseguiti anche attraverso la formulazione e la realizzazione di un piano strategico per lo sport, imperniato su investimenti volti a realizzare o a modernizzare le infrastrutture in cui, dopo la famiglia e la scuola, i nostri giovani preparano il proprio futuro. Un piano serio e coerente di investimenti nell'impiantistica sportiva di base sosterrebbe l'economia, creerebbe occupazione, contribuirebbe a ricomporre il nostro lacerato tessuto sociale. In particolare, le periferie metropolitane, la città di Roma e il Mezzogiorno ne trarrebbero grande beneficio.