2022-08-18
Con la sconfitta horror della Cheney la vendetta di Trump si è compiuta
Liz Cheney in Wyoming (Jabin Botsford/The Washington Post/ Getty Images)
La figlia dell’ex vicepresidente, sostenuta dai Bush e dai dem moderati, ha perso le primarie repubblicane in Wyoming. È l’ultimo schiaffo all’ala moderata del partito che aveva votato per l’impeachment al tycoon.L’area antitrumpista del Partito repubblicano è politicamente collassata. A certificare questo stato di cose sono state, martedì sera, le primarie repubblicane del Wyoming per la Camera: primarie che hanno visto vincere la candidata sostenuta da Donald Trump, Harriet Hageman, contro la deputata uscente Liz Cheney. In particolare, la prima ha conquistato il 66% dei consensi a fronte di un misero 29% racimolato dalla seconda. Ebbene, proprio Liz Cheney era diventata nell’ultimo anno e mezzo il principale punto di riferimento per i repubblicani apertamente antitrumpisti: non solo votò insieme ad altri nove colleghi di partito a favore del secondo impeachment contro Trump nel 2021, ma è anche attualmente il volto più noto della commissione parlamentare d’inchiesta sull’irruzione in Campidoglio. Commissione notevolmente controversa, visto che tutti i suoi nove componenti (sette dem e due repubblicani) sono stati nominati dalla stessa persona: la speaker della Camera (e leader del partito di maggioranza), Nancy Pelosi. D’altronde, qui il tema non è soltanto la sconfitta in sé, ma soprattutto i numeri che la caratterizzano. Come abbiamo visto, la Cheney non ha perso sul filo del rasoio, ma è stata surclassata con uno scarto di oltre 30 punti: un autentico disastro per una deputata candidata alla terza riconferma e che, nel 2020, aveva vinto le locali primarie repubblicane con il 73% dei voti. Non solo. A rendere più umiliante la sconfitta sta il fatto che Liz vanta solidi legami con potenti settori del vecchio establishment repubblicano, grazie soprattutto a suo padre: l’ex vicepresidente degli Stati Uniti, Dick Cheney. Un elemento, questo, che ha consentito a Liz di fare affidamento anche su un significativo network di finanziatori: un network che, stando ad Axios, risulta strettamente legato alla dinastia Bush. Secondo il sito Open secrets, la Cheney ha raccolto 15 milioni di dollari contro i quattro messi insieme dalla Hageman: una Hageman che ha tuttavia potuto contare su un numero di piccole donazioni doppio (in percentuale) rispetto a quello della rivale. Senza poi trascurare che parte consistente del denaro arrivato nelle casse della Cheney proveniva da aree esterne al Wyoming (come Texas e California). Del resto, dei dieci deputati repubblicani che votarono per mettere Trump in stato d’accusa nel 2021, solo due se ne sono «salvati»: degli altri, quattro sono stati battuti alle primarie di quest’anno e quattro hanno evitato proprio di ricandidarsi (è, per esempio, il caso di Adam Kinzinger, anche lui attuale componente della commissione sul 6 gennaio). Non è andata molto meglio al Lincoln Project: un comitato di repubblicani antitrumpisti, che - oltre ad essersi ritrovato sconvolto da scandali interni - a novembre non è riuscito a impedire la vittoria dell’elefantino alle elezioni governatoriali della Virginia. Neanche a dirlo, la sconfitta della Cheney è stata salutata positivamente da Trump. «Dovrebbe vergognarsi di sé stessa», ha dichiarato l’ex presidente. «Ora può finalmente scomparire nell’oblio politico», ha aggiunto. Dal canto suo, la Cheney non ha esitato a paragonarsi ad Abraham Lincoln, promettendo di dare battaglia in futuro e non escludendo una candidatura presidenziale (non si capisce onestamente facendo appello in caso a quale base elettorale). Tutto questo ci dice principalmente due cose. In primis, la presa di Trump sul Partito repubblicano resta significativa. Non va in tal senso trascurato che la sconfitta della Cheney sia avvenuta oltre una settimana dopo il blitz dell’Fbi in Florida e, soprattutto, dopo due mesi di audizioni in diretta televisiva della commissione 6 gennaio. In secondo luogo, riemerge un paradosso: per la loro opposizione all’ex presidente, negli ultimi 18 mesi i Cheney sono stati salutati come paladini della democrazia dalla sinistra americana. Quella stessa sinistra che li aveva sempre visceralmente odiati, accusandoli di essere dei guerrafondai (e tacciando in particolare Dick di essere un torturatore). Un paradosso aggravato dal fatto che, poco prima delle primarie dell’altro ieri, la figlia dell’ex vicepresidente si era addirittura appellata al voto degli elettori dem.Ma la sconfitta di Liz Cheney ha forse qualcosa da insegnare anche al centrodestra italiano. Innanzitutto viene confermato il vecchio principio, secondo cui l’unica destra che piace alla sinistra è una destra che perde. Il caso della Cheney dimostra infatti la strumentalità di tutti quegli slogan che invocano una «destra presentabile», una «destra moderna», e via dicendo. In secondo luogo, quanto accaduto martedì ci fa capire che, indipendentemente dai destini individuali dello stesso Trump, il trumpismo - inteso come maggiore attenzione alle classi lavoratrici e alle minoranze etniche - è ormai diventato strutturale nel Partito repubblicano. Evitando di lasciarsi fuorviare da alcune tendenziose narrazioni giornalistiche che si ostinano a dipingere il trumpismo come il male assoluto, il centrodestra italiano dovrebbe quindi rafforzare tempestivamente i suoi rapporti con un elefantino che, a novembre, riconquisterà probabilmente almeno uno dei due rami del Congresso. Un elefantino che, nel 2024, potrebbe addirittura espugnare la Casa Bianca.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
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