2024-02-28
Con il voto in Sardegna non cambia proprio nulla
Psicodramma sardo. Su 1.884 sezioni, lunedì mattina ne erano state scrutinate appena dieci, ma già nel centrodestra era iniziata l’operazione di flagellamento. Il primo a battersi il petto, quando ancora non era chiaro il distacco tra la candidata della coalizione 5 stelle-Pd e l’ex sindaco di Cagliari indicato dalla maggioranza, è stato Maurizio Gasparri, il quale non solo ha fatto autocritica sulla passata giunta regionale, guidata da Cristiano Solinas, ma pure sulla scelta dello stesso Paolo Truzzu. Osservazione probabilmente sensata, perché se è vero che la coalizione di centrodestra ha preso più voti di chi la rappresentava e quella di centrosinistra meno dell’ex sottosegretaria grillina, è evidente che qualche cosa non ha funzionato, per lo meno per quanto riguarda le figure prescelte. Però, con il senno di poi, tutti questi bei discorsi su uomini e donne che avrebbero potuto ribaltare la situazione e anche su alcune tensioni che hanno preceduto il voto all’interno della stessa maggioranza lasciano il tempo che trovano per una serie di motivi.Il primo è che la Sardegna è sempre stata una regione in bilico. Non è la Lombardia, tradizionalmente di centrodestra, o l’Emilia, spostata a sinistra. È una realtà più complessa, dove oltre alle tradizionali forze si scontrano anche movimenti autonomisti, che hanno un peso piuttosto rilevante negli equilibri complessivi. E infatti, nel corso degli anni, a seconda delle alleanze costruite dalle diverse forze politiche, si sono costituite maggioranze di segno diverso. Poi bisogna aggiungere che c’è una Sardegna urbana e una più interna, con esigenze molto diverse e anche con rappresentanze che non sempre coincidono. In aggiunta, come si è visto a sinistra, con una spaccatura che ha addirittura lacerato dei rapporti familiari (Renato Soru da una parte e la figlia dall’altra, con la seconda che ha interrotto i rapporti con il primo), c’è una certa tendenza alla litigiosità che non favorisce di certo le alleanze attorno a progetti comuni.Ciò detto, mi fanno ridere le discussioni intorno alla conclusione della luna di miele tra Meloni e gli italiani, così come sogghigno all’idea che questo sia l’inizio della fine del centrodestra, come qualcuno ha scritto. La sconfitta in Sardegna non rappresenta nessun punto di rottura: non è la fine della maggioranza di centrodestra così come non è l’inizio di una nuova maggioranza di centrosinistra. Semplicemente, 5 stelle e Pd hanno vinto per un pugno di voti: 45,40 per cento contro il 45. In pratica, è come se Castiadas o San Giovanni Suergiu, che hanno più o meno 5.000 abitanti, avessero votato in blocco per la Todde. Certo, fosse stato anche un solo voto in più avrebbe sempre vinto la candidata di centrosinistra, ma resta il fatto che elettoralmente la regione è spaccata a metà, con una leggera variazione rispetto alle elezioni politiche: prima pendeva un po’ più a sinistra, oggi pende un po’ più a destra. Sono variazioni impercettibili, che di qui alle Europee forse peseranno o, più probabilmente, no. E ai fini degli equilibri, che cosa cambia? Poco o nulla. Fratelli d’Italia resta il partito più pesante del centrodestra e non credo ci saranno ripercussioni. Tra 5 stelle e Pd rimane la sfida interna per la leadership del centrosinistra.Ecco, sono questi gli aspetti a cui forse conviene guardare. Alle prossime elezioni, quelle per il Parlamento di Bruxelles, Giorgia Meloni deve scegliere se candidarsi, per misurare la sua leadership, oppure evitare. A parte il rischio, a ogni voto, di pesarsi, il presidente del Consiglio è di fronte a un problema: se andasse molto bene potrebbe rimettere in riga gli alleati e procedere senza esitazioni la legislatura, ma se andasse «troppo bene» potrebbe schiacciare i partner e mettere in movimento una situazione destabilizzante che si ripercuoterebbe sul governo.Quanto alla sinistra, lasciando perdere i cespugli di Renzi, di Calenda e pure di Bonino, la sfida è per la primazia fra Conte e Schlein. Il ciuffo di Volturara Appula si agita perché non lo si vuole riconoscere leader del centrosinistra, la segretaria con armocromista al seguito scalpita per sfuggire alle manovre dei maggiorenti del partito che già intendono impacchettarla per sostituirla con Paolo Gentiloni, prossimo disoccupato speciale in Europa. Come avrete capito, in tutti questi giochi nei quali nostro malgrado saremo coinvolti nei prossimi mesi, le elezioni in Sardegna non contano niente. Dunque, a che serve lo psicodramma? Semmai, l’unica cosa che il centrodestra dovrebbe fare è imparare a pensare i candidati un po’ prima delle urne, evitando di pescarli all’ultimo minuto, quando ormai il voto incombe. Altrimenti finirà, come nel passato è finita, a Milano, Roma e adesso pure in Sardegna.
Il palazzo dove ha sede Fratelli d'Italia a Parma
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)
Giuliano Pisapia, Goffredo Bettini, Emma Bonino e Anna Paola Concia (Ansa)