
Serve una nuova terapia intensiva. Il governatore pd: «I fondi ci sono ma la burocrazia li blocca». E lancia una sottoscrizione. Il virus ha contagiato anche lui. Anche Guido Bertolaso che lo ha annunciato su Facebook cosi: «Sono positivo al Covid-19. Quando ho accettato questo incarico sapevo quali fossero i rischi a cui andavo incontro, ma non potevo non rispondere alla chiamata per il mio Paese. Ho qualche linea di febbre, nessun altro sintomo al momento. Sia io che i miei collaboratori più stretti siamo in isolamento e rispetteremo il periodo di quarantena. Continuerò a seguire i lavori dell'ospedale Fiera a Milano e coordinerò i lavori nelle Marche. Vincerò anche questa battaglia». L'ultimo impegno dell'ex capo della Protezione civile è stato il 23 marzo ad Ancona e dopo il suo annuncio anche il presidente della Regione Marche, Luca Ceriscioli, che lo ha chiamato per tentare di arginare l'emergenza Covid-19 si è messo in quarantena. Bertolaso nelle Marche sarebbe servito tre anni e mezzo fa dopo il terribile terremoto: centinaia i morti, decine i paesi distrutti, decine di migliaia gli sfollati. Lo smantellamento della «sua» Protezione civile lascia oggi ancora 30.000 famiglie nelle casette di cartongesso, ancora 6.000 negli alberghi e un deserto economico che il coronavirus ha reso spettrale. Bertolaso è arrivato ad Ancona per cercare una soluzione all'emergenza contagi. Le Marche come la Lombardia sono al collasso. Gli ospedali non ce la fanno più, manca tutto: le mascherine, i tamponi, i ventilatori.Luca Ceriscioli, presidente pd che non sarà ricandidato, si sente libero di contrastare il governo, ha chiesto al «collega» lombardo Attilio Fontana di poter contare anche lui su Bertolaso. Al Governo ha chiesto invece 72 medici, ma non se n'è visto nessuno. Le Regioni ormai si muovono indipendentemente da Palazzo Chigi. Qui va costruita subito una nuova terapia intensiva. Già Ceriscioli era entrato in rotta di collisione con Giuseppe Conte il 23 febbraio quando con un'ordinanza poi impugnata dal governo aveva chiuso le scuole. Si sapeva già che Pesaro e Urbino sarebbero diventate un focolaio. Così è stato e oggi l'emergenza Covid nelle Marche significa un neonato che lotta tra la vita e la morte perché contagiato appena venuto al mondo, significa 2.736 malati su meno di un milione e mezzo di residenti, 220 morti, 693 ricoverati, 149 in terapia intensiva dove non ci sono più letti.Dopo la ricognizione ad Ancona si è fatta strada anche l'idea di realizzare la nuova terapia intensiva o al Palindor o su una nave. «Sarebbe un investimento», aveva detto Bertolaso, «utile anche per il futuro, possiamo farla in 10 giorni». E che si possa fare in fretta lo ha ribadito anche ieri: «Ho il virus ma sono pienamente operativo». Ceriscioli, che dirige la Regione dalla quarantena, comunque ci prova: promette in fretta 120 letti «ventilati». Ma ci vogliono anche i soldi. Così lancia una sottoscrizione: «La Regione i soldi li ha, ma la burocrazia li blocca, per fare in fretta mi appello ai marchigiani: servono 12 milioni di euro». Ancora una volta pagano i cittadini. Lo hanno fatto anche nelle zone del terremoto dove ora alla mancata ricostruzione si somma il coronavirus che trasforma la gente in reclusi. Sono 30.000 famiglie a vivere in casette di cartongesso dove si sta in sei in 80 metri quadrati. Abitano nelle «casette» che dovevano arrivare dopo tre mesi dal sisma e che tre anni e mezzo dopo non sono state ancora tutte consegnate. Costate una media di 1.800 euro al metro quadrato ai contribuenti, già in parte si sgretolano. Sulle casette c'è anche un'inchiesta della Procura di Ancona: 20 indagati, una serie infinita di reati comprese infiltrazioni mafiose. Le infiltrazioni peggiori per i «reclusi» delle Sae sono quelle di acqua ora che è tornata anche la neve. Il coronavirus ha portato via anche l'ospedale. A Camerino, da 42 mesi zona rossa, le corsie sono state trasformate in Covid Hospital, peraltro già esaurito. Il sindaco Sandro Borgia ha protestato con tutti, inutilmente: «Il nostro ospedale assisteva tanti anziani delle zone terremotate ora siamo senza nulla, ce ne diano almeno un altro da campo». Disperati sono i sindaci di tutti i paesi del cratere. A Sant'Angelo sul Nera, borgo cancellato, Mauro Falcucci, e a Visso, chiusa dal terremoto, Patrizia Serfaustini, dicono: «Qui moriamo due volte». Girando per le casette il silenzio è assoluto, dopo le ordinanze stanno tutti chiusi nei «gusci» di cartongesso. Il tempo pare infinito lì dove non arriva nessuno perché le strade sono ancora sbriciolate dal terremoto. Nessuno tranne il Covid e il virus dell'indifferenza dello Stato. Che a fine anno farà sparire l'emergenza sisma per decreto. Ma forse spariranno prima i reclusi delle casette.
2025-12-02
Su Netflix arriva «L’amore è cieco», il reality che mette alla prova i sentimenti al buio
True
«L’amore è cieco» (Netflix)
Il nuovo reality di Netflix riunisce single che si conoscono senza vedersi, parlando attraverso cabine separate. Solo dopo dieci giorni al buio possono incontrarsi e capire se la sintonia nata dalle parole regge alla realtà.
L'amore è cieco, sulla cui locandina campeggiano sorridenti Fabio Caressa e Benedetta Parodi, dovrebbe portare con sé un punto di domanda: qualcosa che lasci aperto agli interrogativi, al dubbio, all'idea che no, l'amore possa avere bisogno di vederci benissimo. Lo show, il cui titolo rievoca la saggezza (presunta) popolare, cerca di provare empiricamente la veridicità del detto. Non è, dunque, un dating show canonico, in cui single stanchi della propria solitudine si mettano a disposizione di chi, come loro, voglia trovare una controparte per la vita.
Le nuove foto di Andrea Sempio davanti a casa Poggi nel giorno del delitto riaccendono il caso e scatenano lo scontro mediatico. Mentre la rete esplode tra polemiche, perizie discusse e toni sempre più accesi, emergono domande che le indagini dell’epoca non hanno mai chiarito: perché nessuno ha registrato questi dettagli? Perché certi verbali sono così scarni? E soprattutto: come si intrecciano queste immagini con il DNA compatibile con la linea paterna di Sempio?
iStock
- Il caso della famiglia del bosco ha portato molti commentatori a ribadire che la prole non appartiene ai genitori. Peccato che quando si tratta di farne compravendita o di ucciderli nel grembo se ne dimentichino sempre.
- La famiglia Trevallion ha spiazzato gli analisti perché trasversale a categorie tradizionali come ricchi contro poveri o colti contro ignoranti. E la gente li ama più delle istituzioni.
Lo speciale contiene due articoli.
Va molto di moda ribadire che i figli non appartengono ai genitori. Lo ha detto Fabio Fazio chiacchierando amabilmente con Michele Serra nel suo salotto: entrambi concordavano sul fatto che i bambini non sono oggetti e devono essere liberi, semmai indirizzati da famiglie, scuola, istituzioni. Lo ha ripetuto ieri sulla Stampa pure lo scrittore Maurizio Maggiani, in prima pagina, prendendosela con la famiglia del bosco e con quello che a suo dire è il delirio dei due genitori. «Non ho nessuna ragione per discutere delle scelte personali», ha spiegato, «non finché diventino un carico per la comunità, nel qual caso la comunità ha buoni motivi per discuterle. Mi interessa invece proprio perché non si tratta di scelta personale, visto che coinvolge i figli, e i figli non sono sé, non sono indistinguibili da chi li ha generati, ma sono per l’appunto altri da sé, individualità aventi diritti che non discendono da un’elargizione dell’autorità paterna o materna, così come sancito dalla Costituzione e dalla convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza».
Ecco #DimmiLaVerità del 2 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso dossieraggi.






