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2019-12-15
I soldi di Open per far viaggiare Renzi con aerei privati di lusso
Ansa
È cosa nota che tra i più affezionati lettori della Verità ci siano i componenti del Giglio magico. Ma la perquisizione all'avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della fondazione Open indagato per finanziamento illecito, lo ha certificato. Gli investigatori della Finanza a settembre - nella prima delle due visite nello studio del legale - in un fascicolo di colore rosso hanno trovato una cartellina denominata «volo privato MR per accettazione fondazione Open» e insieme un articolo della Verità del 13 giugno 2018 intitolato: «Negli Usa con jet privato di lusso, chi paga 150.000 euro per Renzi?». All'epoca, in beata solitudine, stavamo facendo le pulci alle spese pazze di Renzi: proprio in quei giorni scoprimmo che aveva acquistato una villa da 1,3 milioni di euro nonostante avesse sventolato in tv - appena cinque mesi prima - un saldo del conto corrente di circa 15.000 euro. Nei giorni scorsi abbiamo scoperto che quella dimora, che si trova nella Beverly Hills di Firenze, era stata acquistata grazie al generoso prestito dell'imprenditore Riccardo Maestrelli, il quale aveva anticipato 700.000 euro al politico che lo aveva inserito nel Cda di Cassa depositi e prestiti immobiliare. I denari sono stati fatti prima transitare sul conto dell'anziana madre, così da non dare troppo nell'occhio. Ma ci eravamo interessati anche alla storia dell'aereo.
Scoprimmo che l'ex premier il 5 giugno 2018 era volato in America su un volo privato con due guardie del corpo e il segretario particolare Benedetto Zacchiroli, per poter parlare (143 secondi) dal palco dell'anfiteatro del cimitero militare di Arlington in occasione della commemorazione per il cinquantenario della morte di Bob Kennedy. Ad accogliere il Rottamatore all'arrivo furono Joe Kennedy, pronipote di Robert, e Bill Clinton. Calcolammo che quel discorso era costato ai generosi ospiti più di 1.000 euro al secondo, considerando anche le spese di vitto e alloggio della combriccola. Renzi per andare a Washington era infatti salito su un Dassault Falcon 900 bianco, messo a disposizione dalla «Leader» di Ciampino, compagnia esclusiva di «Luxury airtaxi». L'azienda offre catering di chef stellati, limousine e altri lussi a chi viaggia con loro. L'aereo, «un trireattore lungo raggio», ha una grande cabina passeggeri divisa in due aree: «Questo permette un alto livello di comfort e privacy per i passeggeri a bordo sia durante il giorno che di notte. Il divano letto a disposizione nella cabina dei passeggeri è progettato per fornire il massimo comfort durante i voli a lungo raggio effettuati di notte». Ovviamente il prezzo di tanto agio è per tasche capienti. Come dimostravano i nostri conti: «Cliccando sul sito Privatefly, il costo stimato per quattro passeggeri, con andata sempre il martedì (per esempio il 19 giugno) e ritorno il giovedì (21 giugno) parte da 85.000 euro. Ma si tratta di un'offerta base. La cifra reale (salvo sconti) per la traversata oceanica, secondo un esperto contattato dalla Verità, con una compagnia di livello come la Leader si aggirerebbe intorno ai 150.000 euro, considerando le ore di volo e la sosta di tutto l'equipaggio». Adesso gli investigatori hanno probabilmente in mano la fattura col prezzo versato, sino a oggi mai ufficializzato. Un anno e mezzo fa scrivemmo: «Resta la domanda: chi paga e perché i viaggi di Renzi in giro per il mondo, dal Qatar alla Cina, dal Kazakistan a Washington?».
Oggi scopriamo che Renzi per farsi ammirare dai suoi ospiti americani mentre scende da un jet privato ha fatto pagare la traversata ai generosi finanziatori di Open, probabilmente all'oscuro dello spreco di denari dell'ente per gli sfarzi del senatore semplice. Del resto più di un mecenate ha dichiarato a verbale di aver finanziato il nostro a propria insaputa. L'assistente personale dell'imprenditrice Maria Laura Garofalo, il cui gruppo è risultato tra gli sponsor della Fondazione, sentita dagli investigatori ha detto, infatti, di aver scoperto a chi fossero destinati i contributi solo al momento del bonifico. Ma c'è anche il produttore cinematografico Alessandro Di Paolo - che le cronache rosa indicano come fidanzato di Elisa Isoardi - autore di un versamento a Open nel 2016. Quando i finanzieri gli hanno chiesto il perché di quel contributo non ha trovato una spiegazione logica, ammettendo di aver versato senza farsi troppe domande. Per anni i donatori non hanno saputo più nulla dei loro soldi. Ora, grazie all'inchiesta della Procura di Firenze, scoprono che tra le spese addebitate sui conti di Open (e prima ancora di Big Bang) c'erano i rimborsi ai quali attingevano i consiglieri della fondazione, ma anche gli uomini macchina che la facevano funzionare. Gli elenchi dei rimborsi sono lunghi. Si va dalla carta di credito intestata a Marco Carrai, che nel solo 2012 ha strisciato al Starhotels Rosa Grand a Milano per 231 euro, al Principe di Savoia di Milano per 370 euro, allo Star hotel Rosa di Milano per 263 euro in un'occasione e 259 in un'altra. Ma anche le strisciate di Sara Biagiotti, una delle tre Renzi's angels, coordinatrici della campagna elettorale del Bullo per le primarie del Pd, poi finita a Sesto San Giovanni nel ruolo di sindaco, sono entrate nei faldoni dell'inchiesta. Con la carta numero 30611297, che le era stata affidata dalla fondazione, ha pagato due fatture Ikea, una da 1.460 euro, l'altra da 367,98, un conto hotel all'Excelsior di Bologna per 740 euro, un altro all'Hotel Giotto da 809 euro, cinque biglietti Trenitalia (322 euro) e cinque biglietti Alitalia (855 euro). E ancora: Hotel Giuan Alghero (280 euro), Star hotel Grand Milano (172 euro da moltiplicare per quattro soggiorni diversi), hotel Isolabella a Taormina (247 euro), hotel Bernini Roma (207 euro), Grande Jolly di Firenze (355). E ha anticipato «all'avvocato Boschi 679 euro», appuntando che erano «da rimborsare». Spese simili sono state riscontrate sugli estratti conto della carta in uso a Roberto Reggi, sindaco di Piacenza, poi sottosegretario all'Istruzione, su quella in uso a Eleonora Chierichetti, a Lorenza Bonaccorsi (per lei c'è anche una serata in osteria a Roma per la modica cifra di 225 euro), a Giuliano Da Empoli, e agli altri trascinatori di Big Bang. E poi, addebitate soprattutto sui conti di Open, ci sono le spese dei big. Tra le quali i finanzieri annotano quella per gli «altri costi inerenti Errani, Renzi, Mancini, Lotti». Totale: 380 euro. E quella pagata il 9 marzo 2013 per gli «allestimenti Matteo novembre 2012». Totale: 6.050 euro. Altra rendicontazione generica e per cifre significative, datata 30 dicembre 2013, è segnata con questa voce: «Girotondi da comitato per Matteo Renzi segretario, 72.000 euro». Lo stesso giorno parte dai conti di Open anche un «contributo a comitato Matteo Renzi Segretario Pd» da 54.700 euro. E, infine, dai faldoni saltano fuori le annotazioni abbraviate: «MR». Facile intuire che si tratta delle iniziali del fu Rottamatore. Gli investigatori le hanno trovate impresse su una cartellina bianca contenente i contratti per un'utenza mobile sim Ipod, su una cartellina azzurra con all'interno la corrispondenza del comitato per la candidatura di MR con tali dottori Fazzini e Spadoni. Ma, soprattutto, hanno trovato quelle iniziali sulla sottocartellina denominata «Volo privato MR» per Washington del giugno 2018: il noleggio dell'aereo taxi che portò il Bullo negli States. Tutto pagato dai finanziatori di Open.
Il papà dell’emendamento non ci sta: «Non ho mai avuto rapporti col Pd»
Il tono formale e distaccato cede al risentimento, a un certo punto. «Certo, mi roderebbe anche un po' il culo, insomma, se qualcuno avesse fatto cassa con una mia creatura». Lui è l'ex senatore Aldo Di Biagio, 55 anni tra qualche giorno, natali abruzzesi ma romano d'adozione. La «creatura» è l'emendamento su Strada dei parchi che i finanzieri hanno ritrovato in versione riveduta e corretta tra le carte dell'avvocato Alberto Bianchi, l'ex presidente della fondazione Open indagato per traffico d'influenze e finanziamento illecito ai partiti. Il legale fiorentino è stato consulente (superpagato) del gruppo Toto in una controversia con l'Anas che si è risolta - a favore dei Toto - solo grazie al provvedimento legislativo di Di Biagio. «Bianchi? Non lo conosco», giura al nostro giornale l'ex Pdl, ex Scelta civica, ex Area popolare e oggi simpatizzante del cespuglietto dell'ex ministro Beatrice Lorenzin. «Non so perché conservasse il mio documento».
Alberto Bianchi custodiva nello studio perquisito dalla Finanza il 17 settembre scorso due copie dell'emendamento Di Biagio, che ha modificato «l'articolo 52 quinquies del dl 24 aprile 2017/50 convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017/96», si legge negli atti del procedimento. Sulla prima sono riconoscibili due grafie: una dello stesso avvocato toscano e un'altra sconosciuta che dice «Di Biagio riformulato». A questa frase fanno da cornice una sigla «Gr» e una data «10/7». Sulla seconda copia c'è invece un'annotazione «Toto/Anas (Strada parchi) da A. Toto 15/6/2017». Con questo provvedimento, varato dal governo Gentiloni, il gruppo Toto ottenne la sospensione del pagamento delle due rate della concessione autostradale per l'A24 e l'A25 da 55 milioni l'una in cambio di interventi urgenti sulla rete autostradale per la sicurezza antisismica. La somma complessiva di 111 milioni sarà poi versata all'Anas, come previsto dall'emendamento, in tre comode soluzioni da 34 milioni tra il 2028 e il 2030, cioè 15 anni dopo la loro naturale scadenza. I Toto però si difendono con l'Ansa: «Non abbiamo chiesto né ricevuto favori. La norma rispondeva all'obbligo da parte del governo di rispettare una sentenza del Tar del Lazio», che ordinò «di sanare una situazione di mancato finanziamento delle opere straordinarie di messa in sicurezza antisismica».
Ritorniamo a Di Biagio: ha avuto «incoraggiamenti» dal Pd per presentare il documento? «No. A sostenere l'emendamento siamo stati Jonny Crosio, leghista, e io. Non conosco la famiglia Toto. Alla Camera con me c'era però Daniele Toto. Ho cercato di capire da lui quali erano le problematiche, ma ribadisco che l'emendamento è tutto mio». Daniele Toto è il nipote del capostipite Carlo ed è stato deputato del Pdl, poi proconsole finiano in Abruzzo con una breve parentesi nel Partito liberale. Ha fatto parte della pattuglia di 35 parlamentari di centrodestra che si schierarono per il sì al referendum del 2016.
Proviamo a insistere con Di Biagio: sa se i lavori di messa in sicurezza sulla rete autostradale gestita dai Toto sono stati fatti? «Io penso di sì». Non riesce a spiegarsi com'è che il suo provvedimento sia finito agli atti dell'inchiesta su fondazione Open? «All'epoca l'ho girato a molti colleghi affinché ci fosse maggiore condivisione. Qualcuno poi potrebbe essersi appropriato del mio lavoro». Il sospetto degli inquirenti è che Bianchi, che ha ricevuto dai Toto parcelle per quasi 3 milioni di euro, una parte dei quali (400.000 euro) è finita sui conti correnti di Open e del Comitato per il sì al referendum, abbia sfruttato gli addentellati di quella gigantesca macchina di potere che era il renzismo delle origini per agevolare i suoi clienti. Di Biagio, che all'epoca era in maggioranza con il Pd, respinge pure l'ultimo assalto: «Mai avuto rapporti diretti coi dem. Il mio era un emendamento intelligente, ben fatto». A dire il vero, la relazione tecnica di accompagnamento sosteneva il contrario. «La sospensione del versamento dei corrispettivi annui relativi al 2015 e al 2016», si legge nel dossier di Palazzo Madama, «dovuti dal concessionario ad Anas e la posticipazione della loro corresponsione negli anni 2028, 2029 e 2030, sembra determinare una riduzione delle entrate di Anas» e quindi una possibile alterazione del bilancio dello Stato, sottoposto ai vincoli Ue. Da qui la richiesta dei tecnici di acquisire «il parere del governo». Che ovviamente fu positivo.
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Aeroplani, hotel di categoria, ristoranti e perfino mobili Ikea: le carte di credito dell'ente guidato da Alberto Bianchi hanno coperto spese per il Rottamatore e i suoi sodali, che molto spesso hanno optato per soluzioni di lusso.L'ex senatore Aldo Di Biagio elaborò il testo: «Mi rode il c...». Toto: «Nessun favore chiesto».Lo speciale contiene due articoli. È cosa nota che tra i più affezionati lettori della Verità ci siano i componenti del Giglio magico. Ma la perquisizione all'avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della fondazione Open indagato per finanziamento illecito, lo ha certificato. Gli investigatori della Finanza a settembre - nella prima delle due visite nello studio del legale - in un fascicolo di colore rosso hanno trovato una cartellina denominata «volo privato MR per accettazione fondazione Open» e insieme un articolo della Verità del 13 giugno 2018 intitolato: «Negli Usa con jet privato di lusso, chi paga 150.000 euro per Renzi?». All'epoca, in beata solitudine, stavamo facendo le pulci alle spese pazze di Renzi: proprio in quei giorni scoprimmo che aveva acquistato una villa da 1,3 milioni di euro nonostante avesse sventolato in tv - appena cinque mesi prima - un saldo del conto corrente di circa 15.000 euro. Nei giorni scorsi abbiamo scoperto che quella dimora, che si trova nella Beverly Hills di Firenze, era stata acquistata grazie al generoso prestito dell'imprenditore Riccardo Maestrelli, il quale aveva anticipato 700.000 euro al politico che lo aveva inserito nel Cda di Cassa depositi e prestiti immobiliare. I denari sono stati fatti prima transitare sul conto dell'anziana madre, così da non dare troppo nell'occhio. Ma ci eravamo interessati anche alla storia dell'aereo. Scoprimmo che l'ex premier il 5 giugno 2018 era volato in America su un volo privato con due guardie del corpo e il segretario particolare Benedetto Zacchiroli, per poter parlare (143 secondi) dal palco dell'anfiteatro del cimitero militare di Arlington in occasione della commemorazione per il cinquantenario della morte di Bob Kennedy. Ad accogliere il Rottamatore all'arrivo furono Joe Kennedy, pronipote di Robert, e Bill Clinton. Calcolammo che quel discorso era costato ai generosi ospiti più di 1.000 euro al secondo, considerando anche le spese di vitto e alloggio della combriccola. Renzi per andare a Washington era infatti salito su un Dassault Falcon 900 bianco, messo a disposizione dalla «Leader» di Ciampino, compagnia esclusiva di «Luxury airtaxi». L'azienda offre catering di chef stellati, limousine e altri lussi a chi viaggia con loro. L'aereo, «un trireattore lungo raggio», ha una grande cabina passeggeri divisa in due aree: «Questo permette un alto livello di comfort e privacy per i passeggeri a bordo sia durante il giorno che di notte. Il divano letto a disposizione nella cabina dei passeggeri è progettato per fornire il massimo comfort durante i voli a lungo raggio effettuati di notte». Ovviamente il prezzo di tanto agio è per tasche capienti. Come dimostravano i nostri conti: «Cliccando sul sito Privatefly, il costo stimato per quattro passeggeri, con andata sempre il martedì (per esempio il 19 giugno) e ritorno il giovedì (21 giugno) parte da 85.000 euro. Ma si tratta di un'offerta base. La cifra reale (salvo sconti) per la traversata oceanica, secondo un esperto contattato dalla Verità, con una compagnia di livello come la Leader si aggirerebbe intorno ai 150.000 euro, considerando le ore di volo e la sosta di tutto l'equipaggio». Adesso gli investigatori hanno probabilmente in mano la fattura col prezzo versato, sino a oggi mai ufficializzato. Un anno e mezzo fa scrivemmo: «Resta la domanda: chi paga e perché i viaggi di Renzi in giro per il mondo, dal Qatar alla Cina, dal Kazakistan a Washington?». Oggi scopriamo che Renzi per farsi ammirare dai suoi ospiti americani mentre scende da un jet privato ha fatto pagare la traversata ai generosi finanziatori di Open, probabilmente all'oscuro dello spreco di denari dell'ente per gli sfarzi del senatore semplice. Del resto più di un mecenate ha dichiarato a verbale di aver finanziato il nostro a propria insaputa. L'assistente personale dell'imprenditrice Maria Laura Garofalo, il cui gruppo è risultato tra gli sponsor della Fondazione, sentita dagli investigatori ha detto, infatti, di aver scoperto a chi fossero destinati i contributi solo al momento del bonifico. Ma c'è anche il produttore cinematografico Alessandro Di Paolo - che le cronache rosa indicano come fidanzato di Elisa Isoardi - autore di un versamento a Open nel 2016. Quando i finanzieri gli hanno chiesto il perché di quel contributo non ha trovato una spiegazione logica, ammettendo di aver versato senza farsi troppe domande. Per anni i donatori non hanno saputo più nulla dei loro soldi. Ora, grazie all'inchiesta della Procura di Firenze, scoprono che tra le spese addebitate sui conti di Open (e prima ancora di Big Bang) c'erano i rimborsi ai quali attingevano i consiglieri della fondazione, ma anche gli uomini macchina che la facevano funzionare. Gli elenchi dei rimborsi sono lunghi. Si va dalla carta di credito intestata a Marco Carrai, che nel solo 2012 ha strisciato al Starhotels Rosa Grand a Milano per 231 euro, al Principe di Savoia di Milano per 370 euro, allo Star hotel Rosa di Milano per 263 euro in un'occasione e 259 in un'altra. Ma anche le strisciate di Sara Biagiotti, una delle tre Renzi's angels, coordinatrici della campagna elettorale del Bullo per le primarie del Pd, poi finita a Sesto San Giovanni nel ruolo di sindaco, sono entrate nei faldoni dell'inchiesta. Con la carta numero 30611297, che le era stata affidata dalla fondazione, ha pagato due fatture Ikea, una da 1.460 euro, l'altra da 367,98, un conto hotel all'Excelsior di Bologna per 740 euro, un altro all'Hotel Giotto da 809 euro, cinque biglietti Trenitalia (322 euro) e cinque biglietti Alitalia (855 euro). E ancora: Hotel Giuan Alghero (280 euro), Star hotel Grand Milano (172 euro da moltiplicare per quattro soggiorni diversi), hotel Isolabella a Taormina (247 euro), hotel Bernini Roma (207 euro), Grande Jolly di Firenze (355). E ha anticipato «all'avvocato Boschi 679 euro», appuntando che erano «da rimborsare». Spese simili sono state riscontrate sugli estratti conto della carta in uso a Roberto Reggi, sindaco di Piacenza, poi sottosegretario all'Istruzione, su quella in uso a Eleonora Chierichetti, a Lorenza Bonaccorsi (per lei c'è anche una serata in osteria a Roma per la modica cifra di 225 euro), a Giuliano Da Empoli, e agli altri trascinatori di Big Bang. E poi, addebitate soprattutto sui conti di Open, ci sono le spese dei big. Tra le quali i finanzieri annotano quella per gli «altri costi inerenti Errani, Renzi, Mancini, Lotti». Totale: 380 euro. E quella pagata il 9 marzo 2013 per gli «allestimenti Matteo novembre 2012». Totale: 6.050 euro. Altra rendicontazione generica e per cifre significative, datata 30 dicembre 2013, è segnata con questa voce: «Girotondi da comitato per Matteo Renzi segretario, 72.000 euro». Lo stesso giorno parte dai conti di Open anche un «contributo a comitato Matteo Renzi Segretario Pd» da 54.700 euro. E, infine, dai faldoni saltano fuori le annotazioni abbraviate: «MR». Facile intuire che si tratta delle iniziali del fu Rottamatore. Gli investigatori le hanno trovate impresse su una cartellina bianca contenente i contratti per un'utenza mobile sim Ipod, su una cartellina azzurra con all'interno la corrispondenza del comitato per la candidatura di MR con tali dottori Fazzini e Spadoni. Ma, soprattutto, hanno trovato quelle iniziali sulla sottocartellina denominata «Volo privato MR» per Washington del giugno 2018: il noleggio dell'aereo taxi che portò il Bullo negli States. 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La «creatura» è l'emendamento su Strada dei parchi che i finanzieri hanno ritrovato in versione riveduta e corretta tra le carte dell'avvocato Alberto Bianchi, l'ex presidente della fondazione Open indagato per traffico d'influenze e finanziamento illecito ai partiti. Il legale fiorentino è stato consulente (superpagato) del gruppo Toto in una controversia con l'Anas che si è risolta - a favore dei Toto - solo grazie al provvedimento legislativo di Di Biagio. «Bianchi? Non lo conosco», giura al nostro giornale l'ex Pdl, ex Scelta civica, ex Area popolare e oggi simpatizzante del cespuglietto dell'ex ministro Beatrice Lorenzin. «Non so perché conservasse il mio documento». Alberto Bianchi custodiva nello studio perquisito dalla Finanza il 17 settembre scorso due copie dell'emendamento Di Biagio, che ha modificato «l'articolo 52 quinquies del dl 24 aprile 2017/50 convertito con modificazioni dalla legge 21 giugno 2017/96», si legge negli atti del procedimento. Sulla prima sono riconoscibili due grafie: una dello stesso avvocato toscano e un'altra sconosciuta che dice «Di Biagio riformulato». A questa frase fanno da cornice una sigla «Gr» e una data «10/7». Sulla seconda copia c'è invece un'annotazione «Toto/Anas (Strada parchi) da A. Toto 15/6/2017». Con questo provvedimento, varato dal governo Gentiloni, il gruppo Toto ottenne la sospensione del pagamento delle due rate della concessione autostradale per l'A24 e l'A25 da 55 milioni l'una in cambio di interventi urgenti sulla rete autostradale per la sicurezza antisismica. La somma complessiva di 111 milioni sarà poi versata all'Anas, come previsto dall'emendamento, in tre comode soluzioni da 34 milioni tra il 2028 e il 2030, cioè 15 anni dopo la loro naturale scadenza. I Toto però si difendono con l'Ansa: «Non abbiamo chiesto né ricevuto favori. La norma rispondeva all'obbligo da parte del governo di rispettare una sentenza del Tar del Lazio», che ordinò «di sanare una situazione di mancato finanziamento delle opere straordinarie di messa in sicurezza antisismica». Ritorniamo a Di Biagio: ha avuto «incoraggiamenti» dal Pd per presentare il documento? «No. A sostenere l'emendamento siamo stati Jonny Crosio, leghista, e io. Non conosco la famiglia Toto. Alla Camera con me c'era però Daniele Toto. Ho cercato di capire da lui quali erano le problematiche, ma ribadisco che l'emendamento è tutto mio». Daniele Toto è il nipote del capostipite Carlo ed è stato deputato del Pdl, poi proconsole finiano in Abruzzo con una breve parentesi nel Partito liberale. Ha fatto parte della pattuglia di 35 parlamentari di centrodestra che si schierarono per il sì al referendum del 2016. Proviamo a insistere con Di Biagio: sa se i lavori di messa in sicurezza sulla rete autostradale gestita dai Toto sono stati fatti? «Io penso di sì». Non riesce a spiegarsi com'è che il suo provvedimento sia finito agli atti dell'inchiesta su fondazione Open? «All'epoca l'ho girato a molti colleghi affinché ci fosse maggiore condivisione. Qualcuno poi potrebbe essersi appropriato del mio lavoro». Il sospetto degli inquirenti è che Bianchi, che ha ricevuto dai Toto parcelle per quasi 3 milioni di euro, una parte dei quali (400.000 euro) è finita sui conti correnti di Open e del Comitato per il sì al referendum, abbia sfruttato gli addentellati di quella gigantesca macchina di potere che era il renzismo delle origini per agevolare i suoi clienti. Di Biagio, che all'epoca era in maggioranza con il Pd, respinge pure l'ultimo assalto: «Mai avuto rapporti diretti coi dem. Il mio era un emendamento intelligente, ben fatto». A dire il vero, la relazione tecnica di accompagnamento sosteneva il contrario. «La sospensione del versamento dei corrispettivi annui relativi al 2015 e al 2016», si legge nel dossier di Palazzo Madama, «dovuti dal concessionario ad Anas e la posticipazione della loro corresponsione negli anni 2028, 2029 e 2030, sembra determinare una riduzione delle entrate di Anas» e quindi una possibile alterazione del bilancio dello Stato, sottoposto ai vincoli Ue. Da qui la richiesta dei tecnici di acquisire «il parere del governo». Che ovviamente fu positivo.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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