2022-02-06
Compagni di movida o oggetti di studio. Bologna ha platani per ogni occasione
Piazza Malpighi, Bologna (iStock)
A piazza Malpighi risiede l’esemplare più grande della città. Sopraelevato rispetto alla strada, è però parte del panorama dello svago locale. All’orto botanico c’è un «fratello» più giovane, ma di sicuro più austero.Tra i tanti platani di Bologna ve n’è uno che merita il riconoscimento di albero più grande e articolato della città: è il platano di Piazza Malpighi. I dati ufficiali, forniti dall’attuale proprietaria, recitano diametro del tronco a petto d’uomo 162 centimetri circonferenza 508 centimetri. Si suppone che sia stato messo a dimora intorno al 1825, quando la famiglia Rusconi sistemò un giardino accanto al maneggio che c’era qui, e per questo veniva un tempo chiamato il platano della Cavallerizza. Al tempo Camillo Cavour era un ragazzino che correva dietro le farfalle, anzi, era già un provetto e astuto stratega della regia Accademia militare di Torino. I bombardamenti del 1944 e i successivi restauri hanno cambiato aspetto alla zona, ed ora si trova all’interno di uno spazio recintato, sopraelevato rispetto alla piazza che si popola d’attorno, tra i tavolini di un ristorante. O quantomeno così era prima dell’arrivo del Covid. L’albero è leggermente inclinato e pende in direzione della basilica di San Francesco, a cinque metri di altezza inizia a buttar fuori rami fino alla chioma circolare, maestosa, che ha una profondità di circa 20 metri. È visibile dai piani alti delle case, di certo è una delle poche chiome che superano i tetti, ammirabile dalla cima della torre degli Asinelli. Senza troppi preamboli mi accovaccio e mi metto in ascolto. Caro Platano, quanto dev’esser cambiato il rumore che ti circonda. Ora automobili, autobus, clacson e motorini, un tempo erano gli zoccoli dei cavalli e lo stridio delle ruote ferrate di qualche carretto che transitava, di tanto in tanto.Mgrrr-mmmgrrr… è la terra che brontola di continuo. Noi, da quassù, sentiamo tutto, ogni macchina che passa sono scuotimenti che raggiungono le mie foglie più alte. Questo deturpa le ore del riposo.E di tutti questi umani che ti girano appresso, camminando sulle tue radici, banchettando seduti ai loro tavolini?I discorsi di voi umani sono interessanti. Sento parlare di tutto: di quel sentimento così confuso che chiamate amore, di odio, di amicizia e di follia, di calcio, di politica, vero è che avete eletto qualcuno di importante? Noi alberi non abbiamo presidenti, non conosciamo direttori, nemmeno padroni, l’unico padrone è il tempo che noi comunque spesso cerchiamo di non ascoltare.più appartatoMi spingo nel non lontanissimo orto botanico dell’università. Atti fondativi furono la volontà di riservare qualche metro di terra allo studio di piante medicamentose e alberi da parte di Luca Ghini, titolare della cattedra di lettura e ostensione dei semplici, e del suo successore, l’arcinoto Ulisse Aldovrandi. Un primo tentativo risale al 1568, con un giardinetto dietro l’attuale Sala Borsa, si trasferisce dunque nel 1587 e alfine, dove lo possiamo visitare, nel 1740. Questo vuol dire che le piante più annose non possono avere oltre 270-280 anni. Vi sono diversi alberi di origine straniera, fin dal Messico, dal Giappone, dal nud e dal nord America. Ma c’è anche un platano ossuto che trionfa con la sua chioma al di sopra degli altri alberi di questa oasi. Sfila accanto alle serre, ha una corteccia sbiancata e una circonferenza del piede pari a 490 centimetri. La particolarità sta nel fatto che i rami occupano una parte minore della sua altezza, soltanto un 40% circa della parte superiore. Età stimabile? 150 anni. Gli alberi che vivono negli orti botanici suggeriscono una certa rispettosità, come se la loro natura fosse diversa da un semplice albero di bosco, o da viale. Un platano da orto botanico è un esemplare figlio di una luna maggiore, un prescelto, ai suoi piedi gli esperti e i docenti espongono dati, snocciolano numeri e cifre, sentenziano addirittura in latino.Mi sono fermato varie volte alla sua base, guardandomi intorno in momenti di vuoto, giusto per non farmi riprendere da qualche sospettoso e solerte studioso di sistematica: Che cosa sta facendo, lei? Chi le ha dato il permesso di toccare quell’albero? Eccetera eccetera. Quando mi vedo solo mi appoggio al suo tronco, tento d’instaurare un dialoga, pongo qualche domanda, ma senza successo. È un platano reticente.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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