2019-02-24
La società della truffa dei diamanti partecipava pure agli aumenti di capitale delle banche
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Storia di Intermarket diamond business, la prima società di intermediazione in Italia, fallita nel 2018, lanciata negli anni Settanta da una collaboratrice di Michele Sindona, avvicinata dalla 'Ndrangheta nel 2005 e poi cresciuta dopo la crisi del 2008. Lo schema si è rivelato un illecito. Eppure l'azienda dal 2012 al 2016 ha acquistato azioni di Unicredit, Banco Popolare e Pop Lodi.Dietro l'inchiesta sulla presunta truffa dei diamanti che ha coinvolto i più importanti istituti di credito italiani, tra cui Intesa, Banco Bpm e Unicredit, c'è una storia che vale la pena raccontare. E' la storia di una maledizione e che riporta le lancette dell'orologio all'inizio degli anni Settanta, quando una giovane donna di origini argentine di nome Antinea Massetti De Rico incontrò sulla sua strada Michele Sindona, all'epoca titolare della Amincor Bank legata al Banco Ambrosiano. Fu lì, dopo il 1974, gli scandali, le infiltrazioni della mafia, la P2, lo Ior, gli omicidi e uno spaccato mai del tutto chiarito della storia d'Italia, che questa donna, che voleva diventare agente di cambio, decise di lanciare nel nostro Paese alla prima società di intermediazione di diamanti da investimento, ovvero la Intermarket Diamond Business. Aveva capito l'importanza di queste pietre preziose lavorando nel settore investimenti della Amincor. Intuì subito che negli anni sarebbe diventato un bene rifugio come l'oro. «Quando fondai l'Intermarket Diamond Business, il monopolio del mercato in tutto il mondo era in mano ai gioiellieri e la sola società che si occupava di investimenti in diamanti, la Diamond Selection di Londra, durò solo un paio di anni» spiegò anni dopo in un'intervista. «Non è stato facile portare al successo un tipo di investimento che presuppone una buona cultura finanziaria e ancora oggi non di rado genera stupore e diffidenza iniziali. Ma una volta percepite le reali potenzialità, la partecipazione si fa curiosa e non di rado appassionata. Il diamante non è più vissuto come irraggiungibile oggetto del desiderio, ma come oculata operazione finanziaria. È un sogno che diviene realtà, senza illusionismi e senza rischi, da tenere con sé, da gestire in prima persona».A distanza di più di quarant'anni la fine della Idb non è solo nelle carte dell'inchiesta della procura di Milano, ma è una storia che attraversa l'Italia e la crisi economica degli ultimi dieci anni, coinvolgendo le nostre banche e il modo in cui hanno operato. Del resto intorno al business dei diamanti qualcosa non deve essere funzionato, soprattutto se si pensa che Claudio Giacobazzi, il factotum della signora De Rico, ex amministratore delegato della Idb, si è suicidato in una stanza d'albergo lo scorso anno, portando con sé i segreti di un modo di fare affari su cui i magistrati milanesi vogliono fare chiarezza. Se sulla morte di Sindona e del famoso caffè si è discusso a lungo, di meno lo si è fatto su quella di Giacobazzi, un sessantacinquenne che aveva il porto d'armi ma che, stando alle indagini, ha preferito farsi fuori con un sacchetto di plastica in testa: sul comodino dell'hotel Remilia dove l'hanno trovato senza vita c'era un biglietto con la scritta «c'è la stanza ancora da pagare». E pensare che la Idb aveva saputo cavalcare le crisi economiche e industriali degli ultimi anni. Già negli anni Novanta, forti di un accordo con il Credito Italiano (la futura Unicredit), De Rico e Giacobazzi iniziano a convincere gli investitori del rischio dei titoli finanziari. La prima impennata, infatti, avviene dopo il crac Parmalat e il default dei bond argentini. In quegli anni avviene però un fatto strano. La Idb finisce nelle carte di una delle prime inchieste per Ndrangheta a Milano, ovvero Dirty Money - come ha spesso ricordato Nicola Borzi sul Sole24ore - dove alcuni affiliati avevano cercato di agganciare l'ex collaboratrice di Sindona per acquistare il 5% della società a 350.000 euro. All'epoca la società realizzava 18 milioni di euro di ricavi, con il 4,7 di margine operativo lordo e un utile di esercizio di 2,7 milioni. La bionda «signorissima dei diamanti», come amava farsi chiamare, però rifiutò l'offerta. Quell'inchiesta poi è finita nel dimenticatoio, spostata a Cagliari, nel 2016 tutti gli indagati sono stati archiviati, tra cui anche l'avvocato Giuseppe Melzi, quello che aveva messo in contatto, stando alle carte, le cosche con la De Rico. Il legale è uscito indenne da tutte le indagini, il suo nome era diventato noto negli anni Settanta perché fu lui a seguire i piccoli risparmiatori dopo il crac della Banca Privata Italiana di Sindona». Ma è nel 2008, quando il crollo di Lehman Brother a Wall Strett sconvolge i mercati mondiali, che la società di intermediazione fa il grande salto. All'epoca il fatturato della Idb è di circa 35 milioni di euro. Nel 2011, con lo spread ai massimi e Giacobazzi nuovo amministratore delegato, il guadagno a fine anno è di 200 milioni di euro. La signora De Rico inizia a muoversi. E stando a quanto ricostruito dalla Verità, inizia a sondare il terreno per vendere. Vuole il doppio del fatturato del 2011, perché capisce che la crisi economica avrebbe morso sempre di più. Qualcosa però va storto. Per una caduta accidentale finisce in coma, morirà nel 2017, prima di vedere il fallimento della sua impresa e la lunga scia di inchieste che la toccheranno. Per di più, anche l'eredità della signora De Rico è finita sotto indagine, quasi a confermare che la maledizione dei diamanti non sembra essere ancora finita. Di sicuro qualche problema lo si è avuto all'interno delle banche. Nessuno si è accorto che il valore delle pietre talvolta arrivava solo al 20% del prezzo stabilito dall'istituto?. Del resto il legame tra Idb e le nostre banche è molto stretto. «Nel 2012 la società di intermediazione ha aderito all'aumento di capitale di Unicredit, acquistando 1.200.000 di diritti di opzione della banca del valore nominale complessivo pari a 2,354.055 euro e sottoscrivendo 2.400.000 azioni Unicredit versando 4.663.200 euro: una partecipazione complessiva del valore pari a 7.017.255 euro», si legge nelle carte dell'inchiesta.Non solo, Idb ha aderito all'aumento di capitale del Banco Popolare del 2014, della Banca Popolare di Lodi e poi ancora nel 2016. Nelle indagini è anche emerso che Idb ha ricoperto di regali i vertici di alcune filiali del Banco Bpm e di Unicredit, nonostante negli accordi si prevedesse espressamente che «nessun dipendente/impiegato, funzionario o incaricato della banca potrà dare o ricevere in relazione al presente accordo commissioni, compensi, benefici, regali o omaggi». La Guardia di finanza ha quantificato in 100.000 euro i regali ai vertici degli istituti bancari. In un'intervista nel 2006 alla domanda se il mercato dei diamanti fosse quello rappresentato nel film Blood Diamond con Leonardo Di Caprio, la De Rico rispose: No oggi è tutto trasparente. Per fortuna. media0.giphy.com
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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