
Il sindacato di base vuole scalzare la Triplice soprattutto nella logistica con stop ripetuti e picchetti infiniti. I risultati però sono pochi: il vero obiettivo è bloccare le fabbriche, tant’è che non partecipano alle trattative.Cosa succede se i grandi sindacati confederali (Cgil in testa) smettono di fare sindacato, trascurano i problemi dei lavoratori e preferiscono darsi al marketing comunicativo e alla politica? Semplice. Che il loro posto nelle «fabbriche» viene preso da chi li ha sempre avversati usando proprio queste argomentazioni. Da chi rifiuta ogni forma di dialogo e si mette in una posizione border line tra la rappresentanza degli «operai» e tutto l’universo antagonista della sinistra che parte dai centri sociali e non si sa fin dove arriva. Niente di nuovo, un processo quasi naturale, che trova la sua rappresentazione plastica nell’universo dei Cobas. La sigla degli autonomi nata circa 40 anni fa, originariamente concentrata su scuola e trasporti, che ha fatto delle forme di lotta non convenzionali il suo tratto distintivo. Il metodo Cobas è collaudato. Parte dallo sciopero, che è una sorta di minimo sindacale della protesta, si infittisce con i presidi permanenti davanti alle fabbriche (quasi sempre vuol dire bloccare o comunque ostacolare le attività anche di chi a lavoro ci vorrebbe andare) e si ramifica in situazioni varie ed eventuali: la resistenza rispetto agli interventi delle Forze dell’ordine fa parte di un must, così come lanciarsi sotto i furgoni in manovra o inscenare falsi incidenti allo scopo di filmarli ne rappresenta una variante. La durata delle azioni della confederazione dei comitati di base è variabile, ma alla fine i risultati sono una costante: vicini alla zero. Certo, il mondo dei Cobas è molto articolato e sarebbe superficiale generalizzare, ma vuoi per la struttura, per nulla gerarchica, vuoi per l’assenza nei principali tavoli istituzionali di trattativa, vuoi per il prevalere dell’ideologia politica, il più delle volte quello che conta per gli autonomi è il desiderio di provocare disordine e disagio produttivo piuttosto che ottenere un miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Insomma, il risultato è nella protesta in sé. L’ultimo esempio è emblematico. Campi Bisenzio, Firenze. Non molte ore fa è arrivato un comunicato Si Cobas, dopo 160 giorni di sciopero nel sito di Mondo convenienza, la catena della grande distribuzione organizzata di mobili e complementi d’arredo, che recitava così: «Oggi finisce lo sciopero dei facchini di Rl2 srl, società affidataria dei servizi in appalto del sito di Campi Bisenzio di Mondo convenienza. Dopo aver affrontato cinque mesi di presidio permanente, la resistenza a una ventina di sgomberi, le manganellate, il caldo di agosto e ora anche un’alluvione l’assemblea ha valutato che non ci sono più le condizioni per proseguire». Risultati? «Lo sciopero», si legge ancora, «finisce senza un accordo sindacale. Con una trattativa a livello nazionale per l’applicazione del Ccnl logistica di cui si dovranno verificare gli esiti che mai sarebbe esistita senza la lotta. Lo sciopero non ha raggiunto tutti gli obiettivi che si era prefissato. Il sistema Mondo convenienza però ha tremato tanto...». La realtà è che l’obiettivo iniziale era quello di arrivare a una sorta di registro delle presenze, che invece non è stato (ancora) adottato. Che si puntava a ottenere un miglioramento economico per le trasferte, che non è stato ottenuto. E che certo «i nostri» rivendicano l’applicazione del contratto nazionale, ma si tratta di un risultato raggiunto grazie al lavoro dei sindacati confederali, e non certo per merito dei cinque mesi di sciopero o delle «manganellate». Mentre sull’unico vero traguardo raggiunto, il reintegro di 12 lavoratori su 37, gli autonomi non hanno toccato palla. Campi Bisenzio è solo un esempio. Restando nel settore, situazioni simili in versioni più o meno soft si sono verificate nei siti di Bologna, Torino e Roma della stessa Mondo convenienza e si stanno registrando in altri stabilimenti italiani dei colossi della grande distribuzione organizzata: da Ikea per arrivare fino a Esselunga, Lidl e Leroy Merlin.Detto della Gdo, non si può non parlare dei trasporti. Sia che riguardi la logistica, le storie di cronaca sono piene di blocchi davanti ai siti della Dhl o di Tnt, sia che faccia riferimento ai mezzi pubblici. Un terreno di scontro fertile, dove i Cobas hanno fatto la storia. Se non altro per le modalità della protesta. Il fine settimana lungo (sciopero di venerdì) di cui tanto si parla in questi giorni è una loro invenzione, insomma si può dire che Cgil e Uil l’hanno mutuato dagli autonomi. Basta leggere qualche comunicato per rendersene conto. Ne abbiamo preso uno a caso, di una città a caso: Milano. «Venerdì 10 novembre l’organizzazione sindacale Al Cobas ha proclamato uno sciopero aziendale di 24 ore, che interesserà i lavoratori del gruppo Atm», rende noto la stessa azienda di trasporti milanese, «l’agitazione del personale viaggiante e di esercizio delle linee di superficie e metropolitane sarà possibile dalle 8.45 alle 15 e dalle 18 al termine del servizio». Lo sciopero, scrive Atm, è stato indetto con motivazioni così riassumibili: «Contro la liberalizzazione, privatizzazione e gare d’appalto dei servizi [...], contro il progetto Milano Next, [...] per la riattivazione del distanziamento tra conducenti e utenti [...], per la pulizia, igienizzazione e sanificazione delle vetture e degli ambienti [...], per la tutela della sicurezza dei lavoratori più esposti ad atti aggressivi [...], per la fruizione delle ferie per il personale viaggiante [...], per l'aumento di 150 euro netti per tutti i lavoratori, [...] per ulteriori tematiche di carattere aziendale attinenti, tra l’altro, a indennità ferie, turni particolari e vestiario». Vestiario. Un fritto misto dove c’è dentro di tutto e di più, e che alla fine, la storia delle rivendicazioni insegna, non porterà a nulla. L’importante però è esagerare e creare disagio e per raggiungere il fine cosa c’è di meglio di una giornata libera nell’ultimo giorno lavorativo della settimana da attaccare al sabato e alla domenica?Si tratta dell’ultima spiaggia degli scioperi. Quella abbracciata, appunto, anche da Cgil e Uil e che ha restituito attrattività al blocco del lavoro visto che i risultati per i dipendenti erano e restano vicini allo zero. A meno che non si consideri un risultato la creazione del caos. Perché al di là delle adesioni, di solito scarse, quello che conta è l’effetto annuncio: far sapere che molto probabilmente i mezzi non andranno in una città come Milano, vuol dire «scoraggiare» chi per lavoro deve portare a termine una consegna, ha organizzato un pranzo d’affari, deve incontrare un cliente, accompagnare i figli a scuola e in piscina o semplicemente fare shopping. Meglio rimandare. Possibilmente non al prossimo venerdì, perché è probabile possa esserci un’altra giornata di protesta dei sindacati. Il metodo Cobas sta facendo proseliti.
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