
Quando siamo al lavoro, il nostro cervello ha bisogno di pause in cerca di gratificazioni. Suggerisco di evitare i solitari davanti al pc e guardarsi un video che dia emozioni. Io opto per gli ori azzurri di Tokyo: potente antidoto alla noia e ottima scarica di dopamina.La messa in moto, mettersi a lavorare, a studiare, a scrivere, è sempre difficile. È sempre stato difficile cominciare ed è diventato difficilissimo in epoca di computer lussuosamente attaccati a una rete Internet, rete che ha una vera e propria funzione di ladro del tempo. Se perdiamo dei quattrini potremmo forse guadagnarne degli altri. Nulla può ridarci il tempo perduto. Da un punto di vista religioso il tempo è un dono di Dio, quindi la perdita di tempo e uno di vizi capitali: si chiama ignavia.Quante sono le ore che abbiamo passato davanti allo schermo durante la giornata? A causa della «pandemia», abbiamo avuto una digitalizzazione, vale a dire una sciagura. Uno studente che studi con libri, quaderni e penne non è sottoposto alla continua tentazione di andare a vedere qualcosa su Youtube, se non su Youporn o andare a fare un solitario. Ambedue le situazioni ci forniscono una piccola scarica di dopamina dalla quale il nostro cervello impara a diventare dipendente.Un buon trucco per uscire da tutto questo è la tecnica dei cinque minuti. Normalmente noi diciamo: guardo questo video oppure faccio questo solitario per cinque minuti poi mi metto a lavorare. Il video e il solitario ci danno una scarica di dopamina, e il nostro cervello ne cerca altre guardando altri video o facendo altri solitari. Alla fine scopriamo che abbiamo sprecato 40 minuti oppure quattro ore. Invertiamo lo schema. Diciamo al nostro cervello: adesso lavoro per cinque minuti. Il cervello odia lavorare, odia prendere decisioni ma per cinque minuti potrebbe anche farlo. Nel momento in cui ci mettiamo a lavorare, a studiare, a scrivere, cominciamo a concentrarci e allora è il nostro lavoro che ci dà qualche scarica di dopamina, meno pirotecnica di quella fornita da video oppure da solitari, ma sempre dopamina è. Quindi continuiamo a lavorare. Per poter andare avanti senza nessuna sensazione di stanchezza, un buon trucco è di nuovo ricorrere ai cinque minuti: promettiamo al nostro cervello che gli daremo cinque minuti di tregua ogni ora di lavoro.Ho il problema di essere nata pigra e con l'età non sono migliorata, ma col trucco dei cinque minuti riesco a fare qualcosa. Questo mi rende anche estremamente selettiva su cosa scegliere per festeggiare i cinque minuti di pausa. Ho eliminato i solitari. Se perdi è frustrante, se vinci anche, perché ti chiedi come tu possa aver sprecato il tuo tempo in maniera così insulsa.La scelta quindi è sui video di Youtube cercando però qualcosa che mi dia un potente coinvolgimento emotivo, e mi fornisca anche qualche buon elemento di comprensione del mondo.Quello che guardo e riguardo spesso dal primo agosto sono i video dei 100 metri piani, l'oro di Marcell Jacobs, e la staffetta d'oro di Marcell Jacobs, Filippo Tortu, Lorenzo Patta e Fausto Desalu. Un paio di volte li ho guardati in italiano, apprezzando molto gli impagabili commentatori, che non rompono l'anima con elucubrazioni sociologiche e fanno il loro onesto lavoro di far capire quello che succede sullo schermo e di saltare sulla sedia di gioia quando i nostri vincono. La felicità in questo caso è rappresentata da una scarica di serotonina. La serotonina è il neurotrasmettitore che si mobilita nella affiliazione al gruppo. L'affiliazione al gruppo è un sistema motivazionale innato estremamente potente che permette l'esistenza della società. Il globalismo, con il suo mito dell'eterno sradicato, nega questo potente sistema motivazionale, che invece deve esistere (pena il crollo della serotonina e la perdita del senso di identità). Se cade un aereo con degli italiani a bordo ci dispiace di più, se un italiano vince una gara siamo felici perché scarichiamo serotonina, come è giusto che sia, come è fisiologico che sia. La felicità è contagiosa e ringraziamo i commentatori italiani delle Olimpiadi per la loro, che ci ha regalato un ulteriore picco di ottima serotonina di ottima qualità. Molto più divertente però è guardare i due video in inglese, mettendo l'attenzione anche sulle inquadrature. Alle Olimpiadi si inquadrano i probabili vincitori. Questo è un errore. In primo luogo il probabile perdente a volte diventa l'improbabile vincitore, in secondo luogo il vincitore lo si può sempre inquadrare dopo che ha vinto. Questo è proprio il senso delle Olimpiadi. Le Olimpiadi devono essere lealtà, coraggio, cavalleria. Le Olimpiadi sono il poema epico dei nostri tempi, sono la narrazione che serve a dare al popolo serotonina e dopamina, che vogliono dire coraggio. Lealtà e cavalleria si manifestano dando lo stesso numero di secondi di inquadratura a tutti i partecipanti, anche perché, ripeto, ed è questa la magnificenza delle Olimpiadi, a volte il probabile perdente diventa un improbabile vincitore con un picco di coraggio che lo spinge oltre i suoi limiti. Meglio usare il tempo prima della gara a inquadrare i probabili perdenti, perché anche loro rappresentano delle nazioni, che quindi devono avere il diritto di vedere i loro campioni. Nei 100 metri piani Marcell Jacobs viene inquadrato l'unica volta, quando presentano gli atleti: lui sorride e ripete per due volte un gesto molto bello, punta l'indice verso la telecamera e poi si porta la mano sul cuore. Vuoi dire: vi porto nel cuore, vi ho come nel mio cuore durante la corsa. Lo sta dicendo evidentemente ai suoi bambini, alla sua compagna, alla madre, ma un pochino lo dice anche a noi. Dopo questo minimo sindacale non viene inquadrato mai, nemmeno quando è l'unico che non cade nella trappola della falsa partenza dell'atleta britannico, grandissimo favorito. L'eccesso di sicurezza può far perdere di lucidità ed è un peccato, perché in pochi istanti vengono buttati anni di sforzi. Qui un'inquadratura Jacobs se la sarebbe meritata, anche perché in questa maniera ha dimostrato di avere altre due delle caratteristiche necessarie per essere un campione: la lucidità e la calma. Quando vince, il commentatore inglese se ne esce con la strepitosa frase: «Questo esce da nessun luogo», che vuol dire: «Questo non si sa chi sia», frase corretta se uno studente in gita scolastica finisce per sbaglio sulla pista ma non è proprio una frase cortesissima per un atleta. Evidentemente essendo stato considerata impossibile la vittoria italiana, nessuno ha fornito al commentatore tre righe di biografia, mentre Marcell Jacobs si cerca una bandiera perché nessuno si è preso il disturbo di mettere un'improbabile tricolore all'arrivo.Molto più divertente vedere il video della staffetta dei 100 metri in inglese: vale anche la pena di leggere gli strepitosi commenti su Youtube. All'inizio non vengono mai inquadrati i perdenti certi: Ghana, Giappone, Italia, contravvenendo quindi a quello che dovrebbe essere lo spirito olimpico. In più l'Italia può includere nel suo team il campione olimpico dei 100 metri. Questo deve essere stato considerato un particolare secondario e di mero significato folcloristico, che non ha guadagnato al team italiano né un'inquadratura né una menzione. I quattro fanno una gara perfetta nell'indifferenza del cronista che si accorge di loro negli ultimi 30 metri, quando Filippo Tortu, superando i limiti con uno scatto spettacolare batte l'atleta britannico per un soffio. Molto seccato per la sconfitta dei favoriti britannici, e questo è comprensibile, definisce i cambi perfetti «al limite dell'illegalità», e questo è bruttino. Questi due video sono straordinari perché ci ricordano l'antica storia dell'ultimo che diventa primo e che chi non era considerato favorito può vincere, ma sono anche importanti perché dimostrano come in realtà, purtroppo, il coraggio e la cavalleria sono stati persi. Occorrerebbe spiegare a tutti i campioni, a quelli olimpici in particolare, ma anche ai calciatori che buttano la medaglia d'argento, che è obbligatorio sorridere anche se non si arriva primi. Non arrivare primi vuol dire perdere sponsor e denaro, certo, ma è un'assoluta negazione di lealtà, coraggio e cavalleria fare il broncio. Le facce ingrugnite dei secondi e dei terzi sono insopportabili. Affiancate agli allenatori degli attori che insegnino sorridere a coloro che non hanno la generosità di farlo spontaneamente, perché, al contrario, questo è proprio uno dei doveri degli atleti: lo devono alla nazione che li sta guardando. Sorridere e dire: «Siamo arrivati secondi o terzi» oppure «abbiamo perso, ma è stato bello e domani cercherò di vincere di nuovo». L'atleta deve donare lealtà, coraggio, cavalleria grazie ai quali a volte anche alle Olimpiadi gli ultimi diventano primi. Se siete stanchi, se siete sfiduciati perdete cinque minuti per andare su Youtube e guardare questi uomini vestiti in azzurro che corrono più veloci del vento. È una maniera veloce per ritrovare lealtà, coraggio e cavalleria. E allegria!
Marco Minniti (Ansa)
L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Il panel dell’evento de La Verità, moderato dal vicedirettore Giuliano Zulin, ha affrontato il tema cruciale della finanza sostenibile con Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi.
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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2025-09-15
Pichetto Fratin: «Auto elettriche, l’Ue sbaglia. Così scarica i costi sugli europei»
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Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il ministro dell’Ambiente attacca Bruxelles: «Il vincolo del 2035 è una scelta ideologica, non scientifica». Sul tema bollette, precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti».
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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