2021-04-09
La Cina rafforza il record di censure. In arrivo la patente per i giornalisti
Ai Weiwei, regista cinese del film Coronation (Ansa)
Ogni 5 anni i reporter dovranno fare un esame di Stato per dimostrare di conoscere tutto su Xi Jinping e il marxismo. Chi non lo supera non lavorerà. E l'Occidente subisce in silenzio i soprusi del regime.Nei giorni scorsi il film Coronation del regista cinese Ai Weiwei è stato presentato a Ginevra al Festival dei film e Forum internazionale sui diritti umani. È stata l'unica prestigiosa sede cinematografica che ha accolto il provocatorio film di un autore dissidente, ora esiliato in Portogallo, che il regime di Pechino vede come il fumo negli occhi. Il film è stato rifiutato da tutti i principali festival cinematografici in Europa (compresa la Mostra di Venezia dell'anno scorso) e nel Nord America. Anche importanti piattaforme, come Netflix e Amazon, hanno detto di no. Che cosa ha di scandaloso il film di Ai Weiwei?Si occupa della tragedia del coronavirus e racconta una versione diversa da quella ufficiale delle autorità cinesi e da quella addomesticata della commissione di inchiesta dell'Organizzazione mondiale della sanità inviata a Wuhan. Quella commissione di esperti, dopo aver incontrato difficoltà burocratiche e tecniche frapposte dai funzionari cinesi, ha finito con l'avallare la versione di Pechino. I cento minuti del film di Ai Weiwei sono stati prodotti utilizzando immagini girate clandestinamente, «rubate» nei reparti di ospedali, sfuggite alla censura del regime. L'autore ha raccontato a un quotidiano di Zurigo, Tages Anzeiger, di aver chiesto immagini e testimonianze anche a colleghi in isolamento in sei ospedali e anche in caserme allestite per curare il Covid 19. Il film denunciava la vera natura del virus, comprese le reazioni dei cittadini e i comportamenti del regime cinese rispetto al mondo politico, interno e internazionale.«La prima lezione che ho ricevuto», ha dichiarato il regista, «non è stata dalla Cina, ma dall'Occidente. Tutti i maggiori festival del mondo all'inizio si sono mostrati interessati al film per i suoi contenuti coraggiosi, ma subito dopo sono fioccati i rifiuti, diversamente motivati. La pressione della Cina era evidente, da molti persino confessata. Non si voleva chiaramente infastidire Pechino. Ormai è noto che anche i festival accettano l'autocensura o subiscono la pressione del regime cinese. In altre parole, le rassegne cinematografiche occidentali possono accogliere solo film con il sigillo del Dragone, rilasciato dal dipartimento di propaganda del Partito comunista cinese».Non c'è da stupirsi. Forse non tutti sanno che Normadland, il film vincitore del Leone d'oro 2020 e del Golden Globe 2021, è scomparso da Internet in Cina dopo che la regista Chloè Zhao (cinese, ma vive da molti anni negli Usa) aveva rilasciato un'intervista definendo la Cina «un posto dove ci sono bugie ovunque». Quell'intervista in pochi giorni aveva registrato 87 milioni di visualizzazioni. Le autorità, molto preoccupate, hanno provveduto a fare oscurare tutto, compreso il titolo del film premiato. Ma la repressione della libertà di pensiero e di stampa non finisce qui. Da anni si colpiscono i blogger, oscurando i loro siti, con energici interventi della polizia: fermi, arresti, trasferimenti forzati nei laogai e multe salatissime. Ora il presidente Xi Jinping ha avuto l'idea di irreggimentare anche i giornalisti, che saranno sottoposti a un «esame di Stato» basato su una serie di test. In altre parole, chi opera nella comunicazione dovrà sapere tutto su Xi Jinping: storia, riforme, pensiero politico. L'iniziativa, promossa dall'Ufficio propaganda dal partito comunista cinese, comincerà i primi di ottobre con un primo test pilota riservato a 10.000 giornalisti di 14 testate di Pechino. I reporter dovranno studiare un'apposita app mobile (XuexlQuiangguo), che ha per titolo «Studiare per rafforzare la nazione». In pratica, si tratta di una sorta di versione 2.0 del Libretto rosso di Mao: una antologia di articoli, clip e documenti sul pensiero politico del presidente attuale. Gli esami, come si può facilmente intuire, non hanno nulla a che vedere con quelli degli ordini professionali occidentali (ad esempio, quello italiano), come le autorità si erano affrettati a precisare. Il test, diviso in 5 sezioni, comprende un esame, come si è detto, sul capo dello Stato e uno (approfondito) sul marxismo. Se la prova non sarà superata sarà revocato il tesserino da giornalista, documento fondamentale per poter esercitare la professione. Ma anche quelli che passeranno dovranno riprovare (come per rinnovare la patente) ogni 5 anni. Questo significa che la spada di Damocle penderà sempre sulle teste di chi non rispetterà le rigide regole del regime sulla censura. Del resto, la Cina si conferma non a caso al posto numero 177, su 180 nazioni, nella classifica sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere, appena sopra l'Eritrea e la Corea del Nord.D'altra parte, che cosa ci si poteva attendere da un Paese dalla sbalorditiva crescita economica, ma che si ritrova sempre agli ultimi posti delle classifiche sulla tutela dei diritti umani? Ci lascia però sempre amareggiati il silenzio dell'Occidente, così influente e così importante (nel business), che si propone di non disturbare mai l'ipersensibile Dragone. Alcuni giorni fa a Washington due attiviste cinesi sono state premiate con un prestigioso riconoscimento sui diritti umani. Sono Li Qiaoche (impegnata da anni nella tutela dei diritti delle donne detenute) e l'attivista veterana contro la violenza di genere Li Yufeng. Il premio è stato assegnato dalla Chrd, un'associazione non governativa nata subito dopo la morte (14 marzo 2014) dell'avvocato per i diritti Cao Shunt, deceduto dopo essere stato arrestato dalla polizia cinese. Ma di questo premio non vi è traccia sui media cinesi e neppure sulla stampa occidentale.
(Ansa)
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