2022-09-12
Ci diedero le colpe per il caso Boda ora scoprono che avevamo ragione
Quando rivelammo l’indagine sulle tangenti, ci accusarono di aver spinto la funzionaria al gesto estremo. Dopo un anno i giornali pubblicano verbali a raffica. Senza però scusarsi con i veri calunniati: noi.Quando nella primavera del 2021 il nostro Giacomo Amadori, su La Verità, svelò l’esistenza di un’inchiesta della magistratura che portava dritta a una delle donne più potenti del ministero della Pubblica istruzione, fummo travolti dalle accuse. Secondo la Procura di Roma, nel palazzo di Trastevere che vigila sul nostro sistema scolastico c’era un giro di tangenti e per questo i pm avevano spedito gli ufficiali di polizia giudiziaria a perquisirne gli uffici. Tuttavia, nonostante ci fosse un’indagine aperta, con tanto di indagati eccellenti, per la stampa la colpa era nostra, per aver alzato il velo sull’indagine.Giovanna Boda, questo il nome della dirigente indagata, assai cara alla sinistra e ai vertici delle istituzioni, dopo aver ricevuto il decreto di perquisizione con le accuse a lei rivolte, infatti, si lanciò dalla finestra dello studio del suo avvocato. E questo bastò ai colleghi della maggior parte dei quotidiani, e al circolo politico dei garantisti, ma solo con i compagni, per accusarci o quasi di istigazione al suicidio. Ci fu persino chi si inventò l’apertura di un fascicolo d’indagine per questo reato e la procura fu costretta a smentire. Secondo colleghi e onorevoli se la signora, per altro sposata con il procuratore capo di Chieti, in un momento di disperazione aveva saltato il parapetto, non era perché aveva appreso delle conseguenze giudiziarie dei suoi atti, ma perché il suo nome era finito sul nostro giornale. Il circo mediatico e politico, pur non avendo letto una sola pagina del decreto di perquisizione, si schierò subito a difesa di Giovanna Boda, giudicando risibili le ipotesi di reato. Invece di informare, la libera stampa scelse di sentenziare. Ovviamente la nostra condanna, preferendo ignorare le ragioni che avevano spinto i pm a indagare la moglie di un loro collega. Che la donna fosse unanimemente stimata, che avesse organizzato alcune iniziative solidali a favore dei migranti, e per di più fosse beniamina del Quirinale, per cronisti e onorevoli bastava per considerarla al di sopra di ogni sospetto. Ricordo ancora la difesa accorata di Nando Dalla Chiesa sul Fatto quotidiano e gli editoriali accusatori (contro di noi, ovvio) del Riformista, l’intervista innocentista a un coimputato (Federico Bianchi di Castelbianco) del Corriere della Sera. Oltre ai silenzi sdegnati dei giornaloni, che preferirono sorvolare sui fatti, quasi che averli resi noti fosse più grave che averlo commessi. Beh, da allora è passato più di un anno e Giovanna Boda, dopo essersi lasciata alle spalle quel salto dal secondo piano, è tornata davanti ai pm, ammettendo a quanto pare ogni accusa e giustificandolo con uno sbalzo ormonale. La Procura, nonostante il marito magistrato, non pare essersi lasciata convincere, pronta a richiedere il giudizio per corruzione e altro ancora. Le cifre fanno impressione, perché parliamo di oltre 3 milioni di tangenti e un giro d’affari che sfiora i 25 milioni. Soldi pubblici, soldi dei contribuenti che invece di essere usati per migliorare il livello del nostro sistema scolastico, finiva nelle tasche di un disinvolto imprenditore il quale, tramite la sua agenzia di stampa (la Dire), nei giorni in cui rivelammo lo scandalo non esitò ad accusarci pubblicamente, ben sapendo di aver pagato vacanze, borsette, ristrutturazioni edilizie, sedute dal parrucchiere e ogni altra spesa alla dirigente del ministero in cambio di appalti concessi saltando ogni procedura.Vi chiedete perché rievochi ora questa squallida vicenda e il giro di centinaia di migliaia di euro che affluivano sui conti correnti della signora? La risposta è semplice. Sul caso, all’improvviso, i giornali sono diventati molto loquaci e da giorni pubblicano ogni genere di indiscrezione. Se un anno fa le principali testate erano reticenti e altre addirittura indignate per le rivelazioni, oggi fanno a gara per rendere tutto pubblico. E Nando Dalla Chiesa insieme con gli editorialisti del Riformista? Non pervenuti. Dal Fatto quotidiano al Corriere ora tutti non lesinano gli articoli. Ma a nessuno che venga in mente di chiedere scusa per le accuse che ci vennero rivolte. Altro che calunnie. Ma quale istigazione al suicidio. Chissà che violazione del segreto istruttorio. Adesso è tutto dimenticato. Anche la vergogna di chi, invece di informarsi sulle tangenti, ha preferito attaccare chi faceva informazione.