2020-06-06
Chiesto il processo per Occhionero di Iv: il portaborse visitava i boss mafiosi in cella
Giuseppina Occhionero (Ansa)
Per la deputata l'accusa di falso aggravato: agevolava l'ingresso in carcere del suo assistente, sospetto «postino» delle cosche.Rischia di andare alla sbarra con l'accusa di falso aggravata dall'aver agevolato l'associazione mafiosa denominata Cosa nostra. Giusi Occhionero, deputata renziana di Italia viva, aveva fatto entrare in carcere, spacciandolo per il suo assistente, Antonello Nicosia, sedicente professore con in dote una condanna a dieci anni per droga, finto radicale incallito con un pallino per i diritti dei detenuti e, sostengono i magistrati, con relazioni nella mala che conta, quella dell'ala di Cosa nostra guidata dal superlatitante Matteo Messina Denaro. Grazie a quegli incontri nelle prigioni italiane, Nicosia, sostiene l'accusa, faceva il postino per i boss della mafia siciliana. I pubblici ministeri della Procura antimafia di Palermo Francesca Dessì e Geri Ferrara ieri mattina hanno chiesto il rinvio a giudizio per i sei indagati dell'operazione denominata Passepartout, che nel novembre scorso ha portato alla luce i nuovi intrecci della famiglia mafiosa di Sciacca (Agrigento). L'udienza preliminare davanti al gup del Tribunale di Palermo Fabio Pilato è stata fissata per il 9 settembre. sei indagatiIl primo nome sulla lista dei pm è proprio quello di Nicosia che, secondo gli investigatori, sarebbe stato il braccio destro del capomafia Accursio Di Mino, 61 anni, tornato libero dopo due condanne per associazione di stampo mafioso (i due si trovano in carcere dal 4 novembre, giorno in cui scattò l'operazione portata a termine dai carabinieri del Ros). Durante le indagini Nicosia è stato sorpreso mentre partecipava a un summit con un fidato della Primula rossa di Cosa nostra, nel febbraio 2019, a Porto Empedocle: parlavano di una somma di denaro da far arrivare proprio a Messina Denaro. Per la Procura, insomma, «era pienamente inserito nell'associazione mafiosa». Intanto, però, organizzava visite nei penitenziari con la deputata. E al centro delle accuse c'è proprio quella di avere strumentalizzato la sua funzione di collaboratore parlamentare come passepartout per parlare in modo riservato con i boss detenuti e trasmettere all'esterno i messaggi che servivano alla gestione della famiglia mafiosa. Occhionero e Nicosia, però, oltre a condividere i pellegrinaggi nelle prigioni avevano un'altra passione in comune: la politica. Lei, che prima era con Liberi e uguali, è rimasta fulminata dal renzismo all'ultima Leopolda ed è passata con Italia viva. Anche lui ha partecipato alla kermesse renziana. E sul suo profilo Facebook aveva scritto un post che accompagnava il suo personale reportage fotografico dalla Leopolda: «I progetti politici, come le proposte vanno sempre valutate... riuscirà stavolta a non deluderci il buon Renzi? Chissà...». Ufficialmente, però, stava con i Radicali e nascondeva la sua attività di messaggero dei boss con azioni militanti da falso garantista e da paladino dei detenuti (sul tema conduceva perfino una trasmissione televisiva). le false attestazioniInsieme a Nicosia e Dimino nel documento giudiziario notificato agli indagati c'è anche la Occhionero. La deputata, in particolare, stando all'accusa che le viene mossa dalla Procura antimafia palermitana, avrebbe dichiarato falsamente, in diverse attestazioni indirizzate alle case circondariali di Agrigento, Sciacca e Palermo, che nel dicembre 2018 Nicosia «prestava una collaborazione professionale diretta, stabile e continuativa». Scoperta, disse ai magistrati di non aver avuto contezza della doppia personalità di Nicosia. Le intercettazioni, però, sembrano raccontare altro. Il 21 dicembre, dopo aver avuto con Nicosia solo contatti telefonici, Occhionero è arrivata a Palermo e ha incontrato il sedicente professore con cui è andata immediatamente a fare un'ispezione al carcere Pagliarelli. E all'ingresso ha dichiarato che il radicale era un suo collaboratore: circostanza che, hanno accertato i pm anche attraverso indagini alla Camera, è risultata falsa. All'epoca, infatti, stando all'inchiesta, nessun rapporto di lavoro era stato formalizzato. Il giorno successivo i due hanno fatto, con le stesse modalità, visite nelle carceri di Agrigento e Sciacca. Il contrattino, da 50 euro mensili, che ai magistrati deve essere apparso come una pezza d'appoggio, è stato formalizzato solo dopo la terza visita negli istituti di pena.le intercettazioni Nelle intercettazioni del dicembre 2018 Occhionero sembra essere la scolaretta del suo futuro collaboratore. Il sedicente professore le spiega a telefono: «A Campobello c'era il signor Mangiaracina... Quello di 80 anni... 82 anni... quel signore che abbiamo segnato...». E lei afferma: «Sì, sì...». E lui, con pazienza, scandisce: «Quello era il signor Mangiaracina... quello è un boss». La deputata che, sentita in Procura e in Commissione antimafia è caduta dal pero, se lo fa ripetere ancora: «Come si chiama?». E Nicosia ripete ancora: «Mangiaracina Simone». A quel punto la parlamentare apprende che in carcere ha incontrato un personaggio che i pm antimafia palermitani definiscono un «uomo d'onore». Uno tra i tanti incrociati da Nicosia durante le ispezioni garantite dalla falsa dichiarazione della deputata.Completano la lista degli indagati i fratelli Paolo e Luigi Ciaccio e Massimiliano Mandracchia, accusati di favoreggiamento personale con l'aggravante dell'avere agevolato l'associazione mafiosa. I tre avrebbero messo a disposizione locali e utenze telefoniche per aiutare Nicosia, Dimino e altri associati a eludere le investigazioni e a trasmettere messaggi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)