2023-11-10
Il vero accanimento è quello di chi condanna una bimba in nome della scienza
I progressisti che vogliono lasciar morire una piccina di 8 mesi sono gli stessi che abusarono della medicina per tapparci in casa.Dopo un lungo silenzio, i vescovi italiani fissano i limiti del dibattito sull’eutanasiaDiverse le stoccate anche sull’aborto: «È sbagliato presentarlo come un diritto». Lo speciale contiene due articoli. Nel suo «migliore interesse», lo hanno chiamato così, l'hanno condannata a morte. E nemmeno le donano una esecuzione rapida: la fanno attendere, appesa a un filo che sembra un cappio, in attesa di ricevere la morte per fame, sete e asfissia. Certo: sotto sedazione, e dopo che i genitori si saranno scattati qualche foto (lo prevede il protocollo medico), in fondo questo è l’Occidente campione di umanità e superiorità morale. L’Occidente che si straccia le vesti per le sorti del pianeta e dell’ecosistema, e poi permette che una bambina di otto mesi sia trattata con una pietà inferiore a quella che si riserva a certe bestie. Prima decretano la fine, poi rinviano di un giorno, poi di altre due ore, poi di un altro giorno ancora. Oh, certo: sempre meglio questo strazio del nulla tombale. Ma che orrore. In fondo, però, non stupisce: dalle nostre parti - mentre la famiglia perde il fiato per il dolore - c’è chi si preoccupava di non creare problemi nel rapporto con l’Inghilterra. Ad esempio Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che ha colto l’occasione per polemizzare con Simone Pillon: «Forse Pillon, come tutti, vorrebbe stare vicino alla famiglia, ma lo sta facendo creando ingerenza politica con l’Inghilterra», ha detto la grande paladina dei diritti. Già: mica si può andare a litigare con gli inglesi per tenere vivo un fagottino di carne chiamato Indi Gregory. Non troppo dissimile l’opinione di Eugenia Tognotti, illustre editorialista della Stampa. «Rivendicare una superiorità morale dell’Italia; usare espressioni offensive nei confronti della Gran Bretagna, evocando una presunta disumanità, come ha fatto il deputato Giovanni Donzelli poche ore fa in un talk show, è fuori da ogni logica», ha scritto. «Data la natura della malattia di Indi, non è necessario disporre delle cartelle cliniche per affermare che, disgraziatamente, non esiste neppure una remota possibilità che la prognosi della piccola possa essere modificata in modo positivo dal trattamento dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù». Chiaro: non è il caso di indispettire gli amici inglesi. «Nonostante la crisi che sta attraversando, il sistema sanitario inglese è all’avanguardia nell’ambito della genetica e dell’ingegneria genetica», prosegue la Tognotti. «Come dubitare che la decisione dei giudici inglesi non sia fondata. In caso contrario non si renderebbe un buon servizio alla scienza e al rispetto delle prerogative di ogni organo di giudizio, a vari livelli». Come al solito, la Divina Scienza ha parlato, e tocca obbedire, sottomettersi e prostrarsi. Curiosamente, ad approvare oggi la morte per asfissia di Indi, a stabilire che in fondo un mese o due di vita in più non valgono niente sono le stesse persone che, fino a poco tempo fa, sostenevano fosse necessario recludere gli italiani ed escludere dal consesso civile qualche milione di persone proprio per evitare una malattia. Adesso sono tutti pronti a stigmatizzare il presunto accanimento terapeutico. «A parte la vicenda medica, però si pone un problema etico», insiste la Tognotti. «Prolungare artificialmente la vita della bambina, esponendola a un’inutile sofferenza, sarebbe solo una forma di accanimento clinico che andrebbe contro il Codice deontologico dei medici. Lo scriveva già Ippocrate due millenni e mezzo fa, chiarendo ciò che riteneva dovesse essere la medicina, che deve tendere a “liberare i malati dalle sofferenze e contenere la violenza delle malattie e non curare chi è ormai sopraffatto dal male, sapendo che questo non può farlo la medicina”». Tentare di regalare qualche istante di amore in più a una piccina di otto mesi e ai suoi poveri genitori sarebbe dunque accanimento. All’improvviso, si mostrano tutti preoccupati all’idea che si possa causare un po’ di dolore in più a Indi. Eppure questi (presunti) grandi tifosi della scienza non vedono accanimento, non sono preoccupati dalla sofferenza altrui quando approvano - ad esempio - la maternità surrogata, con il suo bel corredo di somministrazione di ormoni e sottrazione di figli alle madri. Anche in quel caso, sono sempre pronti a parlare di «miglior interesse del minore»: in fondo meglio che un piccino sia tolto a una madre povera per essere consegnato a ricchi che possono comprare una gravidanza. Dopo tutto, questa è ciò che l’Occidente ha stabilito essere «buona vita»: funzionamento del corpo e benessere economico, altro non c’è. E chiunque sfori i parametri non merita di restare su questa terra: è un rifiuto, uno scarto. Scienza ed economia, ridotte a gelide caricature, si fanno giudici del bene e del male, separano i vivi dai morti dividendoli in colonne: tu a destra, tu a sinistra. Se a una famiglia questo sistema non va bene, non importa: un giudice ha parlato, si obbedisca in silenzio. Chissà se è «miglior interesse» anche questo gioco al massacro, questo rimpallo continuo che pare un gioco del gatto col topo. Solo che il gatto ha la falce. Se Indi fosse stata appena più grande, avrebbe potuto persino dichiarare di «sentirsi maschio», e la giustizia inglese l’avrebbe probabilmente avviata lungo un percorso di transizione di genere a prescindere dal parere dei genitori. Dopo qualche anno avrebbe potuto intraprendere il cambio di sesso affidandosi alla medicalizzazione totale del corpo, e nessuno avrebbe parlato di accanimento, nessuno avrebbe tirato in ballo il possibile dolore. Invece Indi non può parlare, non può fare nulla se non aspettare di morire nel suo «migliore interesse», perché la sua vita non è stata giudicata meritevole di essere vissuta. Lo hanno stabilito un giudice, la Scienza e l’Economia. I necrofili stanno tutti intorno ad applaudire. E nessuno sembra chiedersi: ma se la sofferenza di Indi è così straziante da non poter giustificare un trasferimento, ha senso costringerla ad aspettare la sentenza capitale un giorno in più?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/chi-condanna-bimba-nome-scienza-2666221310.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-desta-la-cei-la-vita-non-e-merce" data-post-id="2666221310" data-published-at="1699572628" data-use-pagination="False"> Si desta la Cei: «La vita non è merce» In queste ore in cui la vita della piccola paziente inglese Indi Gregory permette a tutti di riflettere sul senso della vita, il messaggio dei vescovi italiani, diffuso ieri in vista della Giornata della vita del 4 febbraio 2024, ricorda con papa Francesco che «il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili».È un messaggio, quello della Conferenza episcopale italiana, che nemmeno troppo tra le righe mette i cosiddetti paletti. Nel contesto delle tante vite «negate», c’è l’affondo sull’aborto «indebitamente presentato come diritto» e sempre «più banalizzato, anche mediante il ricorso a farmaci abortivi o «del giorno dopo» facilmente reperibili». Sulla questione scottante del dibattito sul fine vita, i vescovi rilevano che «destano grande preoccupazione gli sviluppi legislativi locali e nazionali sul tema dell’eutanasia». A questo proposito, il 18 ottobre scorso, i vescovi del Triveneto hanno pubblicato a loro volta un documento, perché nelle Regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto, su impulso dell’Associazione Luca Coscioni, si è avviato un iter per legiferare sul suicidio assistito. «Si rimane molto perplessi», avevano scritto i vescovi del Triveneto, «di fronte al tentativo in atto da parte di alcuni Consigli regionali di sostituirsi al legislatore nazionale con il rischio di creare una babele normativa».Il punto non è confessionale, si legge nel messaggio della Cei, ma è la scienza che domanda a tutti di fermarsi quando ci si impanca a giudici della vita degli altri. Vale all’inizio della vita e vale alla sua fine. «Chi tenta di definire un tempo in cui la vita nel grembo materno inizi ad essere umana», scrivono i vescovi italiani, «si trova sempre più privo di argomentazioni, dinanzi alle aumentate conoscenze sulla vita intrauterina». E «quando, poi, si stabilisce che qualcuno o qualcosa possieda la facoltà di decidere se e quando una vita abbia il diritto di esistere, arrogandosi per di più la potestà di porle fine o di considerarla una merce, risulta in seguito assai difficile individuare limiti certi, condivisi e invalicabili. Questi risultano alla fine arbitrari e meramente formali». C’è il rischio di derive funzionalistiche e utilitaristiche che mal si attagliano alla vita umana.Si scorge così un messaggio di speranza e fiducia nella vita che supera gli steccati ideologici, perché, scrivono i vescovi, «ciascuna vita, anche quella più segnata da limiti, ha un immenso valore ed è capace di donare qualcosa agli altri». E così Indi Gregory è una piccola bambina che diventa un testimone gigante, perché rivela come l’amore dei suoi cari rappresenta un valore contro cui nessun «best interest» potrà mai competere sul campo dell’umanità. I vescovi italiani elencano una serie di vite «negate», c’è quella del «nemico - soldato, civile, donna, bambino, anziano… - [che] è un ostacolo ai propri obiettivi e può, anzi deve, essere stroncata con la forza delle armi o comunque annichilita con la violenza. La vita del migrante vale poco, per cui si tollera che si perda nei mari o nei deserti o che venga violentata e sfruttata in ogni possibile forma. La vita dei lavoratori è spesso considerata una merce, da «comprare» con paghe insufficienti, contratti precari o in nero, e mettere a rischio in situazioni di patente insicurezza. La vita delle donne viene ancora considerata proprietà dei maschi». In questo senso la difesa della vita è una via della pace che nasce dalla comprensione che l’uomo non è padrone della vita. E in fondo svela che il vero male della postmodernità è l’autodivinizzazione dell’uomo che ha rifiutato il Creatore.