2020-01-15
«Che dilettanti i giallorossi. Erdogan in Libia riempie il vuoto lasciato dall’Italia»
Il Cavaliere: «Oggi un Gheddafi all'orizzonte non si vede. La Russia di Putin è la chiave per stabilizzare quelle aree. Ne va della sicurezza dei nostri soldati».«Dilettanti allo sbaraglio». Silvio Berlusconi impiega tre parole a fotografare quel magma in ebollizione che è la realtà politica italiana. Il padre del centrodestra sale sul torrione a osservarla come fece il Duca d'Auge ne I fiori blu di Raymond Queneau e la trova impresentabile. Dall'Iran alla Libia, non stiamo azzeccando nulla. Ricorda quando stava per dimettersi davanti alle insistenze del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che voleva la guerra (e l'ebbe) contro Muhammar Gheddafi. È preoccupato per le sorti dei nostri soldati in Iraq. Nota che Erdogan «riempie un vuoto», il nostro. Ed è convinto che Vladimir Putin debba essere un alleato strategico per contrastare l'imperialismo cinese. Passando dal telescopio al microscopio, quindi alle cose italiane, ecco la sciabolata: «Le quattro sinistre devono andare a casa perché con la cura tasse e manette l'Italia non solo non riparte, ma muore». Parla di Romano Prodi, di Matteo Salvini, e nelle attenzioni giudiziarie verso il leader della Lega vede qualche similitudine con le trappole sul suo percorso. Boccia i grillini («È naturale che si estinguano, l'invidia sociale porta al fallimento»), trova bizzarri i liberali di sinistra («una contraddizione in termini») e vecchie le sardine. Altri dilettanti a scadenza, aspettando buone notizie dall'Emilia.La crisi internazionale con l'Iran vede il nostro Paese in un ruolo subalterno rispetto alle sue tradizioni. Per colpa delle rotte di geopolitica cambiate o per colpa dell'inettitudine del governo? «Le rotte della geopolitica in verità mettono il nostro Paese al centro delle aree di crisi più pericolose del pianeta. Per questo sono molto preoccupato dell'inettitudine del nostro governo. Mi dispiace dirlo, perché sulla politica estera, quando sono in gioco la dignità e la sicurezza della nazione, bisognerebbe poter stare tutti uniti. Ma l'ambiguità, il dilettantismo, la mancanza di autorevolezza dell'attuale governo Conte hanno reso tutto questo molto difficile».Nei giorni scorsi è stato molto criticato l'immobilismo balbettante del premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Non dimentichiamo che in Iraq ci sono 900 soldati italiani a rischio. Quale dovrebbe essere la ricetta del centrodestra?«Il rischio che corrono i nostri soldati è una nostra ragione di preoccupazione. Del resto da soli possiamo fare ben poco. Soltanto un'Europa capace di una politica estera unitaria e dotata di uno strumento militare comune che veda insieme tutte le forze armate di tutti i Paesi europei potrebbe esercitare davvero un ruolo. E solo un diverso rapporto con la Russia può consentire di stabilizzare queste aree. Il nostro Paese avrebbe dovuto lavorare da anni per favorire questi processi, che certo non si realizzano in poche settimane nel corso di una crisi. Oggi l'unica strada è quella della coerenza e della prudenza: coerenza con le nostre alleanze, prudenza perché in una situazione esplosiva ogni ambiguità e ogni iniziativa velleitaria può aggravare i rischi».Mentre il Mediterraneo brucia, Di Maio si occupa del caso Paragone e del terremoto nel partito.«Non mi piace esprimere giudizi sulle persone. Di Maio è l'espressione di una forza politica che ha trasformato il dilettantismo velleitario in una pratica di governo e si comporta di conseguenza».L'altro fronte caldo è la Libia, con la minaccia che il ruolo storico dell'Italia nell'area venga sostituito da Erdogan. E che i migranti vengano usati come ricatto all'Europa. Che soluzioni vede alla crisi sulla terza sponda?«E' persino impietoso ricordare che non saremmo in questa condizione se negli ultimi 10 anni mi avessero dato ascolto per quanto riguarda la Libia, i migranti, la stessa Turchia. Oggi Erdogan riempie il vuoto e le contraddizioni della politica italiana ed europea e purtroppo la Turchia di oggi non è più quella di 10-15 anni fa, pronta ad aderire all'Europa e con lo sguardo rivolto all'Occidente. D'altro canto la Turchia continua ad essere il maggiore esercito, dopo gli Stati Uniti, dell'Alleanza Atlantica, oltre che la porta di possibili flussi migratori verso l'Europa, che per il momento Erdogan mantiene bloccati. Per quanto riguarda la Libia, solo Gheddafi era stato capace di tenere unite le oltre 100 tribù libiche e superare le feroci rivalità che le dividono. Oggi un Gheddafi all'orizzonte, nel bene e nel male, non si vede».La guerra di Libia fu un passo controverso della sua stagione governativa. Più volte lei spiegò che destabilizzare quel paese fu un errore strategico. È vero che fu l'ex presidente Napolitano a spingere per l'intervento?«Di fronte alle pressioni del Capo dello Stato avevo deciso addirittura di dimettermi da premier: non lo feci perché sarebbe stato irresponsabile gettare il Paese in una crisi istituzionale e politica proprio nel momento in cui i nostri soldati erano a rischio».Cosa pensa dell'interventismo di Donald Trump? Era più facile gestire George Bush junior?«Con George Bush eravamo e siamo amici e questo mi ha consentito di sconsigliargli errori come l'intervento in Iraq, senza che la cordialità dei nostri rapporti ne risentisse. Ma al di là dei singoli presidenti, gli Stati Uniti sono la più grande democrazia del mondo e il nostro principale amico e alleato. La solidarietà occidentale è un dovere, anche se si dissente su un singolo atto. Per essere ancora più esplicito, non tutti gli aspetti della politica estera dell'amministrazione americana oggi mi convincono, ma fra la democrazia americana e il regime iraniano degli ayatollah non possiamo certo essere neutrali o equidistanti».In Medio Oriente l'unico politico che si sta comportando con saggezza strategica sembra essere Putin. Lei lo conosce bene, si aspettava questa svolta da statista?«Da molti anni la Russia di Putin è un fattore di stabilità. L'Occidente dovrebbe rendersene conto e capire che solo in un rapporto costruttivo con la Russia, che è parte essenziale della nostra cultura e della nostra civiltà europea, si possono affrontare e risolvere scenari di crisi come quello del Medio Oriente. Il competitor dell'Occidente oggi non è la Russia ma è la Cina, che persegue apertamente un disegno imperialistico attraverso finalità economiche, ma con strumenti politici».In questi scenari l'Europa ha perso il suo ruolo equilibratore, non sembra in grado di affrontare nulla con spirito comunitario. Possibile che la moneta resti l'unico collante?«Io credo profondamente nell'Europa, ma il grande sogno europeista dei padri fondatori è destinato a fallire se l'Europa non cambia profondamente, se l'Europa non diventa un soggetto politico nel mondo, con una sua politica estera e dotato anche di un adeguato strumento di difesa comune che la faccia ritornare ad essere una potenza militare a livello mondiale. Solo questo ci consentirebbe di tutelare la nostra identità, i nostri valori e i nostri interessi nei confronti del terrorismo, delle possibili migrazioni di massa da parte dei popoli africani, che molti osservatori e studiosi della politica internazionale considerano non solo ipotizzabili ma addirittura probabili, dell'instabilità in Medio Oriente, dell'imperialismo cinese».Rientrando in Italia si nota una deprimente stagnazione. Il governo giallorosso (quello che lei definisce «delle quattro sinistre») sta fallendo su ogni fronte.«Era inevitabile che fosse così. Questo governo - nato solo per evitare le elezioni - è il governo più a sinistra della storia della Repubblica e basa la sua azione sulle più fallimentari idee della sinistra. Tasse e manette non sono una buona ricetta per far ripartire il nostro Paese. Sono la strada per la stagnazione e la crisi: non per caso l'Italia è il fanalino di coda dell'Europa per quanto riguarda la crescita, mentre la disoccupazione si mantiene su livelli drammatici».Le elezioni in Emilia Romagna saranno la battaglia finale oppure l'istinto di sopravvivenza di Conte avrà la meglio in ogni caso? In Emilia, Stefano Bonaccini ha tolto il simbolo del Pd dalle sue insegne elettorali. Ha mai visto un politico vergognarsi del suo partito? «Se vinceremo in Emilia-Romagna - come credo e spero accadrà - sarà una svolta storica, che va persino al di là della tenuta del governo Conte: significherà che il sistema di potere costruito dalla sinistra non tiene più da nessuna parte. Così come la vittoria in Calabria della nostra brava Jole Santelli sarà il simbolo della riscossa del Sud. Nei prossimi mesi altre regioni da molto tempo in mano alla sinistra conosceranno una svolta: la Campania, dove abbiamo scelto di ricandidare il nostro bravissimo ex governatore Stefano Caldoro, la Puglia, la stessa Toscana. Di fronte a tutto questo, anche Pd e 5 Stelle, per quanto attaccati al potere, dovranno prendere atto che la maggioranza degli italiani sceglie il centrodestra».Cosa pensa di Giuseppe Conte? C'è chi lo definisce un nuovo Giulio Andreotti, chi un Azzeccagarbugli manzoniano.«Mi sono imposto di non dare giudizi sugli avversari politici».Il Movimento 5stelle sta perdendo i pezzi, per lei che aveva previsto l'implosione si tratta di qualcosa di irreversibile?«I 5 Stelle esprimono in modo confuso idee vecchie e sconfitte dalla storia. E' naturale che si estinguano. Il linguaggio dell'invidia sociale, dell'odio e della rivalsa ha funzionato sul principio per raccogliere voti fra gli italiani esasperati, ma porta al fallimento quando si tratta di governare seriamente un Paese».La sinistra rilancia Romano Prodi per la corsa al Quirinale. Per la proprietà transitiva il candidato numero uno del centrodestra dovrebbe essere lei.«Il presidente Sergio Mattarella guiderà con saggezza ed equilibrio il Paese ancora per due anni. Mi sembra fuori luogo parlare oggi della sua successione. In ogni caso, il presunto antagonismo fra il professor Prodi e me è una leggenda: abbiamo percorsi politici e professionali che non sono paragonabili in nessun modo».Come vanno i rapporti con Matteo Salvini, è riuscito ad accettare lo stile così diverso dal suo?«Con Salvini sono diversi non soltanto lo stile ma anche, almeno in parte, i contenuti: se così non fosse saremmo nello stesso partito. Ci uniscono però il rispetto, la lealtà reciproca e la convinzione di poter costruire insieme un futuro migliore per l'Italia. Per vincere e governare è necessario un centrodestra unito, nel quale la destra sovranista e il centro liberale, cristiano, garantista che noi rappresentiamo abbiano entrambi un ruolo».Oggi in Italia gli intellettuali e i media hanno davanti al salvinismo la stessa reazione che avevano 25 anni fa davanti al berlusconismo. Si riconosce in questa similitudine?«In parte. E' certo che la sinistra non perde mai il vizio di usare il linguaggio dell'odio nei confronti dei propri avversari. Anche il leader della Lega è oggetto di attacchi giudiziari ma per fortuna Salvini non ha subito finora il massacro mediatico-giudiziario dei quale sono stato vittima io. E con me la mia famiglia, i miei amici, le aziende che ho fondato».Cosa pensa dei liberali di centrosinistra (Matteo Renzi, Carlo Calenda, i cosiddetti «competenti»), due concetti apparentemente agli antipodi?«Penso che si tratti di una contraddizione in termini. La sinistra, qualsiasi sinistra, mette al centro lo Stato e il potere nello Stato che considera i cittadini suoi sudditi. Per noi liberali, al centro di tutto c'è la libertà, ci sono i diritti dei cittadini, che non vengono dallo Stato ma da Dio per chi è credente e per tutti sono diritti naturali dell'uomo. E questa libertà e questi diritti lo Stato, non essendo lui a concederli, non può diminuirli o eliminarli ma al contrario deve tutelarli e garantirli. In concreto, in Italia chi sostiene il governo delle tasse e delle manette come può definirsi liberale?».Che effetto le ha fatto vedere papa Francesco passare alle vie di fatto con una pellegrina? «Non mi permetto certo di dare giudizi sulla più alta autorità spirituale e morale del mondo. Il Santo Padre, per definizione, non si giudica ma si rispetta. Aggiungo che trovo fastidioso e riduttivo questo gioco all'inseguimento mediatico di ogni singolo atto, gesto o frase pronunciata dal Pontefice».Dopo i girotondi, il partito dei fax, i disobbedienti e la rivoluzione arcobaleno, ecco le sardine. Qualcosa di nuovo o solo un abito diverso per rendere presentabile il vecchio?«Dicono di essere un movimento trasversale, ma di fatto si schierano con la sinistra. Questo sa assolutamente di vecchio, di strumentalizzato e rende quindi poco credibili i loro appelli a una politica più seria e meno violenta nei toni».