Nel 2020 i sindacati avevano la possibilità di far nominare un rappresentante nel consiglio. Stellantis: hanno accettato la scelta di un manager ex Astrazeneca. Adesso scioperano, ma dovrebbero lottare per avere un loro uomo che difenda i lavoratori.
Nel 2020 i sindacati avevano la possibilità di far nominare un rappresentante nel consiglio. Stellantis: hanno accettato la scelta di un manager ex Astrazeneca. Adesso scioperano, ma dovrebbero lottare per avere un loro uomo che difenda i lavoratori.Il sindacato mostra i muscoli, la Cgil alza le barricate e si prepara allo sciopero ma quando avrebbero potuto fare la voce grossa, e inserire un loro rappresentante nella neonata Stellantis, tutti zitti, o quasi. Disattenzione o calcolo politico per non disturbare il manovratore? Fatto sta che l’analogo comportamento si registra anche oggi, in maniera ancora più colpevole a fronte dei 27.000 posti di lavoro a rischio nel gruppo e alla vigilia di uno sciopero che secondo i sindacati, dovrebbe scuotere Stellantis e incidere sulla sua strategia industriale. Insomma chi urla e strepita oggi ha avuto ben due occasioni per mettere un proprio uomo nella cabina di comando dell’azienda ma non l’ha fatto. Andiamo con ordine. Torniamo indietro al 2020 al momento dell’accordo che ha portato alla nascita del gruppo Stellantis come fusione tra Fca e la Psa (Peugeot) francese. Nell’ambito delle intese tra le due società e secondo quanto previsto dalle regole della golden power, tra gli 11 membri del consiglio d’amministrazione doveva essere incluso un rappresentante dei lavoratori di entrambe le realtà industriali, uno per la parte francese e uno per la parte italiana. Per Psa la scelta è caduta su Jacques de Saint-Exupery, eletto dal Comitato Aziendale, riconosciuto da un accordo, che rappresentava le organizzazioni sindacali presenti in tutti i siti mondiali di Peugeot. Per Fca la designazione è stata effettuata in autonomia dall’azienda che ha individuato Fiona Clare Cicconi. Il suo profilo non ha niente a che fare con i sindacati dal momento che ha svolto la funzione prima di capo delle risorse umane in Astrazeneca e dal 2021 in Google. Qualcosa quindi di molto lontano dalla consuetudine con il mondo sindacale, avendo ricoperto ruoli che si possono considerare addirittura la controparte dei lavoratori. Allora, nel 2020, contro questa scelta, i sindacati sono andati in ordine parso. La Fim Cisl si definì «delusa e insoddisfatta» e parlò di un «errore» e della «mancanza del coraggio di una scelta strategica importante». La Fiom invece si limitò a sottolineare che non c’era stato alcun confronto sindacale per la rappresentanza dei lavoratori in cda che pure era stata annunciata, ribadendo la necessità dell’introduzione di norme specifiche per la partecipazione sindacale alla gestione delle aziende. Già il fatto che i sindacati andassero in ordine sparso e non vi fosse un comunicato unitario, consuetudine invece tra i metalmeccanici, non rafforzò la posizione e diede l’impressione che non fossero intenzionati a spendersi più di tanto su quel tema.Tant’è che quelle dichiarazioni sporadiche caddero nel vuoto. E non ci furono iniziative concrete da parte del sindacato per rivendicare quella posizione.Arriviamo quindi ai giorni nostri e alla seconda disattenzione ancora più grave, se vogliamo, considerando il momento di difficoltà che attraversa Stellantis in Italia. Ebbene quando era nell’aria che il ceo Carlos Tavares avrebbe fatto un rimpasto della squadra del management, allora quella Cgil pronta a portare le sue truppe cammellate in piazza, avrebbe potuto cogliere l’occasione, insieme alle altre sigle sindacali, per riproporre il tema della presenza nel cda di un rappresentante dei lavoratori. Così come sembra un po’ un balletto che Tavares abbia proposto di incontrare i sindacati a Roma prima della sua audizione alla Camera venerdì scorso e questi invece abbiamo chiesto un rinvio (che nessuno sa se si farà mai alla presenza del ceo) per poter prima effettuare lo sciopero e la manifestazione nazionale indetta a Roma per il 18 di ottobre. Una mobilitazione peraltro, decisa con una tempistica assolutamente tardiva e per questo con scarso impatto, facile da immaginare, sulle scelte aziendali mentre più proficuo sarebbe stato cogliere l’opportunità di un faccia a faccia con il numero uno dell’azienda che non sarà semplice riprogrammare in tempi ragionevoli. D’altra parte appare fuori tempo massimo la presa di coscienza dei sindacati contro la transizione verso l’auto elettrica che rischia di avere costi sociali enormi. Certo è che con una presenza diretta di un rappresentante nell’organo decisionale del consiglio d’amministrazione i sindacati avrebbero potuto in modo più efficace far sentire gli interessi dei lavoratori e dei siti produttivi rispetto che l’ostentazione muscolare in piazza. È singolare, peraltro, l’allineamento tra il leader della Cgil Maurizio Landini, e Tavares quando chiede incentivi e sostegni pubblici alla transizione elettrica nonostante l’incompatibilità con le logiche del bilancio dello Stato. Appare anche una mossa scontata, la richiesta di un incontro con la premier Giorgia Meloni. Così come appare paradossale la rivendicazione barricadera del segretario della Fiom, Michele De Palma: «Il Parlamento si unisca alle rivendicazioni dello sciopero del 18 ottobre e la Presidente del Consiglio convochi Tavares e Elkann con i sindacati a Chigi». Sarebbe bastato che la Fiom facesse il suo quattro anni fa per avere una vera voce in capitolo.
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