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2018-05-19
Lo stop alle imposte non ferma i Comuni: salgono le tariffe e spunta la patrimonialina
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La legge per cui dal 2015 le Regioni e gli enti locali non possono più aumentare le tasse locali non ha in realtà portato grandi benefici ai portafogli dei cittadini italiani. In alcuni casi - questi tributi cambiano in base al Comune di residenza - la situazione è persino peggiorata. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, l'associazione veneta dei piccoli e medi artigiani mentre i tributi locali non sono cambiati, ad essere aumentati di circa il 5,6% dalle amministrazioni sono stati i prezzi dei servizi pubblici. Tra il 2015 e i primi quattro mesi di quest'anno, infatti, le principali tariffe amministrative applicate dai comuni (certificati di nascita, matrimonio/morte) sono aumentate dell'88,3%. Quelle applicate dalle società controllate da questi enti territoriali per la fornitura dell'acqua hanno subito un incremento del 13,9%, quelle della scuola dell'infanzia del 5,1%, le mense scolastiche del 4,5%, il trasporto urbano del 2% e i rifiuti dell'1,7%. In poche parole, il costo dei servizi pubblici è salito di oltre tre volte rispetto all'inflazione degli ultimi tre anni che è cresciuta dell'1,7%. Le amministrazioni locali, dunque, non potendo aumentare le imposte, hanno preferito attuare un giro di vite sui servizi per riuscire a trovare nuovi fondi. Una scelta che la Cgia di Mestre critica, anche vista la scarsa qualità dei servizi offerti dai nostri Comuni.
Proprio su questo tema, l'Unione europea ha condotto una indagine su 23 Paesi. L'Italia si è collocata al diciassettesimo posto per livello dei servizi pubblici. Lo studio ha permesso di dare uno sguardo anche alle singole amministrazioni locali (206 in totale). Tra le migliori 30 regioni europee, purtroppo, non si rileva nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese. La prima, ovvero la provincia autonoma di Trento, si colloca al trentaseiesimo posto della classifica generale. Poche posizioni più avanti c'è la provincia autonoma di Bolzano (39), seguita dalla Valle d'Aosta (72) e dal Friuli-Venezia Giulia (98). Non facile la situazione che si verifica al Sud: ben sette Regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al posto 178, la Basilicata al 182, la Sicilia al 185, la Puglia al 188, il Molise al 191, la Calabria al 193 e la Campania al 202. Tra le realtà meno virtuose c'è anche una Regione del Centro, il Lazio, che si piazza in fondo alla classifica (posizione 184).
Del resto, come sottolinea un'analisi del Cerved, il problema è chiaro: i Comuni non riescono a riscuotere tutte le imposte dovute. Dando uno sguardo ai bilanci del 2016 (gli ultimi disponibili), gli 8.000 Comuni italiani non sono riusciti a trovare 23 miliardi, il 15% circa in più rispetto ai 20 miliardi del 2015. In media, si tratta di una mancata riscossione per circa 207 euro per abitante. C'è di tutto all'appello: Imu, Tari, Tasi, Tosap, ma anche multe e rette scolastiche. Un buco di bilancio che le amministrazioni locali scontano dopo aver aumentato le imposte locali negli anni precedenti al 2015.
La Cgia sottolinea che nel 2012, a seguito delle misure introdotte dal governo Monti, l'imposizione patrimoniale è cresciuta, rispetto al 2011, di 12,8 miliardi di euro, un balzo di oltre il 40%. Mentre nel 2013 si è avuta una temporanea flessione dovuta all'abolizione dell'Imu sulle abitazioni principali. E le imposte che pesano di più sono proprio l'Imu e la Tasi. Nel 2016 hanno garantito alle casse dello Stato e dei Comuni ben 21,2 miliardi di euro. Seguono l'imposta di bollo (6,8 miliardi di euro), il bollo auto (6,6 miliardi di euro) e l'imposta di registro (5,1 miliardi di euro). Inoltre, come spiega la dodicesima edizione dello studio sui tributi locali 2016/2017 di Unindustria Reggio Emilia, l'impossibilità di alzare le tasse locali non ha alleviato i cittadini da diversi grattacapi.
«Per le nostre imprese la moratoria è positiva perché scongiura nuovi incrementi», commenta Mauro Severi, presidente di Unindustria. «Tuttavia, anche se fermi, i livelli di tassazione sono comunque molto elevati, prossimi per l'Imu alla soglia massima possibile del 10,6 ‰. Per la Tasi sono confermate anche nel 2017 le criticità legate alla tassazione degli immobili vuoti, una forma di imposizione che va a colpire il cittadino».
I problemi legati alla tassa sui rifiuti (non è ancora ancora chiaro come verranno rimborsati i cittadini che hanno pagato più del dovuto a causa di un calcolo errato da parte delle amministrazioni) colpiscono anche le imprese. Per quanto riguarda la Tari, spiega Unindustria Reggio Emilia, molti Comuni hanno continuato ad applicare la tassa sulle superfici degli stabilimenti produttivi utilizzando criteri che non tengono conto dell'effettiva produzione dei rifiuti. Ci sono aziende, per esempio, che producono rifiuti speciali che devono essere gestiti da società specializzate e che per questo non dovrebbero pagare la Tari come una normale impresa.
«Per il 2018, anno in relazione al quale perdura il blocco degli aumenti tariffari delle imposte locali», spiega Unindustria, «da una prima analisi delle delibere adottate dai Comuni emerge, a livello generale, una conferma del livello di imposizione del 2017». Una buona notizia, non c'è che dire. Ma chi fermerà l'aumento dei servizi pubblici? Per ora, sembra nessuno.
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Gli enti locali aggirano il blocco dell'aumento delle tasse facendo pagare di più i servizi (rifiuti, acqua, trasporti, asili). Negli ultimi tre anni i costi sono aumenti oltre tre volte la crescita dell'inflazione. E, secondo Unimpresa, lievitano anche le imposte sugli immobili sfitti.La legge per cui dal 2015 le Regioni e gli enti locali non possono più aumentare le tasse locali non ha in realtà portato grandi benefici ai portafogli dei cittadini italiani. In alcuni casi - questi tributi cambiano in base al Comune di residenza - la situazione è persino peggiorata. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, l'associazione veneta dei piccoli e medi artigiani mentre i tributi locali non sono cambiati, ad essere aumentati di circa il 5,6% dalle amministrazioni sono stati i prezzi dei servizi pubblici. Tra il 2015 e i primi quattro mesi di quest'anno, infatti, le principali tariffe amministrative applicate dai comuni (certificati di nascita, matrimonio/morte) sono aumentate dell'88,3%. Quelle applicate dalle società controllate da questi enti territoriali per la fornitura dell'acqua hanno subito un incremento del 13,9%, quelle della scuola dell'infanzia del 5,1%, le mense scolastiche del 4,5%, il trasporto urbano del 2% e i rifiuti dell'1,7%. In poche parole, il costo dei servizi pubblici è salito di oltre tre volte rispetto all'inflazione degli ultimi tre anni che è cresciuta dell'1,7%. Le amministrazioni locali, dunque, non potendo aumentare le imposte, hanno preferito attuare un giro di vite sui servizi per riuscire a trovare nuovi fondi. Una scelta che la Cgia di Mestre critica, anche vista la scarsa qualità dei servizi offerti dai nostri Comuni. Proprio su questo tema, l'Unione europea ha condotto una indagine su 23 Paesi. L'Italia si è collocata al diciassettesimo posto per livello dei servizi pubblici. Lo studio ha permesso di dare uno sguardo anche alle singole amministrazioni locali (206 in totale). Tra le migliori 30 regioni europee, purtroppo, non si rileva nessuna amministrazione pubblica del nostro Paese. La prima, ovvero la provincia autonoma di Trento, si colloca al trentaseiesimo posto della classifica generale. Poche posizioni più avanti c'è la provincia autonoma di Bolzano (39), seguita dalla Valle d'Aosta (72) e dal Friuli-Venezia Giulia (98). Non facile la situazione che si verifica al Sud: ben sette Regioni del Mezzogiorno si collocano nelle ultime 30 posizioni: la Sardegna al posto 178, la Basilicata al 182, la Sicilia al 185, la Puglia al 188, il Molise al 191, la Calabria al 193 e la Campania al 202. Tra le realtà meno virtuose c'è anche una Regione del Centro, il Lazio, che si piazza in fondo alla classifica (posizione 184).Del resto, come sottolinea un'analisi del Cerved, il problema è chiaro: i Comuni non riescono a riscuotere tutte le imposte dovute. Dando uno sguardo ai bilanci del 2016 (gli ultimi disponibili), gli 8.000 Comuni italiani non sono riusciti a trovare 23 miliardi, il 15% circa in più rispetto ai 20 miliardi del 2015. In media, si tratta di una mancata riscossione per circa 207 euro per abitante. C'è di tutto all'appello: Imu, Tari, Tasi, Tosap, ma anche multe e rette scolastiche. Un buco di bilancio che le amministrazioni locali scontano dopo aver aumentato le imposte locali negli anni precedenti al 2015. La Cgia sottolinea che nel 2012, a seguito delle misure introdotte dal governo Monti, l'imposizione patrimoniale è cresciuta, rispetto al 2011, di 12,8 miliardi di euro, un balzo di oltre il 40%. Mentre nel 2013 si è avuta una temporanea flessione dovuta all'abolizione dell'Imu sulle abitazioni principali. E le imposte che pesano di più sono proprio l'Imu e la Tasi. Nel 2016 hanno garantito alle casse dello Stato e dei Comuni ben 21,2 miliardi di euro. Seguono l'imposta di bollo (6,8 miliardi di euro), il bollo auto (6,6 miliardi di euro) e l'imposta di registro (5,1 miliardi di euro). Inoltre, come spiega la dodicesima edizione dello studio sui tributi locali 2016/2017 di Unindustria Reggio Emilia, l'impossibilità di alzare le tasse locali non ha alleviato i cittadini da diversi grattacapi. «Per le nostre imprese la moratoria è positiva perché scongiura nuovi incrementi», commenta Mauro Severi, presidente di Unindustria. «Tuttavia, anche se fermi, i livelli di tassazione sono comunque molto elevati, prossimi per l'Imu alla soglia massima possibile del 10,6 ‰. Per la Tasi sono confermate anche nel 2017 le criticità legate alla tassazione degli immobili vuoti, una forma di imposizione che va a colpire il cittadino».I problemi legati alla tassa sui rifiuti (non è ancora ancora chiaro come verranno rimborsati i cittadini che hanno pagato più del dovuto a causa di un calcolo errato da parte delle amministrazioni) colpiscono anche le imprese. Per quanto riguarda la Tari, spiega Unindustria Reggio Emilia, molti Comuni hanno continuato ad applicare la tassa sulle superfici degli stabilimenti produttivi utilizzando criteri che non tengono conto dell'effettiva produzione dei rifiuti. Ci sono aziende, per esempio, che producono rifiuti speciali che devono essere gestiti da società specializzate e che per questo non dovrebbero pagare la Tari come una normale impresa. «Per il 2018, anno in relazione al quale perdura il blocco degli aumenti tariffari delle imposte locali», spiega Unindustria, «da una prima analisi delle delibere adottate dai Comuni emerge, a livello generale, una conferma del livello di imposizione del 2017». Una buona notizia, non c'è che dire. Ma chi fermerà l'aumento dei servizi pubblici? Per ora, sembra nessuno.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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