2024-07-27
La censura social è reale: perciò è ignorata
Mentre il governo è accusato di autoritarismo, le piattaforme oscurano indisturbate chi vogliono. Come accaduto a Visione TV per aver mostrato «La Verità». Eppure i media e i politici, sempre pronti a strillare di libertà di stampa a rischio, ora fischiettano.Presi come siamo dalle discussioni sul ritorno del fascismo e sui presunti rigurgiti di autoritarismo prodotti dal governo di centrodestra, dalle intemerate contro «TeleMeloni» e il circolo di CasaPound, ci facciamo serenamente sfuggire l’unica, vera e pericolosa forma di repressione che attualmente operi a pieno regime. Peggio: sembra che ci siamo abituati alla censura in servizio effettivo e permanente, alle mordacchie e alle limitazioni della libertà di informazione e opinione. Ogni giorno le piattaforme digitali oscurano, zittiscono, cancellano.E lo fanno impunemente, senza che illustri rappresentanti delle istituzioni intervengano per denunciare lo scandalo o per lamentare una distorsione della democrazia. Anzi, a dirla tutta le principali istituzioni - a partire dall’Unione europea che ha partorito il Digital services act - sono prontissime a sfruttare il potenziale censorio delle infrastrutture digitali, orientandole come più gradiscono. Di fronte agli abusi regolarmente commessi, i più tacciono o restano indifferenti. Può così accadere che una piccola rete televisiva indipendente, Visione TV, venga bloccata per una settimana da Youtube nell’indifferenza generale. La terribile colpa dell’emittente? Aver mostrato la prima pagina di un quotidiano nazionale, cioè La Verità, che casualmente esibiva un titolo su Roberto Speranza e gli effetti avversi dei vaccini. Il verdetto è giunto proprio mentre Sergio Mattarella ripeteva che «ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica». Chiediamo sommessamente: non è eversivo l’atto di una grande compagnia tecnologica che si arroga il diritto di decidere unilateralmente che cosa si possa pubblicare e che cosa no? Non dovrebbe preoccuparci questa arrogante e violenta ingerenza nel dibattito pubblico di una nazione? E soprattutto: perché non c’è un rappresentante delle istituzioni che fiati? Perché non ci sono sindacalisti pronti a stracciarsi le vesti o ordini professionali che facciano giungere rapide dichiarazioni di solidarietà ai censurati? Dopo tutto è stata oscurata una televisione la cui unica colpa è quella di aver esibito la prima pagina di un quotidiano nazionale. Da quando in qua è un delitto mandare in onda una rassegna stampa? E come si permettono questi dittatori da strapazzo di nascondere un giornale che pubblica notizie? Per altro, la condanna arriva senza processo, senza possibilità di difesa o di replica, senza appello. O obbedisci o sei tagliato fuori. Sentiamo già i commenti: succede di continuo, non è mica una notizia; Youtube è una piattaforma privata e fa ciò che vuole; non è censura, solo un controllo dei contenuti più che legittimo. Purtroppo, tutte queste tre affermazioni sono vere, almeno superficialmente. Certo: di censure se no contano ogni giorno, e infatti ormai nemmeno le consideriamo, ci sembrano cose di ordinaria amministrazione. Il capitalismo delle piattaforme è riuscito a farci accettare clamorose limitazioni della libertà, e ha potuto farlo poiché gode dell’appoggio dei governi e delle organizzazioni sovranazionali. Con la scusa delle fake news - contro cui spesso si è scagliato il nostro presidente della Repubblica - i giganti del Web possono stringere cordoni sanitari attorno ai cronisti sgraditi, ai giornali che li contestano, alle emittenti che non si piegano. Il caso di Visione TV è solo l’ultimo di una serie infinita. Quasi ogni giorno ci sono lettori che ci segnalano blocchi ai loro profili sui principali social network seguiti alla pubblicazione di nostri articoli o video. Altre emittenti, ad esempio la storica RadioRadio di cui ci occupiamo in queste pagine, hanno dovuto condurre sfinenti battaglie per ribadire il proprio diritto a fornire una informazione libera e indipendente. Anche quando ottengono ragione in tribunale, però, non riescono mai compensare pienamente il danno subito: troppo tempo e troppi soldi persi. È vero, come no, che Youtube e altre Big Tech sono aziende private. Ma è anche vero che pretendono di svolgere un servizio pubblico, fingono di farlo stabilendo in totale autonomia quali siano le regole da rispettare. Viene allora da chiedersi: quando finalmente gli Stati si decideranno a intervenire davvero, per togliere ai padroni della Rete lo strapotere sulle menti dei popoli? Di fronte alla gravità di certi episodi, le polemiche sul fascismo che risorge suonano ancora più tristi e vacue del solito. Tutto l’orgoglio della libera stampa che rivendica la propria funzione appare patetico, perché esplode soltanto quando le minacce sono insignificanti o inesistenti. Quando invece c’è da prendersela con i potenti veri, ecco che prevalgono il timore e la reverenza. Quando ci sono di mezzo gli inquisitori mainstream, ecco che i virili colleghi e i politici perdono la favella. Del resto, loro non corrono il rischio di essere censurati dai colossi online: si censurano benissimo da soli, e ne sono pure fieri.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
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