2023-10-07
Una volta la Cei tuonava: «Troppi stranieri»
12 aprile 1992: il cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Cei (Getty Images)
Nel 1992 i vescovi bocciavano la legge Martelli e chiedevano al Paese di chiudere le porte. Il ministro del Psi replicava: «Abbassiamo lo stipendio ai nuovi arrivati». Trent’anni dopo i politici non possono più parlare così e la Chiesa predica accoglienza indiscriminata.«La Cei: troppi immigrati». «Salario più basso agli immigrati». Siete sorpresi? Anche io ho letto e riletto i titoli in prima pagina, non credendo ai miei occhi. Eppure, sia la prima frase che la seconda sono state effettivamente pronunciate. Peccato che non siano di ieri, bensì di 30 anni fa. Ma andiamo con ordine, altrimenti rischiate di non capire. L’altra sera ho sfogliato alcuni vecchi numeri dell’Indipendente, giornale corsaro, ma di grande successo, che agli inizi degli anni Novanta fu diretto da Vittorio Feltri e di cui io ero il vicedirettore. Il titolo che riassumeva la posizione della Conferenza episcopale italiana è del 10 novembre del 1992 e prendeva spunto da una conferenza stampa di monsignor Giovanni Cheli, presidente del pontificio Consiglio migranti e itineranti, e dalle parole di padre Bruno Mioli, responsabile dell’ufficio per l’immigrazione della Cei. Il primo bocciava la legge Martelli del 1989, quella che doveva regolarizzare i migranti, dichiarandone il fallimento e aggiungendo che l’Italia aveva aperto le porte agli stranieri più di quanto potesse fare. Il secondo, se possibile, era ancor più tagliente, perché prendendo spunto da un episodio di cronaca avvenuto in quei giorni a Roma (un edificio abbandonato andò a fuoco e rischiarono di morire le centinaia di clandestini che vi avevano trovato alloggio), diceva: «Si tratta di immigrati senza futuro. Sarebbe meglio rimandarli indietro, se non si è in grado di offrire loro una degna accoglienza». Giuro: non ho aggiunto una virgola a quanto pubblicato 31 anni fa, così come non cambio niente delle frasi seguenti, contenute in un’intervista che il giorno dopo la conferenza stampa della Cei, rilasciò Claudio Martelli, ministro della Giustizia dell’allora governo Amato, allo stesso Indipendente. «Il Guardasigilli reagisce alle accuse dei vescovi. Salario più basso agli immigrati. Martelli: appena torno da Parigi chiederò al presidente del Consiglio di riunire i ministri per correggere le norme sugli extracomunitari. Proporrò che i lavoratori stranieri abbiano stipendi inferiori ai nostri: solo così troveranno un posto e un tetto». Vi sembra incredibile? Beh, quando ho letto le dichiarazioni degli uomini di Chiesa e successivamente quelle del ministro della Giustizia sono trasecolato. Secondo Martelli, il salario del lavoratore extracomunitario, anche se inferiore a quello degli italiani, sarebbe sempre stato più alto di quello che avrebbe potuto avere nel suo Paese, ma almeno, tagliandoglielo, sarebbe stato possibile inserire il nuovo arrivato nel mercato del lavoro con un regolare contratto. So che adesso sembra incredibile solo parlarne e chi lo facesse verrebbe immediatamente accusato di razzismo e di voler creare dei nuovi schiavi. Ma all’epoca, 31 anni fa, quello che ho riportato era il pensiero della Cei («troppi immigrati, rimandiamoli a casa») e il giudizio di uno dei politici più in vista del momento. Vi state chiedendo perché abbia sentito il bisogno di fare oggi un’operazione di archeologia politica? La risposta è semplice. Leggendo i titoli del novembre del 1992, mi sono chiesto dove sia cominciato tutto. Se questo era il pensiero della Cei 30 anni fa, e cioè che non si poteva accogliere chiunque e piuttosto che costringere i migranti in catapecchie pericolose era meglio rimandarli a casa, com’è che oggi non passa giorno che non si veda un prete in tv che predica un’accoglienza senza se e senza ma, anche quando si è di fronte a un aumento della criminalità d’importazione? Ma se 30 anni fa, un socialista come Martelli non si vergognava di dire che agli extracomunitari bisognava abbassare i salari, com’è che siamo passati a garantire agli stranieri un tetto a carico dei contribuenti, le bollette a spese dei Comuni e un contributo giornaliero per ogni migrante ospitato nei centri di accoglienza? Che cosa è successo in questi 30 anni per ribaltare la posizione della Chiesa, ma anche quella della politica? Tenete presente che nel 1992 l’immigrazione era un problema marginale, perché gli stranieri rappresentavano meno dell’1 per cento della popolazione, cioè niente, e prevalentemente si trattava di persone in arrivo dai Paesi dell’Est Europa, a seguito del crollo dell’Unione sovietica. Eppure, i giudizi della Cei e di chi rappresentava il governo erano più concreti e privi di pregiudizio ideologico di quelli che si registrano ora. La Cei pensava ancora a come non perdere il contatto con i fedeli italiani e i politici non avevano certo l’imbarazzo di dire cose politicamente forti. Purtroppo la deriva di questi 30 anni, il sacrificio della sovranità sull’altare dell’Europa unita e lo spostamento del baricentro della Chiesa verso il Sudamerica e il Terzo mondo, hanno fatto rinunciare alla politica e anche ai vescovi le posizioni di buon senso e di realismo, condannandoci all’invasione e a un declino. Nel 1992, mentre imperversava Mani pulite, pensavamo che fosse la fine della prima Repubblica, e ne immaginavamo una seconda libera dall’influenza nefasta dei partiti. Purtroppo, non era la fine della prima Repubblica, ma la fine della Repubblica. Da lì in poi le cose infatti sono soltanto peggiorate.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)