
I vertici e l’ex capo dell’Agenzia del farmaco tacciono su quanto sta emergendo. Ma errori e bugie non si possono dimenticare.All’Agenzia italiana del farmaco non erano preoccupati che i vaccini facessero male agli italiani, ma che la pubblicità negativa provocata dagli effetti avversi registrati fin dalle prime somministrazioni nuocesse gravemente alla reputazione dei vaccini. «Troppa enfasi, così si uccide questo vaccino», si lamentava Nicola Magrini, direttore generale dell’organismo che avrebbe dovuto vigilare a tutela della salute degli italiani e invece, a quanto pare, vigilava a tutela della buona immagine dell’industria farmaceutica. Era la metà di marzo di due anni fa e da poche settimane nella gran parte dei Paesi europei era iniziata la campagna vaccinale. Il siero adottato con gran battage ministeriale era quello del gruppo anglo svedese Astrazeneca, ma da subito si erano segnalate reazioni allergiche anche gravi e tuttavia i vertici dell’Aifa, invece di allarmarsi per le conseguenze sui vaccinati, si preoccupavano delle ricadute sui vaccini, temendo che le notizie generassero sfiducia negli italiani. Insomma, bisognava nascondere l’evidenza scientifica o, quantomeno, non attribuire grande importanza agli effetti avversi, così da tranquillizzare l’opinione pubblica.A denunciare l’incredibile comportamento è stata la trasmissione Fuori dal coro condotta da Mario Giordano. In un servizio su Rete 4 dell’inviata Marianna Canè, infatti, sono stati mostrati i messaggi e le mail che si scambiarono i vertici dell’Aifa in quel frangente e il tono è inequivocabile. Al dirigente che dopo un accurato studio riferisce su 68 decessi e scrive che «alla luce di quanto sopra riportato appare evidente un eccesso di morte cardiovascolare per il vaccino Astrazeneca (a prescindere dai singoli lotti) concentrata nella fascia inferiore ai 50 anni», Magrini replica dicendo che attorno a questi numeri «c’è troppa enfasi», sostenendo che non ci sia alcuna correlazione. E invece di preoccuparsi della salute delle persone, il direttore generale sembra temere che le cattive notizie «uccidano il vaccino».Non è tutto. Sin dall’inizio, la comunità scientifica si era interrogata sulla necessità di vaccinare le persone che avevano già contratto il Covid, ritenendo che iniettare il siero a chi avesse gli anticorpi contro il virus fosse controproducente. Infatti, alcune evidenze scientifiche facevano intuire che le reazioni avverse potessero essere anche gravi. Ma, come ha scoperto Canè, chi aveva il compito di decidere ignorò l’allarme e il governo introdusse un obbligo in capo agli ultracinquantenni, a prescindere dal fatto che chi avesse preso il virus godesse di una risposta immunitaria molto forte. All’Aifa conoscevano i rischi per coloro che pur essendosi infettati erano costretti a vaccinarsi. Tanto è vero che il 15 gennaio di due anni fa, in una mail interna, un ricercatore scriveva ai vertici dell’agenzia: «Ci sono segnalazioni su eventi avversi post vaccinali in persone già guarite dal Covid. Mi sembra opportuno affrontare l’argomento con un gruppetto di lavoro». Non sappiamo che fine abbia fatto il gruppetto, ma una cosa è certa: il governo decise dopo qualche tempo per l’obbligo vaccinale, senza curarsi troppo di quelle segnalazioni.Le carte rivelate da Fuori dal coro con tanto di nomi e cognomi sono esplosive. Ma nonostante l’inchiesta del programma sia circostanziata e documentata, al momento non si registrano reazioni. Nessuna replica, neppure in merito alle precedenti rivelazioni del programma e anche alle notizie pubblicate nelle ultime settimane dal nostro giornale. Tace Magrini, che nonostante sia stato rimosso dal nuovo governo, nel periodo della pandemia ha avuto un ruolo determinante, prova ne sia che è spesso citato nelle carte dell’inchiesta della Procura di Bergamo. Tace anche il nuovo ministro della Salute, Orazio Schillaci, che pur essendo subentrato a Speranza, e dunque non coinvolto nella gestione passata della pandemia, non sembra aver nulla da dire su ciò che sta emergendo. Bocche cucite pure da chi dal 2020 in poi si è dimostrato molto ciarliero, apparendo ogni sera in tv per distribuire opinioni. Una cosa però è certa: noi non ci tapperemo la bocca. Quello che è successo, gli errori, la violazione delle libertà individuali, la censura dell’informazione, sono fatti che non possono in alcun modo essere dimenticati. E per quanto ci riguarda, in questa storia andremo fino in fondo, tempestando di domande chi ci deve una risposta.
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.
Donald Trump (Ansa)
La Corte Suprema degli Stati Uniti si appresta a pronunciarsi sulla legittimità di una parte dei dazi, che sono stati imposti da Donald Trump: si tratterà di una decisione dalla portata storica.
Al centro del contenzioso sono finite le tariffe che il presidente americano ha comminato ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). In tal senso, la questione riguarda i dazi imposti per il traffico di fentanyl e quelli che l’inquilino della Casa Bianca ha battezzato ad aprile come “reciproci”. È infatti contro queste tariffe che hanno fatto ricorso alcune aziende e una dozzina di Stati. E, finora, i tribunali di grado inferiore hanno dato torto alla Casa Bianca. I vari casi sono quindi stati accorpati dalla Corte Suprema che, a settembre, ha deciso di valutarli. E così, mercoledì scorso, i togati hanno ospitato il dibattimento sulla questione tra gli avvocati delle parti. Adesso, si attende la decisione finale, che non è tuttavia chiaro quando sarà emessa: solitamente, la Corte Suprema impiega dai tre ai sei mesi dal dibattimento per pronunciarsi. Non è tuttavia escluso che, vista la delicatezza e l’urgenza del dossier in esame, possa stavolta accelerare i tempi.






