Sul caso Saman non serve la fatwa ma l’appello alle leggi dello Stato

Sul caso Saman non serve la fatwa ma l’appello alle leggi dello Stato
Il presidente dell'Unione delle Comunità Islamiche d'Italia, Yassine Lafram (Ansa)
Benedetto XVI reagì ai casi di pedofilia invocando le pene dei tribunali civili e non solo il diritto della Chiesa. I musulmani, invece, non riescono a farlo. La scappatoia è sempre la stessa: «I criminali non sono veri islamici».

Quando emerse in modo disastroso lo scandalo della pedofilia nella Chiesa, Benedetto XVI non disse che questi non erano cristiani: disse che erano cristiani che avevano commesso dei delitti e che i vescovi e i superiori che ne fossero venuti a conoscenza avrebbero dovuto segnalarli alle autorità giudiziarie civili. Cioè, non ne fece solo una questione interna alla Chiesa ma ordinò che, poiché era qualcosa che andava contro la legge degli Stati nei quali risiedevano, occorreva rispettare la legge di quegli Stati. Non solo la legge della Chiesa (il diritto canonico e il diritto penale canonico) ma la legge civile di cui avrebbe dovuto occuparsi la magistratura civile.

Diciamo questo perché ci saremmo aspettati, con tutta franchezza, che l'Ucoii (l'Unione delle comunità islamiche in Italia), congiuntamente con la Associazione italiana degli imam e delle guide religiose, non avesse lanciato una fatwa, cioè un parere religioso di interpretazione del Corano rivolto alla comunità musulmana. Ma che avesse fatto, come Benedetto XVI, un appello alla comunità musulmana perché denunciasse alle istituzioni della giustizia italiana civile ciò che non riguarda solo la comunità musulmana ma che riguarda lo Stato italiano nel quale la comunità musulmana vive. E lo stesso ci saremmo aspettati, con maggiore forza e vigore, da tutte le comunità musulmane presenti in questo Paese ed invece, purtroppo, quando non c'è stato il silenzio e quando i segnali sono stati solo flebili, abbiamo sentito troppi musulmani affermare che quelli che fanno questo non appartengono alla nostra comunità, non sono musulmani. Non potevano dire che sono mussulmani che sbagliano? È così difficile riconoscere che tra i propri fedeli ci sono degli assassini così come quelli che pur non uccidendo i corpi hanno strangolato le anime e la psiche di quei poveri bambini e quelle povere bambine che si affidavano a uomini di Chiesa come ci si affida a coloro dei quali si sa di poter godere del massimo rispetto e della massima fiducia?

Siamo andati a ripescare la Lettera pastorale del santo Padre Benedetto XVI ai cattolici dell'Irlanda scritta il 19 marzo del 2010. È una lettera di una durezza che rileggendola ci ha colpito. Perché non fa sconti a quella comunità che considera traditrice del messaggio di Gesù Cristo e che addita come uno scandalo per tutti i cattolici e responsabile, per ciò che alcuni hanno commesso, dell'allontanamento di molti dalla Chiesa cattolica. È una lettera colma di sdegno, di indignazione, di risentimento, di riprovazione e anche - ci permettiamo - di disprezzo. Non abbiamo sentito lo stesso da parte di coloro che rappresentano le comunità islamiche. Sappiamo bene che lì non c'è una gerarchia ma questo non giustifica perché c'è una comunità di uomini e di donne e ciò è ampiamente sufficiente per comunicare e far conoscere a tutti sentimenti simili a quelli della lettera del pontefice verso i responsabili della morte della diciottenne Saman Abbas. Avremmo voluto sentire l'odore della bile, abbiamo sentito profumo di scappatoie. Benedetto XVI ebbe il coraggio di scrivere alla chiesa d'Irlanda: «Si deve ammettere che furono commessi gravi errori di giudizio e che si sono verificate mancanze di governo. Tutto questo ha minato seriamente la vostra credibilità ed efficacia. Oltre a mettere pienamente in atto le norme del diritto canonico nell'affrontare i casi di abuso di ragazzi, continuate a cooperare con le autorità civili nell'ambito di loro competenza». I vangeli secondo Matteo (22, 21), Marco (12,17) e Luca (20,25) riportano la celebre frase detta da Gesù: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». In quel caso Gesù rispondeva a degli ebrei che gli avevano chiesto se dovessero pagare le tasse ai romani e Gesù sostenne che la legge civile andava rispettata e la legge civile in quel caso era quella degli occupanti romani. È la stessa logica che guidò Benedetto XVI nell'invitare la comunità ad essere vigile, non solo nel rispetto del diritto canonico da parte dei suoi membri, ma anche nel rispetto della legge civile in quanto gli stessi membri erano e sono membri anche della comunità civile.

Vedete, non è una questione da poco: è uno dei fondamenti sui quai si regge la civiltà occidentale. Esistono dei diritti e delle leggi che devono essere conformi a quei diritti che siano umani, costituzionali o fondamentali che dir si voglia, e nessuno, escluso i casi consentiti dall'obiezione di coscienza, può sottoporre la legge civile a quella religiosa.

E non ci vengano a parlare dell'Antico testamento perché sono almeno venti secoli che la filologia veterotestamentaria, l'esegesi, l'ermeneutica, l'interpretazione e la storicizzazione dei testi biblici, vengono studiate e approfondite allo scopo di contestualizzare quanto lì vi è scritto e trovare un accordo sull'interpretazione giusta di quei testi. Il problema non esiste perché si conosce ufficialmente qual è l'interpretazione giusta e quali sono le norme ivi indicate che sono decadute grazie alla storia millenaria del cristianesimo.

Anche in questo caso l'ignoranza non è una virtù.

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