La strategia dei tradizionalisti, minoranza in conclave, è di convincere i cardinali che occorre un pontefice in grado di rimettere ordine là dove Francesco ha portato confusione: benedizioni gay, ruolo di laici e donne, liturgia. E spuntano già nomi «ecumenici».di quelli che sarebbero autorizzati a eleggere il suo successore. E infatti, bisognerà derogare alle norme vaticane vigenti per farli entrare tutti nella Cappella Sistina.Tra quelli che ci saranno, solo 22 furono incaricati da Benedetto XVI e cinque da Giovanni Paolo II. Non tutti tradizionalisti. Con lo zoccolo duro dei custodi del magistero, i fedeli e la stampa hanno ormai acquisito familiarità: si tratta delle eminenze Robert Sarah (guineano), Raymond Leo Burke (americano), Péter Erdo (ungherese), Willem Jacobus Eijk (olandese), Gerhard Ludwig Müller (tedesco). Alla «prima squadra» si può aggiungere una «riserva di lusso»: lo statunitense Timothy Dolan, il meno ostile a Donald Trump tra i membri del clero Usa. Vista la situazione, pare difficile una rivincita della Chiesa legata alla difesa dei ratzingeriani valori non negoziabili, della liturgia, della disciplina della comunione, della morale sessuale. Nondimeno, i suffragi conservatori, specie se si faticasse a raggiungere la maggioranza qualificata dei due terzi dei votanti, necessaria al prossimo Papa, potrebbero diventare dirimenti.Ad ora, la prudente strategia dei porporati tradizionalisti è di evitare roboanti proclami di principio e arroccamenti ideologici, facendo leva piuttosto su una consapevolezza diffusa anche tra gli altri confratelli: che il pontificato di Francesco è stato zeppo di contraddizioni; che certe dichiarazioni e certi atti di rottura hanno spesso sconcertato i fedeli più semplici, accontentando solo a metà una minoranza riformista spesso estranea alla Chiesa; e che l’apertura dei famigerati «processi», destinati, nell’idea del l’argentino, a essere completati dai futuri vicari di Cristo, ha scavato dei solchi e provocato scompiglio. La proposta di questi cardinali è semplice: portare sul soglio di Pietro un uomo della conciliazione. Non un semplice diplomatico, bensì un Papa disposto a rimettere ordine nel caos.La direzione l’ha indicata, in modo piuttosto trasparente, proprio il cardinale Müller, nella sua intervista di ieri a Repubblica. Il prelato di Magonza ha spiegato che il prossimo pontefice dovrà sbrogliare la matassa delle benedizioni «pastorali» alle coppie irregolari e omosessuali, impedendo che si arrivi a «relativizzare la dottrina cattolica del matrimonio»; in più, sarà chiamato a ricordare che la Chiesa non è «un’organizzazione politica, come il World economic forum o l’Onu», nella quale i laici, attraverso le assemblee sinodali, esercitano la stessa autorità dei vescovi; chi verrà dopo Francesco dovrà pure riconoscere che la questione della partecipazione delle donne al governo ecclesiale non può sfociare nella cooptazione di personale non clericale alla guida di organismi della curia romana. Sullo sfondo, secondo il cardinale, c’è l’esigenza di restituire alla figura del Papa la solennità erosa non soltanto dallo stile di Bergoglio, ma persino dalla scelta di Benedetto XVI di dimettersi, che invece Francesco non ha ripetuto: «Ho sempre detto», ribadiva ieri Müller, «che dobbiamo evitare che la missione del Papa sia solo una funzione. La rinuncia dev’essere un’eccezione, non si può pensare che gli apostoli siano andati in pensione…».Azzardare ipotesi su un candidato è prematuro. Quelli «di bandiera», dallo stesso tedesco, a Sarah, al magiaro Erdo, a Eijk, sancirebbero una discontinuità difficile far digerire al collegio. Al contempo, l’esigenza di sciogliere i nodi irrisolti, piuttosto che di limitarsi a stabilire una tregua tattica, rende personalità quali il segretario di Stato, Pietro Parolin, dei ripieghi. In verità, tra i tradizionalisti c’è addirittura chi lo reputerebbe una «sciagura: fu lui», ci segnalano acuti osservatori delle vicende vaticane, «che convinse Francesco a bloccare le messe con il rito in latino». Iniziano a circolare nomi tipo lo svedese Anders Arborelius, bergogliano in materia di immigrazione ma ortodosso su famiglia e aborto, nonché favorevole al vetus ordo; oppure il francese François Bustillo, che ha il «difetto» di essere giovane (57 anni a novembre), cioè proiettato verso un pontificato lungo, ma che in patria è stato un interlocutore della destra. Da vescovo di Ajaccio, poi, egli è interprete di un saggio distacco dalle derive anticristiane della Parigi di Emmanuel Macron.Al momento, sono mere suggestioni. Ma i progressisti sembrano nervosi: ne sono testimonianza l’operazione simpatia avviata dai media a beneficio di Matteo Zuppi e le bizzarre ricostruzioni di Gian Guido Vecchi e Alberto Melloni, che sul Corriere della Sera paventano bufale sul Web e complotti della Casa Bianca per condizionare il conclave. Chissà quanti cattolici ancora credono che il vero grande elettore del Papa sia lo Spirito Santo.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






