2019-09-25
Capriola di Conte anche sui russi: «Salvini riferisca in Parlamento»
Il premier, che parlò al Senato per difendere il leader leghista sul Russiagate e scatenò l'ira del M5s, a distanza di due mesi ha cambiato linea (e alleati): «Ritengo urgente e necessario un chiarimento».«Avv» non come abbreviazione di «avvocato» ma di «avvertimento». Politicamente parlando, il «pizzino» di Giuseppe Conte è stato consegnato ieri, a freddo e senza apparenti agganci di cronaca, rispondendo a una domanda di Skytg24 sui rapporti tra Russia e Lega: un nuovo passaggio parlamentare sarebbe «urgente e necessario», secondo il premier. Dopo di che, in modo dialetticamente acrobatico, Conte ha alternato allusioni e negazioni. Per dirla in termini giuridici, nel «comma uno» ha recapitato un avviso a Matteo Salvini, nel «comma due» ha sottolineato di non avere ulteriori elementi a propria disposizione. «Se si ha un ruolo nell'ambito di un governo», ha detto Conte, «bisogna assicurare massima trasparenza nei confronti dei cittadini. Per questo, ho avvertito l'esigenza, la necessità, vorrei dire l'urgenza, una volta sollecitato da una forza che allora era di opposizione, di andare in Parlamento a chiarire tutte le informazioni che erano in mio possesso. Se altri l'hanno pensata diversamente, mi è dispiaciuto. La fiducia dei cittadini nelle istituzioni si alimenta con la trasparenza e correttezza dei comportamenti. L'ho detto anche solennemente al Parlamento che secondo me non è quello l'atteggiamento che bisogna tenere». E poi la bordata verso il Carroccio: «Quindi ci sarebbero tutte le premesse per procedere a un chiarimento che ritengo anche io urgente e necessario».Fin qui quello che abbiamo definito il «comma uno», poi curiosamente seguito dal «comma due», in cui il premier, dopo aver tirato il sasso, è sembrato voler nascondere la mano: «Io non ho elementi per dire che la Russia stia svolgendo un ruolo disintegrante verso governi, verso sistemi, partiti o altro, quindi non posso assolutamente affermare questa prospettiva. Ritengo che la Russia giochi anche un ruolo importante in tutte le crisi geopolitiche più importanti al mondo, quindi la mia posizione è che con la Russia bisogna dialogare, bisogna sempre mantenere aperto questo dialogo». Come dire: non ce l'ho con la Russia, ce l'ho proprio con Salvini.Ma nella sortita di ieri del presidente del Consiglio, a ben vedere, ci sono almeno tre elementi che non tornano. Il primo. Se un presidente del Consiglio ha qualcosa da dire, ha il dovere di farlo chiaramente, senza equivoci e mezze frasi. Allusioni e insinuazioni buttate lì, invece, non fanno bene a un dibattito civile limpido e reciprocamente rispettoso. A maggior ragione da parte di chi ha parlato di un «governo per» e non di un «governo contro», o da parte di chi vuole accreditarsi come civil servant, come uomo delle istituzioni, come interlocutore affidabile per tutti. Non sembra molto coerente fare quelle proclamazioni nei giorni pari, salvo poi spargere veleni e tossine in quelli dispari. O uno fa il pompiere oppure fa il piromane con tanto di fiammiferi e taniche di benzina: il cumulo dei ruoli appare decisamente impraticabile. Il secondo. Giuseppe Conte ha appena accettato nella sua maggioranza - volente o nolente - un quarto soggetto politico dopo Pd, M5s e Leu, e cioè la neonata creatura renziana. Fermo restando - per tutti - il garantismo e la presunzione di innocenza, i lettori della Verità hanno anche oggi un aggiornamento su inchieste e questioni giudiziarie scottanti che gravitano intorno al Giglio Magico, alla disciolta Fondazione Open, a uomini e ambienti direttamente o indirettamente riconducibili a Matteo Renzi. Su tutto questo, Conte non ha fatto né una piega né un plissé, non ha rilasciato interviste, non ha fatto cadere battute né lanciato moniti solenni. E invece che fa adesso, sceglie il solito doppio standard all'italiana? Garantismo per chi è momentaneamente amico, e frasi incendiarie verso chi amico non lo è più? Il terzo. Giuseppe Conte non è un omonimo del Conte che, appena un paio di mesi fa, si recò in Parlamento proprio per rispondere sulla questione russa. Certo, lo fece a bella posta forse per mettere in imbarazzo Matteo Salvini, al quale non risparmiò più di una battuta polemica. Sostenne, in particolare, di non aver ricevuto informazioni sulla vicenda dal titolare del Viminale, e provvide autonomamente a ragguagliare i senatori. Ma attenzione, alla fine disse chiaramente: «Non ci sono elementi per incrinare la fiducia con membri del governo». Tutti interpretarono quella sortita come un modo per chiudere la vicenda. E infatti fu palpabile il nervosismo grillino, al punto che i senatori pentastellati - già polemicissimi verso i leghisti - lasciarono l'aula del Senato, suscitando l'irritazione dello stesso Conte, che - lo riferirono tutti i media - se ne lamentò con l'allora capogruppo pentastellato a Palazzo Madama Stefano Patuanelli. I grillini diffusero poi una nota per dire che non era Conte a doversi presentare al Senato per l'informativa. E lo stesso Patuanelli, intervenendo, archiviò la pratica: «Diamo per scontata la buona fede, anche oggi. C'è stata superficialità». Possibile che invece, due mesi dopo, a sorpresa, qualcuno abbia voglia di riaccendere i fuochi?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)