2024-07-18
Brugnaro alla maggioranza: «Vado avanti»
Il legale del sindaco: «Non comprendiamo le accuse, c’è un atto di una pagina e mezzo». L’assessore Boraso verso le dimissioni. Per lui un attico e 200.000 euro. L’imprenditore indagato al telefono: «Segnalami qualcuno senza precedenti penali».Il giorno dopo l’arresto del funambolico assessore alla Mobilità di Venezia Roberto Boraso, uomo ragno dei capi d’imputazione per corruzione, con ben undici episodi ricostruiti dagli inquirenti, il sindaco Luigi Brugnaro, indagato per una vecchia compravendita di terreni inquinati nell’area denominata i Pili (operazione che all’epoca incontrò i buoni auspici dell’ex sindaco Massimo Cacciari) insieme al capo di gabinetto Morris Ceron e al suo vice Derek Donadini, in stile Giovanni Toti, col quale ha fondato il movimento Coraggio Italia, annuncia alla sua maggioranza: «Si va avanti». D’altra parte proprio il procuratore di Venezia Bruno Cherchi, che martedì ha coordinato l’esecuzione di 15 misure cautelari, una serie di perquisizioni e il sequestro di 1 milione di euro, ha spiegato che l’avviso di garanzia per il sindaco era un atto di correttezza nei suoi riguardi. Inoltre, il legale del primo cittadino, Alessandro Rampinelli, ha dichiarato: «Non capiamo perché sia indagato, non ci sono state perquisizioni e sequestri, abbiamo ricevuto solo una pagina e mezza di avviso digaranzia». E mentre Brugnaro rispondendo alle opposizioni si dice pronto ad affrontare le questioni che lo riguardano nel prossimo consiglio comunale, dagli atti dell’inchiesta emergono tutte le «spericolate» relazioni telefoniche con gli imprenditori che chiamavano su un telefono particolarmente bollente: quello dell’assessore Boraso (pronto a dimettersi), che, stando al gip che l’ha privato della libertà, avrebbe dimostrato «un’eccezionale pericolosità e una mercificazione sistematica della funzione pubblica». «Bisogna fare una causa da 10 milioni di euro di danni al Comune, che ci ha preso per il culo», dice Boraso in una conversazione che per il gip è «rivelatrice della completa immedesimazione con l’interesse privato della società Park 4.0 srl da parte dell’assessore, che dovrebbe esclusivamente perseguire l’interesse pubblico e che invece arriva al punto di proporre una causa milionaria contro il Comune (che in teoria dovrebbe rappresentare)». A far imbufalire l’assessore era stata una decisione del Tar con la quale era stato sospeso un permesso di costruire. Stando alla ricostruzione del gip, «Boraso riteneva che la causa milionaria al Comune» sarebbe stato uno «strumento di pressione da utilizzare nei confronti del Tar». In realtà, emerge dalle trascrizioni finite nell’ordinanza, quello sotto pressione sembra proprio l’assessore. In un messaggio inviato a Sergio Pizzolato, imprenditore settantatreenne interdetto dall’esercizio dell’impresa, Boraso mostra una certa fretta: «Come da accordi si sollecita urgentemente il pagamento della fattura... come concordato... Bisogna che la paghino, io morti quei cani, io ho da pagare quelli di Caramel... puttana merda... ciao». E Caramel è un mobilificio dove l’assessore probabilmente si era rifornito. Le fatture, secondo l’accusa, sarebbero state un modo per mascherare tangenti per i servigi offerti alle imprese. Una ulteriore intercettazione, questa volta con l’imprenditore Fabrizio Ormenese (finito in carcere con Boraso), confermerebbe lo stesso meccanismo. Ormenese precisa: «Ecco a me serve la viabilità approvata, i progetti, le varianti, sono a posto. A noi serve la viabilità. Allora andiamo a dire guarda che il sindaco ti fa un culo così. Basta!». Ed ecco la promessa: «Ascoltami, quando è a posto con l’operazione, siccome tu mi hai dato una mano e tutto, io ti faccio un bonus di 200.000. Non li ho detti a nessuno! Ascolta qua... quando abbiamo fatto i primi due fabbricati a te arriverà una sorpresa. Sono stato io a insistere. Abbiamo fatto un accordo nostro, ti do 200.000, ne fai quello che vuoi. Hai capito?». Boraso risponde: «Va bene». E oltre alla promessa dei 200.000 euro gli inquirenti hanno annotato che per l’assessore c’era in ballo pure un attico in regalo. A leggere le intercettazioni l’uomo della Mobilità veneziana sembra sempre in credito con gli imprenditori. Da Marco Rossini, titolare di un’impresa di servizi finito ai domiciliari, gli inquirenti hanno ascoltato queste parole mentre si rivolgeva a Boraso: «Tanto ci sentiamo, comunque grazie sono in debito...». E come vorrebbe sdebitarsi l’imprenditore? Offrendo i servigi della sua impresa di pulizie per l’abitazione di Boraso: «Se hai bisogno di fare pulizie a casa dimmelo...». Boraso, minimizzando, replica: «Si vabbe’ non ti preoccupare...». Rossini insiste: «No, dimmelo, caro!». Più cauto, invece, Matteo Volpato (pure lui finito ai domiciliari): «C’è un rapporto a 360 gradi dove tu (Boraso, ndr) comunque presti attività... diciamo di consulenza... che bisogna che stiamo molto attenti». Volpato avverte Boraso dei rischi di finire sui giornali: «Bisogna stare molto attenti perché sai che dopo... tu sei una persona che... sei esposta politicamente... [...] noi insieme, di finire sui giornali e non bisogna sputtanarsi... quindi bisogna che facciamo le cose con una certa intelligenza».Ma Volpato è preoccupato: «Ti ricordo che una volta ti ho dato 30.000 euro a fondo perduto con contratto, ti ricordi, che quello è un “petton” (una cosa fatta male, ndr) dal punto di vista fiscale». Brugnaro, come ricostruito ieri dalla Verità, al suo assessore aveva anche intimato di smetterla: «Tu non capisci un cazzo, mi stanno dicendo che tu domandi soldi, tu non ti rendi conto, rischi troppo». E lui se ne era uscito semplicemente con un «cambio il telefono». Troppo tardi. Quando la Castellano vince una gara per il portierato di una municipalizzata l’imprenditore chiede subito a Boraso: «Se hai bisogno di segnalarmi qualcuno... qualcuno che non abbia precedenti penali...». E anche questa conversazione è finita in mano agli inquirenti.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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