2021-08-27
Brogli pd, c’è pure un condannato per mafia
Il boom di tessere che falsò le primarie nel circolo bolognese di Romano Prodi conduce a due famiglie. Quella di Rosy Davidde, oggi a capo dei giovani demoratici. E quella di Italo Pomes (sinistra universitaria), figlio di Vincenzo, in cella per concorso esterno con i clan.Sarà anche vero, come sostiene Enrico Letta, che la storia dei brogli alle primarie di Argelato, in provincia di Bologna è «vecchia». Resta che quella e altre ferite (anche se in realtà non risalgono a chissà quanti anni fa) continuano a bruciare eccome. Anche perché alcuni dei protagonisti dei vari maneggi emersi in questi giorni sono ancora in sella, ricoprono incarichi politici ed esercitano un certo potere. Ecco perché certe vicende sarebbe il caso di chiarirle subito, perché altrimenti si rischia che sedimentino e creino, nel tempo, ancora più scompiglio. È il caso di un'altra storia che è tornata a riemergere dalle catacombe in cui i vertici del Partito democratico l'avevano sepolta. L'ambientazione è il circolo Galvani del Pd di Bologna. Una piccola realtà, con qualche centinaio di iscritti, ma estremamente significativa. Il Galvani è noto per essere stato lo storico circolo di Romano Prodi: lì Mortadella fece la tessera, rinnovandola anche nel 2009 assieme alla moglie Flavia. Ebbene, nell'ottobre del 2017 in quel circolo accadde qualcosa di strano. Come ci ha raccontato l'ex segretario Andrea Forlani, alla vigilia del congresso provinciale del Partito democratico, le iscrizioni magicamente lievitarono. «Ero segretario del circolo, iscritto al Pd da tanti anni. Eravamo alla vigilia del congresso provinciale del partito di Bologna. Un congresso a cui potevano votare soltanto gli iscritti», ci ha spiegato Forlani. A due ore dalla scadenza del limite fissato per accogliere nuovi iscritti, ecco che apparvero dal nulla un po' di tessere fresche fresche. «Il mio circolo contava un centinaio di iscritti, almeno fino a due ore prima della scadenza. Poi, senza che io ne sapessi nulla, in quelle ultime due ore se ne aggiunsero altri 101, che io non avevo mai visto né conosciuto. In teoria, le iscrizioni si sarebbero dovute fare al circolo, cioè avrei dovuto accettarle io. Ma questi nuovi iscritti andarono direttamente alla federazione provinciale a fare la tessera».In quel periodo, il circolo Galvani era una roccaforte dell'ex assessore Luca Rizzo Nervo, che nel 2017 sfidò Francesco Critelli nella corsa alla poltrona di segretario provinciale del Pd di Bologna. Un posto di potere, molto ben retribuito e sicuro. Rizzo Nervo perse: 71 voti contro i 72 di Critelli. Secondo Forlani, le tessere «aumentate» contribuirono non poco al risultato finale anche perché - sostiene l'ex militante - non furono le uniche apparse all'ultimo secondo sul territorio bolognese. Lo stesso Forlani, poco dopo il congresso, perse il posto da segretario del circolo: fu sconfitto dalla giovanissima Rosy Davidde: 86 voti contro 83. Ma restiamo sulle tessere lievitate prima del congresso provinciale pd del 2017. Forlani si rivolse agli organi di garanzia interni al partito, che di fatto lasciarono cadere la cosa. Poi andò pure dalle forze dell'ordine, ma anche lì l'azione legale non ebbe seguito. Del resto, come ammette lo stesso ex segretario, non c'erano di mezzo reati su cui valesse la pena perdere troppo tempo. L'allora responsabile organizzativo del Pd fu sentito dagli inquirenti, e fece capire che sulla registrazione delle tessere il partito era, diciamo, di manica larga, visti i tempi di magra. Aitini, in seguito, ha fatto carriera, anche se ora non vive un bel momento: ha sostenuto la renziana Isabella Conti alle primarie per il sindaco di Bologna, e ora ne paga lo scotto con l'epurazione. Tutti i sostenitori della Conti sembrano destinati a essere esclusi dalle nuove liste per il Comune. Commentando la situazione, nei giorni scorsi, Aitini ha evocato le «purghe staliniane». Nel 2017, tuttavia, con chi lo contestava chiedendogli conto delle tessere apparse dal nulla fu molto più serafico. Fra le 101 tessere al centro del dissidio, le più sospette erano 84, tutte contabilizzate nell'ultimo giorno utile, a poche ore dalla chiusura delle iscrizioni. Alcune, forse una trentina, erano state sottoscritte da persone che non risiedevano a Bologna. Altre, invece, erano, diciamo, «roba di famiglia». Circa 14, infatti, erano intestate a parenti di Rosy Davidde. La quale, per altro, negli anni successivi non ha fermato la sua ascesa. Attualmente è a capo dei Giovani democratici (la federazione giovanile del Pd) di Bologna. Non è tutto. Tra i nuovi tesserati comparvero anche i membri di un'altra famiglia: i Pomes. Nonni, genitori, fratelli e sorelle (tranne una, probabilmente vittima di un errore di registrazione che le impedì di votare). Uno di loro era effettivamente molto impegnato con i dem emiliani. Si tratta di Italo Pomes, classe 1996, componente dei giovani democratici che oggi ricopre un incarico di prestigio: è rappresentante di sinistra universitaria (altra filiazione del Pd) nel Senato accademico dell'università di Bologna. Qualche tempo fa è finito nell'occhio del ciclone per alcuni post piuttosto volgari sui social, alcuni dei quali contenenti battute antisemite: una buriana passata alla svelta, proprio come quella che lo coinvolse nel 2017.Allora, sui quotidiani bolognesi il suo caso non ebbe grandissima pubblicità, ma non passò del tutto inosservato. Emerse, infatti, che Italo Pomes era figlio di Vincenzo Pomes, anche lui impegnato in politica, ma citato dalla cronaca soprattutto per altri motivi. È stato infatti condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Quando i quotidiani emiliani ne parlarono, il giovane Italo si disse molto amareggiato, parlò di gogna mediatica e tirò in ballo l'anima garantista del Pd. «Sì, mio padre è stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa», disse. «Aspettiamo gli altri gradi di giudizio, intanto. Soprattutto non vedo, perché questo debba ripercuotersi negativamente sul mio impegno e sulla mia famiglia, non riesco a capirlo». La stampa bolognese lasciò perdere. Chi ha seguito la cronaca locale per i quotidiani pugliesi, tuttavia, il nome di Vincenzo Fabrizio Pomes, 56 anni, l'ha sentito varie altre volte. Ex assessore comunale tarantino in quota Psi, Pomes a un certo punto si è trasferito a Bologna con tutta la famiglia. Pare che da amministratore locale fosse così potente che nell'ambiente della mala c'era chi si andò a lamentare con il boss Orlando D'Oronzo perché Pomes «aveva assunto diverse persone del suo nucleo familiare cui pagava regolarmente uno stipendio più alto di quello corrisposto a lui». La frase che riportiamo la annotarono nel 2015 gli investigatori della Procura antimafia. Erano i giorni dell'operazione «Alias», una indagine ampia che svelò come la malavita avesse messo le mani sulla città. Poco dopo Pomes finì dietro le sbarre con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Quel procedimento giudiziario ha poi prodotto una condanna definitiva a 8 anni di carcere, nel 2019, in Corte di cassazione. I giudici confermarono che Pomes si occupava degli interessi illeciti del clan D'Oronzo che, in modo incredibile, si era aggiudicato con una cooperativa, la Corda fratres, la gestione di un importante centro sportivo, il Magna Grecia, «senza alcun titolo legittimante» (così scrisse il tribunale del Riesame di Lecce confermando le misure di custodia cautelare in carcere per Pomes), «portando avanti, di fatto e a fini di lucro, la gestione della struttura comunale». La stessa associazione temporanea di imprese capeggiata dalla Corda fratres accumulò «un debito nei confronti del Comune di Taranto di 272.753 euro». Ma è con un'altra coop, la Falanto servizi, che Pomes è finito nei guai per la seconda volta nel 2018, sempre con D'Oronzo. Gli investigatori ipotizzarono una truffa ai danni dello Stato, perché la Falanto servizi, di proprietà di D'Oronzo ma amministrata da Pomes, aveva assunto fittiziamente delle donne disoccupate per intascare finanziamenti pubblici. Ben 13 capi d'accusa di truffa e tentata truffa si sono già prescritti. Ne restano in piedi, ancora per poco, altri 20. Ma perfino la contestazione di associazione a delinquere rischia di finire alle ortiche prima della fine del processo di primo grado, perché i fatti contestati risalgono al 2013. Da allora, però, il neosocialista non è rimasto con le mani in mano. Divenne operativo proprio a Bologna (dove scattò pure un sequestro di beni). Sempre con delle cooperative. La stessa Corda fratres di Taranto, per esempio, nell'estate 2014 ottenne in affidamento provvisorio dal Comune di Bologna, tramite bando pubblico, la gestione del centro sportivo Baratti di via Irnerio, nello Sferisterio, gestione condivisa con l'Aics (Associazione italiana cultura e sport). Lo stesso centro sportivo che ospitò un anno dopo centinaia di ragazzi arrivati in città per la Giornata della memoria per le vittime di mafia, organizzata dall'associazione Libera di don Luigi Ciotti. Quando scattarono i controlli comunali, Pomes non era già più socio della coop. Però era ancora nella Play Park snc, ennesima società che nel 2014 vinse un'altra gara pubblica, quella per il chiosco di un parco comunale a Lizzano in Belvedere e per il parco avventura Saltapicchio a Camugnano, sul lago di Suviana. E anche da detenuto Pomes è molto attivo. Ora sembra interessato alla teologia. A marzo ha mandato una lettera al sito Web Bandieragialla.it, nella quale si occupava di confronto tra religioni dietro le sbarre: «Al momento alla Dozza la convivenza tra le differenti fedi religiose è improntata al massimo rispetto personale e alla pacifica discussione, come opportunità di crescita reciproca. La comune ricerca di Dio, sia che si parli di Maometto o di Gesù», scrive Pomes, «ci può aiutare a camminare insieme, a migliorare come persone e a sentirci fratelli». Migliorare come persone e sentirsi fratelli: sarebbe un ottimo obiettivo anche per il Pd.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson